La sottile linea di confine tra induzione e fruizione della prostituzione minorile

Risponde di tentata fruizione della prostituzione minorile, e non già di tentata induzione alla prostituzione, colui che compie atti idonei ad intrattenere atti sessuali con un minore di età compresa tra 14 e 18 anni in cambio di denaro o altra utilità, atteso che la seconda fattispecie presuppone che il reo solleciti il minorenne a compiere rapporti sessuali con un soggetto terzo. Non ricorre la desistenza volontaria se detti rapporti non vengono consumati a causa di eventi del tutto estranei alla volontà dell’agente.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sez. III Penale, con la sentenza n. 10487 depositata il 12 marzo 2015. Una vicenda molto amara. Droga e sesso con minori, questi gli elementi chiave di una storia dai contorni inquietanti. A rendere il tutto ancora più grave è la qualificazione soggettiva del suo protagonista un sacerdote, imputato, tra le altre cose, di cessione di stupefacenti e di tentata induzione alla prostituzione minorile. Molte le questioni sollevate con il ricorso dalla difesa tra queste, alcune trovano accoglimento all’esito del giudizio di legittimità. La più interessante, in termini squisitamente tecnici, è quella relativa alla esatta qualificazione della condotta di colui che tenta di indurre un minorenne a compiere atti sessuali in cambio di denaro o altra utilità. Il perimetro della induzione Nel giudizio di merito era stata pronunciata condanna per il reato di tentata induzione alla prostituzione ma la difesa solleva una puntuale doglianza, e gli Ermellini la condividono. Nel caso di specie era, infatti, emerso che proprio l’imputato sarebbe dovuto essere il fruitore dei rapporti sessuali a pagamento”. La Suprema Corte, a questo punto, richiama una precedente decisione delle Sezioni Unite del 2013, che, con molta chiarezza, ha risolto un contrasto interpretativo in materia. La condotta di induzione alla prostituzione richiede, precisano da Piazza Cavour, che il fruitore del rapporto sessuale sia diverso da colui che sollecita il minorenne a prostituirsi. Se invece l’induttore è lo stesso soggetto che intende fruire delle prestazioni sessuali ricorrerà la diversa ed in termini di pena, sensibilmente meno grave fattispecie di compimento di atti sessuali con minore in cambio di denaro o altra utilità, punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000 contro la più grave pena da sei a dodici anni, più multa da euro 15.000 a euro 150.000 . La logica di una soluzione del genere sembra evidente in mancanza di una tale distinzione, una delle due norme – quella che incrimina la fruizione, segnatamente – sarebbe del tutto inutile. e quello della desistenza volontaria. Nella sentenza in esame è affrontato un altro problema, molto caro alla dommatica penalistica, relativo alla desistenza volontaria. Si pone sul tradizionale solco della differenza tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto, in relazione al quale viene in risalto la differente figura del c.d. recesso attivo. La linea di distinzione si basa, come tradizionalmente si dice, sull’interruzione dell’azione criminosa – tipica della desistenza volontaria – e l’impedimento dell’evento, che costituisce il tratto peculiare del recesso attivo. Nel caso in esame, dalla lettura della sentenza, si comprende che l’incontro per scopi sessuali veniva rimandato a causa di alcuni contrattempi. La Corte, quindi, non accoglie la prospettazione difensiva, tesa ad ottenere il riconoscimento di una desistenza volontaria dall’azione. Sostengono i Supremi Giudici che per aversi desistenza occorre l’elemento della volontarietà, e che questo non ricorre laddove vi siano fattori esterni che influiscono sulla libera determinazione dell’agente. Volontarietà, specificano, significa che la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore . Quindi, in altri termini, occorre che sia l’imputato a scegliere” di desistere e non, invece, che sia costretto” a farlo a causa degli eventi. Una decisione che valorizza il principio di tassatività. Tornando all’intervento regolatore sulla differenza tra induzione alla prostituzione minorile e fruizione della stessa, si apprezza la precisione chirurgica con cui, alla luce del principio di tassatività della fattispecie penale, viene tracciato il distinguo di cui parlavamo poc’anzi. Ed in effetti, vien da pensare che, in un universo normativo come il nostro, spesso costellato di norme di dubbia interpretazione, il compito del giudice non è niente affatto facile. Ricostruire la intenzione del legislatore, specialmente nel caso di norme – come quella oggetto del caso in esame – introdotte con interventi di novellazione”, rappresenta un’impresa davvero ardua.