La Cassazione ribadisce i criteri per verificare l'applicabilità della retrodatazione in ipotesi di contestazione a catena

La S.C. si concentra sulla definizione dei presupposti indispensabili per anticipare la decorrenza del termine cautelare, descrivendo le diverse ipotesi – in ragione dell'eventuale rapporto tra i fatti contestati – disciplinate dall'istituto.

La sentenza n. 12514/15 della Corte di Cassazione, depositata il 24 marzo, interviene in una materia di particolare complessità, oggetto di intenso contraddittorio processuale e di non meno approfondite dissertazioni dottrinali. Più in dettaglio, tratta l'istituto della c.d. contestazione a catena - ossia della richiesta di emissione di più provvedimenti restrittivi per fatti storicamente diversi tra loro, ma connessi e già noti al momento della prima istanza - più volte invocato dai prevenuti per ottenere la retrodatazione del titolo di cautela e, conseguentemente, un'anticipata perenzione del termine di custodia. Lo fa, illustrando incidentalmente l'applicazione del principio di specialità, nel procedimento di esecuzione di un mandato d'arresto europeo. Il caso. Il giudizio a quo s'innesta nel tormentato percorso giudiziario di un soggetto campano, protagonista di un sodalizio camorristico, con un passato contraddistinto da associazioni criminali dedite al traffico di stupefacenti. L'indagato, ristretto in carcere, era gravato da 2 distinte ordinanze coercitive la prima, nel 2008, per narcotraffico la seconda, nel 2013, per associazione a delinquere di stampo mafioso. In sede di gravame, ex art. 310 c.p.p., il difensore dell'indagato deduceva l'incompatibilità delle 2 diverse contestazioni, afferenti, a suo dire, il medesimo fatto storico e la necessaria retrodatazione del provvedimento impositivo della cautela, soggiungendo che, perlomeno dalla data dell'arresto, sarebbe cessata la permanenza del reato associativo. Il Tribunale di Napoli, nel 2014, rigettava l'appello cautelare proposto avverso le ordinanze del GIP, di poco antecedenti, che avevano negato la revoca della misura cautelare di massima restrizione. La difesa ricorreva per Cassazione, dolendosi in primis , dell'asserita erronea applicazione della legge processuale - con contestuale carenza della parte motiva - per la mancata configurazione di bis in idem nella qualificazione dei diversi titoli di cautela in secondo luogo, della violazione della legge penale sostanziale, poiché il Giudice partenopeo aveva rigettato l'eccezione relativa al principio di specialità, alla cui applicazione il prevenuto non aveva mai rinunciato. Principio di retrodatazione La Suprema Corte – su conforme parere del Procuratore generale – rigetta il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. L' iter motivo si presenta strutturato e, svolto il rituale riepilogo processuale, fa precedere alla vera e propria giustificazione della decisione una corposa premessa teorica che, con il supporto di frequenti citazioni giurisprudenziali, ricostruisce il difficile tema della serie di contestazioni accusatorie legate a successive richieste cautelari, cui dovrebbe teoricamente applicarsi, a precise condizioni, il principio di retrodatazione del dies a quo per il computo dei termini alla data di esecuzione o notificazione della precedente ordinanza imposta allo stesso soggetto ex art. 297, comma 3, c.p.p. . L'Estensore, dunque, può ricondurre i canoni ermeneutici descritti al caso concreto, giungendo a dichiarare l'infondatezza delle doglianze difensive. Contestazione a catena e le misure cautelari. La parte più significativa della motivazione si concentra sulla definizione dei presupposti indispensabili per anticipare la decorrenza del termine cautelare, descrivendo le diverse ipotesi – in ragione dell'eventuale rapporto tra i fatti contestati – disciplinate dall'istituto. Tre le condizioni principali potenzialmente integrabili la consumazione dei delitti anteriormente all'irrogazione della prima ordinanza l'eventuale connessione sussistente tra i fatti la desumibilità del fumus boni iuris , per il secondo delitto, dagli atti già disponibili agli inquirenti. Circa quest'ultimo requisito, il Collegio si preoccupa di precisare che per esso si intende la reale possibilità di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta