Omesso versamento IVA, a rischiare è il patrimonio dell’imprenditore

In caso di omesso versamento dell’IVA, deve essere disposto il sequestro non sui beni della società, ma su quelli dell’amministratore di fatto, se questo gestiva i conti correnti della cooperativa e prelevava da questi ingenti somme di denaro.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 11164, depositata il 16 marzo 2015. Il caso. In seguito ad un primo annullamento da parte della Corte di Cassazione, il Tribunale di Ferrara disponeva il sequestro preventivo per equivalente nei confronti di quattro indagati per reati tributari omessa dichiarazione e omesso versamento IVA , commessi, secondo le accuse, in qualità di amministratori di fatto di alcune cooperative. Gli indagati ricorrevano in Cassazione, contestando il sequestro sui propri beni senza previa escussione dei beni delle cooperative. Il sequestro avrebbe dovuto riguardare primariamente i beni che costituiscono il profitto del reato, consistenti, nel caso di specie, nelle somme che le cooperative, persone giuridiche dotate di un loro patrimonio, avrebbero dovuto versare all’Erario. La Corte di Cassazione concorda però con i giudici di merito, i quali avevano sottolineato che i conti correnti delle cooperative, a cui era riferibile l’omesso versamento dell’IVA, cioè il profitto del reato inteso come risparmio di spesa, erano risultati gestiti dagli imputati, che avevano prelevato rilevanti somme di denaro dai conti correnti di alcune di esse. Sequestro sui beni della società. Gli Ermellini richiamano, quindi, il proprio precedente n. 10561/14 , in cui era stato affermato che, in materia di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, prevista dagli artt. 1, comma 143, l. n. 244/2007 e 322- ter c.p., non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui il reo agisca come effettivo titolare dei beni. Inoltre, sottolineano i giudici di legittimità, il denaro di cui era stato disposto il sequestro non era entrato nel patrimonio delle cooperative, andandosi a sommare con gli altri beni che facevano parte di questo, ma semplicemente non ne era uscito, perché esso sarebbe stato illecitamente risparmiato , essendo il frutto della mancata corresponsione di imposte dovute. Forma per equivalente. Se l’illecito arricchimento si sostanzia in un mancato esborso, il sequestro deve necessariamente avvenire nella forma per equivalente, in quanto non solo il denaro è un bene assolutamente fungibile, per cui sarebbe insensata l’apposizione di un vincolo su alcuni individuati beni nummari, ma soprattutto perché, in tal caso, esso non ha una sua materialità fisica, ma è consistito in un’immateriale entità contabile che, proprio perché non ha dato luogo ad un esborso, non si è mai reificata in moneta contante . Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 febbraio – 16 marzo 2015, numero 11164 Presidente Romis – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. E.M.B. , El.Ma.Sa. , El.Ma.Bi. e M.S. propongono ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa il 10/10/2014 dal Tribunale di Ferrara in seguito ad annullamento con rinvio disposto con sentenza numero 22900 del 19/02/2014 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione. 2. Con ordinanza del 10/10/2013, il Tribunale di Ferrara aveva rigettato le richieste di riesame proposte dagli interessati avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente emesso dal Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale il 5/09/2013, in relazione ai reati loro contestati ai sensi degli articolo 5 e 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, avente ad oggetto beni mobili e immobili, e la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione aveva accolto il ricorso proposto dagli indagati sulla base della seguente motivazione Dalla semplice lettura del provvedimento impugnato, emerge che il Tribunale non ha, neanche per sommi capi, descritto la fattispecie al suo esame e si è per lo più limitato a richiamare massime giurisprudenziali relative alla possibilità di procedere al sequestro di somme di denaro depositate su conti correnti cointestati a soggetti non indagati, in quanto comunque nella disponibilità dell'indagato. Né la motivazione circa il fumus commissi delicti può consistere nel semplice letterale richiamo - operato dal Tribunale alla pag. 2 dell'ordinanza impugnata - agli elementi oggettivi e