Coppia in frantumi, ma il rancore non giustifica l’inciviltà

In caso di separazione tra coniugi, nonostante la rottura del vincolo affettivo, lo scontro di interessi e la scomposizione del gruppo familiare, le manifestazioni di polemica e di dissenso tra i soggetti devono comunque rispettare le regole giuridiche e della civiltà sociale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12672, depositata il 25 marzo 2015. Il caso. Il Tribunale di San Benedetto del Tronto condannava un imputato per i reati di ingiuria e minaccia nei confronti della moglie separata. L’uomo ricorreva in Cassazione, deducendo l’inesistenza del reato di minaccia, poiché le espressioni utilizzate non contenevano la prospettazione di un male la cui realizzazione potesse derivare dalla propria azione e dalla propria volontà, ma l’annuncio di eventi negativi sul cui verificarsi egli non poteva incidere, esprimendo solo ostilità. Inoltre, le espressioni ingiuriose non avrebbero, a suo avviso, leso l’onore della moglie, in quanto rientravano nel linguaggio comune e non erano ad ogni modo caratterizzate da un disvalore morale e sociale. Minaccia potenziale. La Corte di Cassazione ricorda che la potenzialità intimidatoria della minaccia deve essere razionalmente intesa con riferimento all’entità del male prospettato e del correlato turbamento psichico che l’atto intimidatorio può determinare nel soggetto passivo. Questi elementi sono ricavabili da ogni circostanza, oggettiva e soggettiva, che contestualizza l’atto. Data la sua natura di reato di pericolo, per l’integrazione della fattispecie di minaccia non è richiesta la reale lesione del bene tutelato, ma basta che il male prospettato possa incutere timore nel destinatario, menomandone potenzialmente, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune , la sfera di libertà morale. I giudici di legittimità sottolineano che, all’interno del gruppo familiare, non è razionalmente individuabile - nell'attuale evoluzione della nostra civiltà- una situazione di normalità, conforme ad un generale codice comportamentale, che renda priva di gravi conseguenze negative sulla libertà morale della componente femminile la verbale prospettazione di un grave e umiliante male fisico . La situazione tesa non giustifica le parole utilizzate. Riguardo al delitto di ingiuria, la Cassazione ricorda che, per l’integrazione del reato, hanno rilevanza il contenuto della frase ed il significato che le parole hanno nel loro linguaggio comune, a prescindere sia dalle intenzioni inespresse dell’offensore sia dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell’offeso. Bisogna poi fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore, insieme al contesto in cui sono state espresse le parole ingiuriose. Nonostante la rottura del vincolo affettivo, lo scontro di interessi e la scomposizione del gruppo familiare, le manifestazioni di polemica e di dissenso tra i soggetti devono comunque rispettare le regole giuridiche e della civiltà sociale. Nel caso di specie, le espressioni utilizzate dall’uomo sul costume sessuale e sull’origine familiare dell’ex-moglie non potevano ritenersi rispettose di tali limiti. Per queste ragioni, la Corte di Cassazione rigetta questi motivi di ricorso, accogliendo invece quello relativo alla misura della pena.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 ottobre 2014 – 25 marzo 2015, n. 12672 Presidente Lombardi – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 4.12.2012, il tribunale di San Benedetto del Tronto ha confermato la sentenza 12.5.2011 del giudice di pace della medesima sede , con la quale V.G. era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di € 2.100 di multa e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione di ingiuria e minaccia in danno della moglie separata C.R Nell'interesse dell'imputato è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge in riferimento agli artt. 20 co. 4 e 29 co. 3 d.lvo 274/2000, 178 co 1 lett. c c.p.p. il decreto di citazione dinanzi al giudice di pace è stato notificato per l'udienza 21.10.2010 presso il luogo di residenza, in via Campania n. 3 di San Benedetto del Tronto, da cui si era trasferito in altra abitazione , sita in Grottammare. All'esito di ricerche della polizia giudiziaria, il decreto di citazione, unitamente al p.v. della precedente udienza, è stato notificato il 29.11.2010 per l'udienza 21.12.2010 . In questa udienza l'imputato non compariva, al pari della persona offesa, e il giudice, invece di rinnovare la notifica del decreto di citazione , incardinava il procedimento e rinviava per esperire il tentativo di conciliazione all'udienza 25.1.2011. Secondo il giudice di appello , essendo trascorsi più di trenta giorni tra la data della notifica del 29.11.2010 e la data della udienza di apertura del dibattimento 25.1.2011 era stato rispettato il termine previsto dall'art. 20 co. 4 del citato decreto legislativo. Ad avviso del ricorrente , i trenta giorni devono intercorrere tra la data della notifica del decreto di citazione e quella della prima udienza, corrispondente nel caso di specie al 21.12.2010 . Pertanto non è stato rispettato il termine di trenta giorni, con conseguente nullità della sentenza di primo e di secondo grado . 