ed all'adozione di una misura cautelare sul punto si cita in sentenza, consolidando l'indirizzo in questione, Cass., Sez. IV Pen., n. 15451/2012, RV. 253509 . Condizione che, peraltro, si ritiene che maturi non con la materiale disponibilità dell'informativa da parte degli organi investigativi, ma dal momento in cui, ragionevolmente, può presumersi che il contenuto dell'atto sia stato recepito, in seguito ad una meditata analisi del materiale, dal Pubblico Ministero. Nel caso concreto, tuttavia, i fatti erano stati commessi posteriormente all'irrogazione della prima ordinanza e, nondimeno, il Magistrato non avrebbe potuto desumere la sussistenza di un'associazione qualificata, visto che il compendio indiziario, in relazione a quest'imputazione, traeva spunto dalle dichiarazioni rese, solo successivamente, da alcuni collaboratori di giustizia. Principio di specialità. Ulteriore profilo di interesse è costituito dalla precisazione secondo la quale il c.d. principio di specialità in materia consegna dell'estradato – che impedisce la sottoposizione del soggetto consegnato a procedimento penale o a misura restrittiva per fatti anteriori alla consegna e diversi da quelli per i quali quest'ultima è stata concessa – non opera per la parte della medesima condotta successiva a tale consegna, che costituisca protrazione ulteriore del medesimo illecito” si cita, a tal proposito, Cass., Sez. VI Pen., n. 998/1998, RV. 211788 . A ciò s'aggiunga che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, il vincolo associativo può ritenersi cessato esclusivamente nei casi di dimostrato recesso od esclusione del singolo associato. Conclusioni. La decisione appena esaminata dipana una questione articolata sotto il profilo esegetico e di certa pregnanza su un piano pragmatico da un lato, per le delicate conseguenze operative connesse all'indirizzo per il quale si propenda dall'altro per gli effetti devastanti che potrebbe generare, sulle misure in esecuzione, un eventuale revirement del Supremo Collegio. Si presenta, tuttavia, chiara nel metodo e condivisibile nei risultati, riuscendo ad affrontare partitamente i punti nodali del ragionamento e supportando adeguatamente il rigetto delle richieste del ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 gennaio – 24 marzo 2015, numero 12514 Presidente Milo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31 luglio 2014, il Tribunale, sezione del riesame, di Napoli ha rigettato l'appello proposto da Z.S. ai sensi dell'art. 310 cod. proc. penumero e, per l'effetto, ha confermato le impugnate ordinanze del 3 e 26 giugno 2014 con le quali il Gip presso lo stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere applicata con ordinanza del 12 ottobre 2013. Il Tribunale ha, in primo luogo, rilevato che i fatti oggetto dell'ordinanza coercitiva emessa nel novembre 2008 ex art. 74 d.P.R. numero 309/1990 sono diversi da quelli oggetto del titolo cautelare emesso il 12 ottobre 2013 ex art. 416-bis cod. penumero e che, per giurisprudenza costante, le due associazioni per delinquere possono concorrere che, in ogni caso, ai fini della integrazione della condotta di partecipazione all'associazione camorristica che abbia fra i propri fini criminali anche quello della gestione del traffico di sostanze stupefacenti non basta la prova pura e semplice di aver gestito il traffico medesimo che fa comunque difetto il requisito della desumibilità dagli atti , atteso che una parte significativa degli elementi di prova posti a base dell'accusa ai sensi dell' art. 416-bis cod. penumero è stata acquisita in un'epoca successiva alla data della richiesta di rinvio a giudizio, essendo state assunte le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a partire dal maggio 2010 che, quanto alla dedotta violazione del principio di specialità essendo stato Z. consegnato dall'A.G. straniera per un fatto diverso rispetto a quello oggetto del provvedimento coercitivo in discussione, ciò che rileva è se i fatti per i quali interviene il titolo cautelare per un diverso reato siano anteriori rispetto momento della consegna, laddove il reato associativo contestato allo Z. ha continuato a consumarsi anche successivamente all'emissione della misura cautelare, in quanto la data dell'arresto non segna necessariamente la cessazione della permanenza del reato associativo. 