soggettivi risultanti nell'informativa della Guardia di Finanza e consistenti in svariate deposizioni testimoniali di operatori delle singole cooperative in ordine alla eterodirezione delle stesse rispetto alle operazioni oggetto della contestazione a giudizio e nella verifica delle operazioni dispositive a carico delle singole società, che ne denotano la disponibilità in capo ai medesimi gestori. Il Tribunale non chiarisce, infatti, quali siano gli elementi oggettivi e soggettivi in questione non richiama, neanche in sintesi, il contenuto delle deposizioni testimoniali non spiega come da tali deposizioni emerga la sostanziale disponibilità delle singole - non meglio indicate - società in capo ai medesimi gestori non evidenzia come da tale ipotizzata disponibilità derivino indizi dei reati contestati”. 3. Con il ricorso qui proposto si censura l'ordinanza impugnata per i seguenti motivi a violazione di legge, omessa motivazione sul punto concernente il ruolo di amministratore di fatto dei ricorrenti, omessa motivazione sul punto concernente il nesso tra il predetto ruolo e l'attribuibilità in astratto delle fattispecie contestate. Premesso che oggetto di valutazione del Tribunale del riesame devono essere, non solo le allegazioni probatorie del pubblico ministero ma anche, le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa, i ricorrenti lamentano carenza di motivazione con riferimento alla allegazione di numerose fatture e di altri documenti emessi dalle cooperative consorziate a favore di terzi che nulla hanno a che vedere con il consorzio e che, fino a prova contraria, comproverebbero la non fittizietà delle cooperative medesime. In ogni caso, si assume, il ruolo di amministratore di fatto non denota automaticamente caratteri di illiceità con riferimento alle condotte omissive di presentazione della dichiarazione annuale I.V.A. e di omesso versamento di I.V.A. all'erario, che sono di pertinenza esclusiva degli amministratori formali b inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 322 ter cod. penumero , sequestro su beni degli indagati senza previa escussione dei beni delle cooperative. Secondo i ricorrenti, il Tribunale del riesame ha violato la norma che prevede che il sequestro deve primariamente vertere sui beni che costituiscono il profitto del reato, nel caso di specie consistenti nelle somme che le cooperative, in quanto persone giuridiche dotate di un loro patrimonio, avrebbero dovuto versare all'erario c violazione degli articolo 125 cod. proc. penumero e 322 ter cod. penumero , omessa motivazione in punto di nesso tra ruolo degli indagati e profitto, omessa motivazione in punto ragioni della escussione dei beni nella disponibilità degli indagati. Secondo i ricorrenti, la motivazione sul punto concernente la scelta dei beni da sottoporre a sequestro fornita dal Tribunale è meramente apparente, non essendo stati spiegati in alcun modo gli asseriti nessi tra il ruolo di amministratori di fatto o responsabili giuridici delle cooperative rivestito dagli indagati e il beneficio loro derivante dal reato. La motivazione sarebbe carente anche in merito alle ragioni per le quali non vi sia stata previa escussione dei beni delle cooperative, avendo il Tribunale addotto l'impossibilità di ipotizzare un concorso tra ente e persona fisica del reato tributario, ossia un argomento irrilevante rispetto alla doglianza prospettata dalla difesa d omessa motivazione in punto di dimostrazione in concreto del profitto in capo agli indagati. I ricorrenti deducono carenza di motivazione in merito alla doglianza concernente la mancata dimostrazione del vantaggio patrimoniale direttamente correlato alla consumazione del reato riconducibile agli indagati. Considerato in diritto 1. Considerazione preliminare è che, nel caso in esame, l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale del riesame di Ferrara era intervenuto per accertato vizio di motivazione, in particolare perché non era dato cogliere gli elementi costitutivi della fattispecie in questione. Ciò posto, va ricordato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l'annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Nel primo caso, il giudice di rinvio ha sempre l'obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni, persino in presenza di una modifica dell'interpretazione delle norme che devono essere applicate da parte della giurisprudenza di legittimità. 