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 novembre 2014 – 12 marzo 2015, n. 10487 Presidente Mannino – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 22 marzo 2013, la Corte d'appello di Genova ha - per quanto qui rileva - confermato la sentenza del Gip del Tribunale di Genova del 3 maggio 2012, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato condannato a per il reato di cui agli artt. 609 bis, primo e ultimo comma, 61, nn. 5 e 9 , cod. pen., così qualificato il fatto di cui al capo 1 bis dell'imputazione, nonché per il reato di cui al capo 5 dell'imputazione artt. 56, 600 bis, primo comma, cod. pen. , cod. pen., relativamente a violenza sessuale ai danni di un minorenne, posta in essere, abusando dei poteri e violando i doveri di ministro del culto cattolico, in diverse occasioni e con le modalità analiticamente descritte nell'imputazione, e al tentativo di induzione alla prostituzione di altro minorenne, riconosciuta la continuazione tra tali reati b per il reato di cui agli artt. 81 secondo comma, cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, relativamente all'offerta e alla cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina a diversi soggetti, alcuni dei quali minorenni, riconosciuta la circostanza attenuante di cui al comma 5 dello stesso articolo come equivalente alla contestata aggravante di cui al successivo art. 80, comma 1, lettera a c per il reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, per la cessione ad un soggetto di un modesto quantitativo di cocaina a titolo gratuito. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deduce la nullità delle sentenze di primo e secondo grado ex art. 522 cod. proc. pen., essendo stata effettuata una modificazione del capo di imputazione non consentita nel giudizio abbreviato. In particolare - secondo la ricostruzione difensiva - il capo 1 bis dell'imputazione si riferiva originariamente a un tentativo di costringere e indurre un minore a compiere o subire atti sessuali, posto in essere attraverso contatti e tramite telefonate, sms, inviti del minore ad appuntamenti in parrocchia, anche in orari scolastici, oltre che con toccamenti e abbracci. A detta della difesa, nella fase preliminare dell'udienza di giudizio abbreviato, il pubblico ministero aveva chiesto di poter modificare l'imputazione, contestando il reato nella forma consumata e precisando che lo stesso era stato posto in essere con violenza. Il difensore s'era opposto, ma il giudice aveva autorizzato la modifica del capo d'imputazione, sostenendo che nel caso in esame non si era verificata la violazione del diritto di difesa, perché lo stesso capo d'imputazione non era stato modificato nelle sue linee essenziali. 2.2. - In secondo luogo, si lamentano l'erronea applicazione dell'articolo 609 bis cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione al reato di cui al capo 1 bis dell'imputazione. In particolare, la Corte d'appello non avrebbe correttamente valutato l'attitudine degli atti posti in essere dall'imputato pacche sul sedere, abbracci, una carezza sul ginocchio nel corso di una confessione ad integrare gli atti sessuali di cui all'art. 609 bis richiamato i giudici di secondo grado si sarebbero concentrati sulla disamina delle intenzioni sessuali dell'imputato, senza analizzare i comportamenti concreti da questo posti in essere. Si sarebbe travisato, in particolare, il rilievo difensivo secondo cui gli sms scritti dall'imputato per offrire stupefacente a soggetti terzi erano stati scritti in momenti in cui lo stesso imputato non aveva il pieno possesso delle sue facoltà mentali perché aveva assunto stupefacenti. Tale rilievo difensivo non era mai stato esteso - ad avviso della difesa - ai comportamenti materiali posti in essere dall'imputato stesso e ritenuti atti sessuali dalla Corte d'appello. Non si sarebbe considerato, poi, che la stessa persona offesa aveva affermato che le pacche sul sedere avevano un connotato di scherzo ed erano prive di implicazioni sessuali. Sarebbe inoltre errato, secondo la difesa, il giudizio della Corte distrettuale circa la valenza sessuale degli abbracci da dietro ai danni del minore, perché gli stessi sarebbero stati connotati in tal senso solo sulla base della constatazione dell'omosessualità