2. Avverso l'ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. penumero l'Avv. Mario Francesco Giraldi, difensore di fiducia di Z.S. , e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 299 e 273, comma 2, cod. proc. penumero , per avere il Tribunale denegato la sussistenza della preclusione da bis in idem , stante l'identità storica dei fatti oggetto del provvedimento cautelare in oggetto e di quello adottato nei confronti dello Z. in data 28 novembre 2008. D'altra parte, l'ulteriore reato di riciclaggio di cui all'art. 648-ter cod. penumero aggravato ai sensi dell'art. 7. L. numero 203/1991 sub capo LLL , alla luce delle evidenze probatorie assunte dichiarazioni del collaboratore di giustizia C.S. e il colloquio telefonico intercettato in data 3 ottobre 2008 , risulta avere ad oggetto somme che costituiscono il reimpiego del reato di cui all'art. 74 d.P.R. numero 309/1990, e non anche di quello di cui all'art. 416-bis cod. penumero , sicché si tratta di fatto reato non perseguibile per il privilegio di immunità del cosiddetto auto riciclaggio. 2.2. Violazione di legge penale in relazione agli artt. 32 e 26 L numero 69/2005 e 416-bis cod. penumero , per avere il Tribunale rigettato l'eccezione con la quale si era eccepita la violazione del principio di specialità. Evidenzia il ricorrente che Z. , non avendo rinunciato al principio di specialità, non avrebbe potuto essere assoggettato al provvedimento coercitivo di cui si discute in quanto esso si fonda su elementi acquisiti in epoca antecedente all'arresto e la restrizione in carcere comporta fisiologicamente la cessazione del vincolo associativo salvo dimostrazione di un'ulteriore permanenza del sodalizio criminale, insussistente nella specie. 3. Il Procuratore generale Dott. Roberto Aniello ha chiesto che il ricorso sia rigettato. L'Avv. Mario Francesco Giraldi, difensore di fiducia di Z.S. , ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato sotto entrambi i profili dedotti. 2. Quanto al primo motivo di doglianza, mette conto rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, concorrono con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi Cass. Sez. U, numero 1149 del 25/09/2008, Magistris, Rv. 241883 Sez. 6, numero 46301 del 30/10/2013, Corso e altri Rv. 258163 . Tanto premesso quanto al configurabilità del concorso fra le due fattispecie, ritiene il Collegio che correttamente il Tribunale partenopeo abbia ritenuto insussistenti i presupposti della dedotta inefficacia sopravvenuta della misura cautelare per retrodatazione ai sensi dell'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero , cioè in virtù della cd. contestazione a catena. 2. In linea generale, occorre premettere che, a norma dell'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero , gli effetti di un'ordinanza coercitiva devono essere retrodatati alla data di esecuzione o notificazione di una precedente ordinanza emessa nei confronti dello stesso soggetto - con la conseguenza che il dies a quo ai fini della determinazione dei termini di custodia cautelare della seconda ordinanza viene fatto coincidere, con una fictio iuris , con la data di inizio della carcerazione in conseguenza del primo provvedimento coercitivo -, allorché si tratti di provvedimenti coercitivi per uno stesso fatto, anche se diversamente qualificato o circostanziato, ovvero di ordinanze cautelari per fatti diversi allorché si tratti di fatti a commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza b connessi tra loro ai sensi dell'art. 12, comma lett. b e lett. c , cod. proc. penumero cioè in concorso formale o avvinti dal vincolo della continuazione o legati da nesso teleologico c desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto con il quale sussiste connessione. 