2. travisamento della prova in ordine alla asserita presenza di persone poi assunte come testimoni la C. nella querela ha dichiarato che nel momento in cui ricevette la telefonata dal marito, nel corso della quale egli avrebbe pronunciato espressioni di ingiuria e minaccia, non vi erano testimoni nel corso del dibattimento ha chiesto l'ammissione ex art. 507 cp.p.p. della testimonianza della sorella Francesca e di un'amica C.S Ha giustificato questo mutamento con l'affermazione che l'omessa indicazione era stata determinata dal mancato inserimento del congegno della viva voce nel proprio apparecchio telefonico. Questa incredibile giustificazione al mutamento di strategia processuale rende non credibili le dichiarazioni testimoniali. Sul punto, nonostante specifico rilievo nei motivi di appello, il tribunale non si è pronunciato 3. omessa motivazione sui riscontri estrinseci provenienti dalle dichiarazioni di C. Francesca e C.S. le donne hanno riferito quanto affermato dalla C. sul contenuto della telefonata non hanno indicato con precisione la data della telefonata inoltre C. , nonostante la mancata attivazione del congegno di viva voce , ha affermato di aver ascoltato alcune parole aggressive e offensive dell'imputato 4. contraddittorietà della motivazione il giudice ha affermato la credibilità della persona offesa,ma, avendo ammesso le testimonianze per confermare le dichiarazioni della C. , ha contraddetto la prima valutazione 5. violazione di legge e vizio di motivazione non sussiste il reato di minaccia, in quanto le espressioni del marito non contenevano la prospettazione di un male la cui realizzazione potesse derivare dalla propria azione e dalla propria volontà, ma l'annuncio di eventi negativi sul cui verificarsi egli non può incidere, esprimendo solo ostilità . 6. eccessività della pena le espressioni ingiuriose non ledono l'onore della C., in quanto rientrano nel linguaggio comune e comunque non sono caratterizzate da disvalore morale e sociale , giustificativo dell'entità della pena. Questa è stata giustificata dalla circostanza della presenza dei figli minori , nel momento in cui l'imputato avrebbe fatto la telefonata, ma i giudici non hanno tenuto conto che i minori non sono stati assunti come testimoni e che comunque manca la prova di questa loro presenza 7 violazione di legge in riferimento all'art. 81 c.p. è stata ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati ed è stato indicato come pena base quella dell'ingiuria posto che il livello massimo di pena previsto per il reato satellite della minaccia è di € 51, l'aumento avrebbe dovuto essere contenuto in questo limite 8. travisamento della prova in ordine alla liquidazione del danno morale la misura del risarcimento è esorbitante ed eccessiva ed è stata giustificata con la suindicata circostanza della presenza dei minori, sebbene non vi sia la prova di tale presenza 9. violazione di legge in relazione all'art. 125 c.p.p. in ordine alla liquidazione delle spese di parte civile nei motivi di appello erano state formulate specifiche censure, sulle quali non si è pronunciato adeguatamente il giudice di appello , che si è limitato a far riferimento alle spese sostenute nel secondo grado di giudizio. Motivi della decisione In via preliminare va rilevata l'infondatezza del motivo del ricorso di carattere procedurale , in relazione all'asserita violazione del diritto di difesa. Dagli atti emerge che il decreto di citazione è stato notificato in data 29.11.2010, per l'udienza del 21. 12.2010. In quest'ultima data, il giudice vista l'assenza delle parti, ha dichiarato la contumacia del V. e disposto il differimento al 25.1.2011 per eventuale conciliazione e/o per apertura del dibattimento, fatti salvi i diritti di prima udienza. In quella sede ,la difesa non ha avanzato alcuna censura. All'udienza 25.1.2011, è stata dichiarata l'apertura del dibattimento, si è costituita la parte civile, è stata assunta la testimonianza della persona offesa, C.R., su richiesta del P.M. è stata disposta la citazione di due testi, che sono stati esaminati nella successiva udienza del 24.3.2011. Al di là dell'assenza di rilievi da parte dell'imputato , emerge quindi che correttamente il tribunale ha ritenuto rispettato il termine di cui all'art. 20 co. 4 cit, in quanto tra la data della notifica del decreto di citazione e la data dell'udienza logicamente richiamata da quest'ultima norma quella in cui si instaura il rapporto processuale e le parti sono in grado di esercitare i propri diritti, ex art. 29 co. 7 d.lvo 274/2000 è trascorso un intervallo di tempo superiore a trenta giorni. Quanto alla critica sulla valutazione delle prove testimoniali, va preliminarmente osservato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Nel caso in esame il ricorrente non scandisce censure sulla violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì interpretazioni alternative del contenuto delle dichiarazioni e della credibilità delle fonti, pretendendo così la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito. Tale pretesa è inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione, quando come nel caso in esame la struttura razionale della motivazione della sentenza ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio . Sono specificamente infondate le osservazioni sulla credibilità della persona offesa , in quanto questa fonte conoscitiva non presenta una affidabilità ridotta , bisognevole di conferme dei cosiddetti riscontri . La testimonianza della persona offesa, al pari di tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonché sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall'assenza di risultanze processuali incompatibili,caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Questo controllo è stato effettuato in maniera esaustiva dalla sentenza del giudice di appello e pertanto le logiche conclusioni che ne ha tratto in merito alla responsabilità dell'imputato non sono meritevoli di alcuna censura in sede di legittimità. In ordine alla critica del ricorrente sulla ritenuta sussistenza del reato di minaccia, va rilevato che,secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la potenzialità intimidatoria della minaccia va razionalmente intesa con riferimento all'entità del male prospettato e del correlato turbamento psichico che l'atto intimidatorio può determinare nel soggetto passivo tali dati possono essere desunti da tutte le circostanze oggettive e soggettive che accompagnano e contestualizzano l'atto medesimo . I giudici di merito hanno correttamente inquadrato queste affermazioni minacciose nel contesto della pesante crisi che ha investito la quotidianità di tutti i componenti del nucleo familiare V.-C D'altro canto, la configurazione della minaccia come reato di pericolo comporta che per la sua integrazione non sia richiesta la reale lesione del bene tutelato , bastando che il male prospettato possa incutere timore nel destinatario, menomandone potenzialmente, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune, la sfera di libertà morale. Nel generale contesto delle comuni relazioni interpersonali all'interno del gruppo familiare, non è razionalmente individuabile nell'attuale evoluzione della nostra civiltà una situazione di normalità, conforme ad un generale codice comportamentale, che renda priva di gravi conseguenze negative sulla libertà morale della componente femminile la verbale prospettazione di un grave e umiliante male fisico. Quanto alla negata sussistenza del delitto di ingiuria, hanno rilevanza , ai fini della ravvisabilità del reato , il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalla intenzioni inespresse dell'offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell'offeso. In tema di tutela penale dell'onore, occorre fare anche riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore, unitamente al contesto nel quale le espressioni siano state pronunciate. E' di tutta evidenza che, pur nel contesto della rottura del vincolo affettivo, dello scontro di inT. e della scomposizione del gruppo familiare le manifestazioni di polemica, di dissenso tra i protagonisti devono comunque mantenersi nell'alveo del rispetto delle regole giuridiche e della civiltà sociale. Con argomentazioni conformi alle risultanze processuali e alla loro razionale interpretazione, i giudici di merito hanno insindacabilmente ritenuto che le sprezzanti espressioni dell'ex marito sul costume sessuale e sull'origine familiare della ex moglie hanno ampiamente superato i margini dell' alveo suddetto. E' fondato il motivo concernente il calcolo della pena per i reati, inquadrati in un unico disegno criminoso, ex art. 81 cpv c.p. . Effettivamente, posta come pena base per il reato più grave la multa di € 1.400, l'aumento per il reato satellite deve essere contenuto nella misura di € 51, fissata dal primo comma dell'art. 612 c.p. Pertanto, sul punto la sentenza va annullata senza rinvio rideterminando la pena nella misura di € 1451 di multa. Va ritenuta assorbita la censura del ricorrente in ordine all'entità della pena, tenuto anche presente che correttamente i giudici di merito hanno dato il dovuto rilievo alla circostanza che le aggressioni all'onore e alla libertà morale della donna sono state commesse in presenza dei comuni figli minorenni Quanto ai criteri seguiti nella liquidazione del danno non patrimoniale, va rilevato che secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, unica forma possibile di liquidazione di danni privi di caratteristiche patrimoniali è quella equitativa , in cui la dazione di somma di denaro non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. E' quindi logicamente escluso che il giudice abbia l'obbligo in assenza di parametri normativi di commutazione di scandire gli specifici elementi valutativi da lui considerati nella quantificazione della entità del danno e della correlata dimensione del ristoro pecuniario, a fronte di accertati comportamenti che inequivocabilmente sono da ritenere secondo la comune esperienza e secondo consolidati criteri della civile convivenza fonte di sofferenza per chi ne sia stato investito. Nel caso in esame, i giudici di merito hanno correttamente e insindacabilmente dato rilievo alla suindicata circostanza della presenza dei figli minori al momento della pronuncia, da parte dell'imputato, delle parole offensive ed intimidatorie. Merita infine accoglimento il ricorso in relazione alla mancata pronuncia del giudice di appello sulla doglianza relativa alla quantificazione del rimborso delle spese sostenute dalla parte civile nel primo grado di giudizio. La sentenza va quindi annullata sul punto, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena che determina in € 1451,00 di muta. Annulla la medesima sentenza limitatamente alla omessa pronuncia sulla giustificazione del rimborso delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di primo grado con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Rigetta nel resto il ricorso.