dell'imputato. Analoghe considerazioni varrebbero -prosegue la difesa - anche per il toccamento del ginocchio della persona offesa, avvenuto nel corso di una confessione e alla presenza della madre di quest'ultimo. Né il tenore sessuale dei messaggi inviati dall'imputato alla persona offesa e degli altri suoi messaggi potrebbe valere a connotare in senso sessuale gli atti materiali da questo commessi. La difesa prosegue, poi, con la disamina del concetto giuridico di atti sessuali , sostenendo che questi coinciderebbero con le categorie della congiunzione carnale o degli atti di libidine, restando escluse le condotte non rientranti in una di tali categorie, quali quelle poste in essere nel caso di specie. 2.3. - In terzo luogo, si lamentano l'erronea applicazione dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché la manifesta illogicità e la mancanza della motivazione in relazione all'offerta a terzi di cocaina. Ad avviso del ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe tenuto conto del fatto che le offerte non avevano il requisito della serietà, perché in alcuni casi erano irrealizzabili e in altri casi erano semplicemente riferite ad informazioni su gusti o preferenze di soggetti con i quali l'imputato era in contatto via chat, relativamente all'ipotetico consumo di stupefacenti. Non si sarebbe considerato, inoltre, che l'acquisto avrebbe potuto essere un acquisto diretto da parte degli interlocutori dell'imputato dal fornitore, senza l'intermediazione dell'imputato stesso. 2.4. - Con un quarto motivo di doglianza, si lamentano la violazione della disposizione incriminatrice, relativamente al capo 5 dell'imputazione, perché i fatti non sarebbero inquadrabili nel tentativo di induzione alla prostituzione, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul punto. Non si sarebbe considerato, in particolare, che lo stesso imputato aveva posto in essere una desistenza volontaria, ai sensi dell'art. 56, comma 3, cod. pen. Secondo la difesa, mancano i requisiti dell'induzione alla prostituzione, perché il contatto con la persona offesa era stato procacciato tramite un terzo soggetto ed era stata la persona offesa stessa a contattare l'imputato, e non viceversa. Si trattava, inoltre, di un minorenne già dedito alla prostituzione, che, nella conversazione telefonica con l'imputato, aveva affermato di avere 18 anni. Ad avviso della difesa, il comportamento complessivamente tenuto dall'imputato sarebbe al più astrattamente riconducibile a quello del fruitore di prostituzione minorile, ai sensi del secondo comma del richiamato art. 600 bis. Quanto allo specifico profilo della desistenza volontaria, la stessa sarebbe desumibile dal fatto che l'imputato aveva deciso di non incontrare il minore, proprio per il timore morale delle conseguenze della condotta, come confermato da sue conversazioni telefoniche e da conversazioni telefoniche dello stesso minore. In ogni caso, non sarebbero stati posti in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco al compimento del reato, perché tali non sarebbero i semplici contatti telefonici. 2.5. - Con un quinto motivo di doglianza, si lamentano l'erronea applicazione dell'art. 81 cod. pen. e la carenza e manifesta illogicità della motivazione quanto al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione fra i fatti oggetti dei capi 2, 3 e 5 dell'imputazione. La Corte d'appello si sarebbe limitata, sul punto, a considerare il lasso temporale tra le contestazioni, dimenticando di rilevare che il soggetto cessionario della sostanza stupefacente era sempre lo stesso e che identiche erano le modalità dell'offerta. Anche il tentativo di induzione alla prostituzione avrebbe dovuto essere ricondotto al medesimo disegno criminoso, perché il minorenne era stato avvicinato proprio con la prospettiva dell'assunzione di cocaina. Né il fatto che gli altri episodi di cessione di cocaina non fossero connessi con la prostituzione minorile sarebbe di per sé sufficiente ad escludere l'invocata continuazione. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è solo parzialmente fondato. 