2.1. La ratio della disposizione è quella di evitare che, attraverso la reiterazione nel tempo nei confronti di uno stesso soggetto di più ordinanze coercitive per uno stesso fatto o per fatti connessi, i termini di custodia cautelare, pur rigorosamente regimentati dall'art. 303 cod. proc. penumero , vengano ad essere indebitamente prolungati. Il legislatore ha così inteso scongiurare che il pubblico ministero, scaglionando nel tempo le richieste di emissione di più provvedimenti coercitivi per fatti diversi fra loro connessi e già noti al momento dell'emissione della prima ordinanza, possa aggirare il sistema dei termini massimi di custodia e prolungare oltre i limiti di legge il vincolo alla libertà personale si è così voluto garantire che, non appena gli elementi indiziari a fondamento di una determinata imputazione siano conosciuti o conoscibili, anche se emersi in altro procedimento, l'inquirente non indugi nel richiedere l'emissione dell'ordinanza cautelare, e ciò nella prospettiva di assicurare che la durata della custodia dipenda da un fatto obiettivo in ossequio ai canoni di uguaglianza e ragionevolezza , quale quello dell'acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari, e non da una imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare C. Cost. numero 408/2005 . 2.2. Sin dai primi tempi dell'entrata in vigore nel nuovo codice, l'applicazione della norma, anche a causa di una non felice formulazione, in quanto connotata - come la dottrina non ha mancato di evidenziare - da una prosa contorta , ha dato luogo nella prassi, a dubbi e contrasti ermeneutici, risolti nel tempo dal giudice delle leggi e da questa Corte di legittimità. 2.3. In primo luogo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che l'istituto cd. della contestazione a catena è configurabile anche in caso di reati che emergano nell'ambito di procedimenti diversi, pendenti sia innanzi allo stesso giudice sia innanzi a giudici diversi, purché sussistano le altre condizioni di cui all'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero Cass. Sez. U 25/06/1997, Atene Rv. 208167 Cass. Sez. U 22/03/2005, Rahulia Rv. 231058 . La circostanza che l'indagato sia sottoposto a custodia cautelare in forza di titoli cautelari emessi da parte di A.G. diverse non è pertanto di ostacolo all'operatività dell'istituto in oggetto. 2.4. Indi, la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sono state chiamate a più riprese a risolvere nodi interpretativi concernenti l'operatività dell'istituto in caso di ordinanze emesse nello stesso procedimento o in procedimenti diversi, in relazione a fatti connessi o non connessi. Cercando di esemplificare i principali approdi della giurisprudenza di legittimità e costituzionale in materia in particolare, ci si riferisce alle sentenze Cass. Sez. U 22/03/2005, Rahulia Rv. 231058, Cass. Sez. U 19 dicembre 2006, Librato Rv. 235909 e Corte Cost. 3 novembre 2005 numero 408 , si devono distinguere le situazioni in cui si tratti di fatti per i quali si proceda nell'ambito del medesimo procedimento penale ovvero in procedimenti distinti e, nell'ambito di ciascuno di tali ambiti, se si tratti di fatti connessi ovvero non connessi. 2.5. Nel caso in cui i fatti di un medesimo procedimento siano connessi, la retrodatazione della seconda ordinanza alla data di esecuzione o di notificazione della prima opera a condizione che sussistano due condizioni 1 che i fatti siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza coercitiva rispetto alla quale si domanda la retrodatazione 2 che sussista connessione qualificata ex art. 12 lett. b e c c.p.p. fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive. In altri termini, allorché si tratti di fatti connessi per i quali si procede nell'ambito del medesimo procedimento non è necessario che ricorra l'ulteriore requisito della desumibilità dei fatti di cui alla seconda ordinanza coercitiva dagli atti posti a fondamento della prima ordinanza cautelare si veda Cass. Sez. U, Rahulia cit. . Diversamente, nel caso in cui i fatti oggetto del medesimo procedimento non siano connessi, oltre al requisito della anteriorità, è necessario anche l'ulteriore condizione della desumibilità. In tale ipotesi, ai fini della retrodatazione, è dunque richiesto che 1 che i fatti siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda appunto la retrodatazione 2 che i fatti fossero desumibili dagli atti prima dell'emissione della prima ordinanza coercitiva si veda Cass. Sez. U, Rahulia cit., Cass. Sez. U, Librato, cit. . 