1.1. Occorre, dunque, delimitare l'ambito di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pronunciati in sede di rinvio. Premesso che secondo l'articolo 628, comma 2, cod.proc.penumero il provvedimento emesso dal giudice del rinvio può essere impugnato soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di Cassazione ovvero nel caso in cui il giudice di rinvio non si sia uniformato alle questioni di diritto decise dalla Corte, tale norma è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale espressiva del principio della tendenziale irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, che risponde alla finalità di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire quell'accertamento definitivo che, realizzando l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche, costituisce lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale, mostrandosi pertanto conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidato alla medesima Corte dall'articolo 111 Cost. Corte Cost.numero 136 del 3/07/1972, numero 21 del 19/01/1982, numero 294 del 26/06/1995 . La norma in esame ha, dunque, la funzione di impedire che quanto deciso dalla Corte Suprema venga rimesso in discussione attraverso l'impugnazione della sentenza del giudice di rinvio Sez.2, numero 41461 del 6/10/2004, Guerrieri, Rv.230578 . 1.2. È, peraltro, ius receptum che la Corte di Cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica dell'adempimento dell'obbligo della motivazione ed alla quaestio iuris così giudicata è tenuto ad uniformarsi il giudice del rinvio, così come è tenuto a fare, a mente dell'articolo 627, comma 3, cod.proc.penumero in ogni altro caso di annullamento Sez.1, numero 26274 del 6/05/2004, Francese, Rv. 228913 . Il principio di diritto è, in tal caso, rispettato ove il giudice del rinvio motivi la sua decisione sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in sede di legittimità Sez. 4, numero 30422 del 21/06/2005, Poggi, Rv.232019 . 1.3. Nel caso in esame, la sentenza di annullamento aveva espressamente fornito la traccia argomentativa alla quale il giudice del rinvio avrebbe dovuto attenersi e nell'ordinanza impugnata, premessa la sopravvenuta pronuncia di incostituzionalità dell'articolo 10 ter d. lgs. numero 74/2000 nella parte in cui puniva l'omesso versamento I.V.A. per importi non superiori per ciascun periodo di imposta ad Euro 103.291,38, con conseguente esclusione di taluni fatti contestati dal novero delle condotte costituenti reato e necessità di rivedere la complessiva somma equivalente all'imposta evasa da considerare ai fini del sequestro, nonché la ritenuta estraneità ai fatti di cui all'imputazione di altro coimputato, con specifico riferimento agli indagati qui ricorrenti il Tribunale ha ritenuto che le indagini svolte dalla Guardia di Finanza avessero consentito di far emergere numerosi elementi comprovanti il fumus dei reati loro contestati. 2. Esaminando partitamente i motivi di ricorso, deve affermarsi l'inammissibilità del primo motivo in quanto manifestamente infondato. 2.1. In ottemperanza alle indicazioni della sentenza di annullamento, il Tribunale ha esaminato e riprodotto nell'ordinanza il contenuto saliente delle dichiarazioni rese da dieci persone a proposito della circostanza che alcune cooperative gerenti i servizi di facchinaggio presso l'Interporto di Bologna avessero sede, unità locali e forza lavoro in comune con il Consorzio CILSI, riconducibile a vario titolo agli indagati, da tanto desumendo che questi ultimi svolgessero il ruolo di amministratori di fatto delle medesime cooperative. A tale affermazione il Tribunale è, peraltro, pervenuto valutando le dichiarazioni testimoniali non in sé ma in correlazione al fatto che le movimentazioni dei conti correnti intestati ad almeno undici di dette cooperative avvenissero ad opera di soggetti esterni alle compagini sociali, muniti di deleghe strumentali a tale esclusivo scopo, oltre che in correlazione al fatto che alcune sedi sociali fossero inesistenti, o raggruppate negli stessi luoghi o in prossimità. Ma anche in merito alla responsabilità penale degli amministratori di fatto, piuttosto che degli amministratori formali, nell'ordinanza si legge specifica replica alle deduzioni difensive, avendo ritenuto il Tribunale che la realizzazione di persone giuridiche fittizie dimostrasse la preordinazione di un sistema di stretta collaborazione degli amministratori di fatto con coloro che ricoprivano cariche sociali nelle dette cooperative. 