3.1. - Il primo motivo di doglianza - con cui si deduce la nullità delle sentenze di primo e secondo grado ex art. 522 cod. proc. pen., essendo stata effettuata una modificazione del capo 1 bis dell'imputazione non consentita nel giudizio abbreviato - è manifestamente infondato. Dalla prospettazione difensiva emerge, infatti, che non vi è stata alcuna modificazione dell'imputazione o contestazione suppletiva, ma semplicemente una diversa qualificazione giuridica del fatto, che è ben possibile anche nel giudizio abbreviato. Infatti - secondo quanto riportato dalla stessa difesa - il capo 1 bis dell'imputazione si riferiva originariamente ad una condotta, qualificata in termini di tentativo, diretta a costringere e indurre un minore a compiere o subire atti sessuali, posta in essere attraverso contatti e tramite telefonate, sms, inviti al minore a raggiungere in parrocchia, anche in orari scolastici, oltre che con toccamenti e abbracci. Ma dalla stessa descrizione dei fatti contenuta nell'imputazione - che non è mutata all'esito della richiesta di riqualificazione formulata dal pubblico ministero in sede di giudizio abbreviato - emerge con chiarezza che gli stessi integrano una violenza sessuale consumata, perché consistono in toccamenti e abbracci effettivamente posti in essere e non in semplici tentativi diretti in tal senso. E le modalità repentine attraverso le quali i toccamenti e gli abbracci si sono realizzati integrano senza dubbio la violenza secondo l'univoca giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., non è necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo ex plurimis sez. 3, 27 gennaio 2004, n. 6945, rv. 228493 sez. 3, 15 giugno 2010, n. 27273, rv. 247932 sez. 3, 26 settembre 2013 n. 42871, rv. 256915 . Tale essendo la situazione di fatto, Corte d'appello ha correttamente richiamato l'art. 443, comma 3, cod. proc. pen., il quale, nel consentire l'appello del pubblico ministero contro la sentenza di condanna nei casi di modificazione del titolo di reato, espressamente ammette che una tale modificazione possa esservi legittimamente nel corso del giudizio abbreviato. E la modificazione del titolo del reato è concetto del tutto diverso rispetto alla modificazione dell'imputazione, perché solo quest'ultima consiste in un mutamento degli elementi essenziali del reato in tal senso, Cass. pen., sez. 4, 14 febbraio 2007, n 12259 ciò che conta è che sia consentita alla difesa un'ampia possibilità di interlocuzione sulla nuova qualificazione del fatto interlocuzione che deve ritenersi adeguatamente assicurata sia quando la riqualificazione venga operata dal giudice di primo grado nella sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato, sia, a maggior ragione, quando la stessa è sollecitata dal pubblico ministero all'apertura del giudizio. In entrambi i casi, infatti, l'imputato è posto nelle condizioni di interloquire sulla stessa nel primo, con i motivi di appello, con i quali possono essere richieste la rivalutazione della sentenza di primo grado e l'acquisizione di integrazioni probatorie utili a smentirne il fondamento sez. 6, 14 febbraio 2012, n. 10093 nel secondo, già durante lo svolgimento del giudizio abbreviato in primo grado. E ciò è quanto è avvenuto nel caso di specie se nel corso del giudizio di primo grado, sia con l'appello proposto nell'interesse dell'imputato, attraverso il quale questi ha proposto una rilettura dei fatti e della loro qualificazione giuridica, poi riproposta anche in sede di legittimità vedi supra 2.2. e infra 3.2. . 3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamentano l'erronea applicazione dell'art. 609 bis cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione al reato di cui al capo 1 bis dell'imputazione - è inammissibile, perché sostanzialmente diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione nel merito della responsabilità penale rivalutazione preclusa in sede di legittimità. Il ricorrente concentra infatti le sue critiche essenzialmente su due rilievi, già ampiamente analizzati e disattesi nelle sentenze di primo e secondo grado a la pretesa mancata valutazione dell'attitudine degli atti posti in essere dall'imputato pacche sul sedere, abbracci, una carezza sul ginocchio nel corso di una confessione ad integrare, sul piano oggettivo, gli atti sessuali di cui all'art. 609 bis cod. pen. b l'erronea valutazione del tenore sessuale degli sms inviati e del loro collegamento con gli atti materiali posti in essere. A fronte del tentativo della difesa - rinnovato con il ricorso per cassazione - di parcellizzare i vari elementi della condotta per escluderne la valenza indiziaria, la Corte d'appello correttamente ribadisce che gli atti posti in essere dall'imputato assumono connotazione sessuale proprio nel contesto complessivo, che emerge dal tenore inequivocabilmente sessuale delle sue conversazioni, dei suoi inviti, dei suoi sms. Si tratta, del