2.6. Nel caso in cui si tratti di fatti oggetto di procedimenti distinti, occorre distinguere a seconda se si tratti di fatti connessi ovvero non connessi. Nel caso di fatti connessi, vale la regola codificata nella seconda parte dell'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero , secondo la quale la retrodatazione opera a condizione che 1 i fatti siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda la retrodatazione 2 sussista connessione qualificata ex art. 12 lett. b e c c.p.p. fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive 3 i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza netta in tale senso è la motivazione della sentenza della Cass. Sez. U, Librato, cit., allorché schematizza il dictum della sentenza Cass. Sez. U Rahulia cit. . Invece, nel caso in cui si tratti di procedimenti diversi per fatti non connessi, la retrodatazione è possibile solo a condizione che 1 i fatti siano stati commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza coercitiva, rispetto alla quale si domanda la retrodatazione 2 i procedimenti pendano innanzi alla stessa A.G. 3 la loro separazione sia frutto di una scelta indebita del P.M. 4 i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti anteriormente alla prima ordinanza Corte Cost. 3 novembre 2005 numero 408, Cass. Sez. U, Librato, cit. . 3. Fissate tali coordinate ermeneutiche, occorre ancora precisare che, affinché possa ritenersi sussistente il requisito della desumibilità, non è sufficiente che dalle indagini emerga, o comunque sia suscettibile di delinearsi, una notitia criminis, ma è necessario, in primo luogo, che il P.M. sia reso edotto delle emergenze delle indagini mediante la formalizzazione di un'informativa al medesimo, in secondo luogo, che tali risultanze investigative siano suscettibili di consentire la valutazione in termini di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e, quindi, la formulazione di una richiesta di misura cautelare ai sensi dell'art. 291 stesso codice. Ed invero, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, per un verso, i diversi titoli di custodia cautelare devono avere ad oggetto una serie di fatti contemporaneamente conosciuti dal pubblico ministero, di tal che si è ritenuto non applicabile la disposizione contenuta nell'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero alla ipotesi di notizia di reato concernente i fatti relativi alla seconda ordinanza completata e portata a conoscenza del pubblico ministero ai fini della contestazione solo successivamente alla adozione del primo titolo custodiale Cass. Sez. 5, numero 20084 del 21/02/2013, Doci, Rv. 255639 . Per altro verso, la nozione di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all'ari. 297, comma 3, cod. proc. penumero , deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica significanza processuale ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelari - alla richiesta ed all'adozione di una misura cautelare Cass. Sez. 4, numero 15451 del 14/03/2012, Di Paola, Rv. 253509 . Sotto diverso profilo si è affermato che, ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza coincide non con la materiale disponibilità della informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di prova progressivamente acquisiti, ma con quello in cui il suo contenuto possa considerarsi recepito , risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una lettura ponderata del materiale Cass. Sez. 1, numero 12906 del 17/03/2010 Cava Rv. 246839 . 4. Sulla scorta di tali principi di diritto, ritiene il Collegio che, nella fattispecie, non ricorrano le condizioni per applicare l'invocata retrodatazione ex art. 297, comma 3, codice di rito. Occorre premettere che, nel caso de quo, la cd. contestazione a catena viene invocata in relazione a fatti oggetto di procedimenti distinti, in ipotesi connessi, di tal che la retrodatazione postula che 1 i fatti siano stati commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza coercitiva rispetto alla quale si domanda la retrodatazione 2 sussista connessione qualificata ex art. 12 lett. b e c c.p.p. fra i fatti di cui alle due ordinanze coercitive 3 i fatti oggetto del diverso procedimento fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti oggetto della prima ordinanza. Orbene, nel caso in oggetto, fanno difetto sia la prima sia la terza condizione, risultando integrata soltanto la seconda condizione, id est la connessione qualificata fra i fatti. Ed invero, Z. è stato tratto in arresto