2.2. La censura per violazione di legge e motivazione carente sul punto si pone, pertanto, in frontale contrasto con il testo dell'ordinanza impugnata, non essendo compito della Corte di legittimità verificare se il giudice del riesame abbia trascurato di esaminare talune argomentazioni difensive che, in presenza di un quadro indiziario congruamente indicato come grave, sono state implicitamente disattese. 2.3. È, in proposito, condiviso nella giurisprudenza di legittimità il principio, applicabile con le dovute distinzioni anche in materia di impugnazioni cautelari, secondo il quale nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non sia tenuto a compiere un'esplicita analisi di tutte le deduzioni delle parti né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, essendo sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice Sez. 2, numero 9242 del 8/02/2013, Reggio, Rv.254988 Sez. 6, numero 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.254107 Sez. 4, numero 34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.253512 Sez. 4, numero 45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.241907 . 3. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente. Si tratta di censure inammissibili in quanto manifestamente infondate. 3.1. In merito alle argomentazioni difensive tendenti a negare il potere dell'autorità giudiziaria di disporre il sequestro preventivo per equivalente di beni nella disponibilità degli indagati senza previa escussione dei beni che costituiscono profitto dei reati tributari, il Tribunale ha sviluppato specifica argomentazione pagg. 17-18 , sottolineando che i conti correnti delle società cooperative, alle quali era riferibile l'omesso versamento dell'I.V.A., dunque il profitto del reato inteso come risparmio di spesa, risultavano gestiti dagli imputati, i quali avevano prelevato rilevanti somme di denaro dai conti correnti di talune di esse. Si tratta, dunque, di un'ipotesi rispetto alla quale le deduzioni difensive circa la necessaria previa escussione del patrimonio societario risultano inconferenti, anche alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Sez. U, numero 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646 , in cui si è affermato il principio per cui In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli articolo 1, comma 143, legge numero 244 del 2007 e 322 ter cod. penumero non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni”. 3.2. È utile sottolineare, in ogni caso, che il denaro del quale è stato disposto il sequestro non è entrato nel patrimonio delle società cooperative in questione, andandosi a sommare con gli altri beni di esso facenti parte, ma, secondo l'ipotesi accusatoria, semplicemente non ne uscito, perché, come ipotizzato dagli inquirenti, esso sarebbe stato illecitamente risparmiato, essendo il frutto della mancata corresponsione di imposte dovute. Ed in tal caso va chiarito che, allorquando la illecita locupletazione si sostanzi in un mancato esborso, il sequestro dovrà necessariamente avvenire nella forma per equivalente e ciò, non solo perché il denaro è bene assolutamente fungibile di talché non avrebbe senso, come è ovvio, l'apposizione di un vincolo su taluni individuati beni nummari , ma principalmente perché, in tal caso, esso non ha mai avuto una sua materialità fisica, ma è consistito in una immateriale entità contabile che, proprio perché non ha dato luogo a un esborso, non si è mai reificata in moneta contante Sez. 3, numero 49631 del 30/05/2014, Guarracino, Rv. 261148 . 4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto genericamente formulato e, comunque, manifestamente infondato. È sufficiente esaminare quanto indicato a pag.17 dell'ordinanza impugnata per desumerne l'esplicita indicazione delle concrete emergenze indiziarie comprovanti il vantaggio patrimoniale conseguito dagli indagati in diretta correlazione alla consumazione del reato. 5. Conclusivamente, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in applicazione dell'articolo 616 cod. proc. penumero , segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, in considerazione delle ragioni d'inammissibilità del ricorso stesso, sì ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00 ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.