in esecuzione della prima ordinanza cautelare del novembre 2008 per il reato di associazione per delinquere finalizzata ad attività di narcotraffico mentre l'attuale titolo coercitivo riguarda l'associazione per delinquere di stampo mafioso protrattasi, a tenor di contestazione, in quanto reato permanente, anche oltre la data di emissione del primo provvedimento custodiale. Quanto alla terza condizione, il titolo custodiale che viene in rilievo si fonda essenzialmente sulle propalazioni rese da collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni nel 2010, dunque in un'epoca successiva al decreto che dispone il giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. Conclusivamente, fanno difetto i presupposti per l'applicazione dell'istituto della contestazione a catena e, dunque, per far retroagire l'inizio della limitazione della libertà personale per il procedimento in oggetto alla data di esecuzione della prima ordinanza. 3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso col quale si è eccepita la violazione del principio di specialità. 3.1. A tale riguardo, giova premettere che, in materia di mandato d'arresto Europeo, la violazione del principio di specialità, che preclude la sottoposizione della persona consegnata a procedimento penale o a misura privativa della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale la stessa è stata concessa, non può essere fatta valere dopo che le autorità dello Stato estero hanno prestato assenso all'estensione della consegna per i fatti ulteriori, in quanto per effetto di questa vicenda è venuta meno l'attualità del vizio Cass. Sez. 1, numero 3791 del 07/11/2013, Allegro, Rv. 259163 . In una fattispecie in tutto sovrapponibile a quella di specie per associazione per delinquere di tipo mafioso, questo giudice di legittimità ha chiarito che il rispetto del principio di specialità riguarda esclusivamente i fatti anteriori alla consegna dell'estradato, di tal che, in ipotesi di reato permanente, se il suddetto principio impedisce che l'interessato possa essere assoggettato a misura restrittiva della libertà personale per la parte della condotta che riguarda il periodo anteriore alla consegna, il principio medesimo non opera per la parte della stessa condotta successiva a tale consegna, la quale costituisce la protrazione ulteriore del medesimo illecito Cass. Sez. 6, numero 998 del 19/03/1998, Brugnano C, Rv. 211788 . Ne discende che la violazione del principio di specialità non può essere fondatamente invocata nel caso di specie, nel quale il reato associativo posto a base del provvedimento coercitivo si è protratto - giusta contestazione provvisoria - oltre la data di arresto e di consegna dell'indagato all'A.G. italiana. 3.2. Né, come argomenta il ricorrente, si potrebbe ritenere che l'intervenuto arresto di Z. in relazione ai fatti di cui al primo titolo custodiale abbia di per sé determinato la cessazione della permanenza del reato associativo, di tal che i fatti de quibus devono ritenersi commessi in epoca anteriore alla consegna, con conseguente violazione del delineato principio di specialità. A tale riguardo, non può non essere ribadito il consolidato insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di associazione per delinquere, il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio criminoso di appartenenza, atteso che, in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività e, dall'altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento Cass. Sez. 4, numero 2893 del 07/12/2005, Attolico Rv. 232883 . E ancora, in una fattispecie consimile a quella di specie in tema di retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 297, comma 3, cod. proc. penumero in fattispecie di associazione di stampo mafioso, questa Corte ha affermato che il sopravvenuto stato detentivo dell'indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato Cass. Sez. 1, numero 46103 del 07/10/2014, Caglioti Rv. 261272 . Legittimamente il giudice a quo ha, dunque, concluso che, in assenza di elementi dimostrativi della intervenuta rescissione del vincolo associativo, la carcerazione non possa di per sé ritenersi idonea a determinare la cessazione della permanenza del reato associativo. 4. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. penumero .