resto, di atti che anche oggettivamente appaiono riconducibili alla fattispecie astratta di cui all'art. 609 bis cod. pen., perché attingono direttamente zone erogene del corpo sedere, ginocchia, petto, collo, orecchio , e sono posti in essere in contesti non scherzosi o goliardici, ma espressamente connotati in senso sessuale dallo stesso imputato. E il contesto nel quale gli atti sono stati posti in essere è analiticamente descritto dai giudici di primo e secondo grado in particolare, la Corte d'appello specifica sul punto che a le espressioni utilizzate dall'imputato avevano tenore erotico ed erano state più volte ripetute dallo stesso, in alcuni casi accompagnate da bestemmie o inviti a trasgressioni di carattere blasfemo b l'imputato aveva descritto ad A. , il soggetto destinatario delle sue confidenze, sia l'attrazione sessuale che provava per la persona offesa, sia gli atti sessuali posti in essere c lo stesso imputato aveva specificato le difficoltà che stava incontrando nel superare le resistenze del giovane e nell'evitare il controllo della madre di quest'ultimo d il minore era stato espressamente invitato dall'imputato ad incontri sessuali e a visitare insieme siti Internet pornografici e degli atti non emerge nessuna prova della pretesa mancanza della capacità di intendere e di volere dell'imputato nel momento in cui inviava al suo interlocutore minorenne messaggi a sfondo sessuale f la persona offesa il cui narrato trova conferma negli ampi riscontri evidenziati alle pagine 67-75 della sentenza impugnata aveva avuto fastidio per gli approcci dell'imputato e per gli atti concreti da questo posti in essere, subiti come invasioni della sfera sessuale. 3.3. - Inammissibile è anche il terzo motivo di doglianza, con cui si lamentano l'erronea applicazione dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, nonché la manifesta illogicità e la mancanza della motivazione in relazione all'offerta a terzi di cocaina. 3.3.1. - Si tratta, infatti, di una doglianza basata su una prospettazione meramente alternativa rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, oltre che del tutto indimostrata, secondo la quale gli acquisti di stupefacente da parte dei soggetti con cui l'imputato parlava sarebbero avvenuti direttamente dal fornitore, senza l'intermediazione dell'imputato stesso. La disponibilità dello stupefacente in capo all'imputato è, invece, pacifica, perché lo stesso vi fa riferimento più volte. E in tale contesto, le domande rivolte agli interlocutori avevano la natura di chiari approcci sessuali destinati alla consumazione di rapporti accompagnati dall'assunzione dello stupefacente fornito dall'imputato. In alcuni casi, inoltre, lo stupefacente era proposto dall'imputato come corrispettivo per rapporti sessuali, così integrandosi pienamente -come già osservato - il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Correttamente, dunque, la Corte d'appello ritiene inverosimile la ricostruzione difensiva, secondo cui le offerte di stupefacente non avevano il requisito della serietà perché in alcuni casi erano irrealizzabili e in altri casi erano semplicemente riferite ad informazioni su gusti o preferenze di soggetti con i quali l'imputato era in contatto via chat, relativamente all'ipotetico consumo di stupefacenti. Il consumo di stupefacenti al quale l'imputato invitava i suoi interlocutori era, infatti, del tutto concreto e reale pagg. 75-80 della sentenza impugnata . 3.3.2. - Quanto alla pena irrogata per il reato continuato di cui al capo 2 dell'imputazione, deve rilevarsi che la stessa supera i limiti massimi attualmente vigenti. Si tratta infatti della fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, che all'epoca della pronuncia della sentenza impugnata costituiva una circostanza attenuante e non una autonoma ipotesi di reato. In primo grado era stata ritenuta l'equivalenza tra tale attenuante e l'aggravante di cui all'art. 80, comma 1, lettera a , dello stesso d.P.R. era stata considerata una pena base di anni 6 di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa aumentata di mesi 2 di reclusione ed Euro 2000,00 di multa per ogni episodio in continuazione, giungendo alla pena di anni 7 di reclusione e Euro 39.000,00 di multa, diminuita per il rito alla pena finale di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed Euro 26.000,00 di multa. Le pene base prese in considerazione sono dunque - come anticipato - superiori ai massimi edittali la fattispecie - che costituisce reato autonomo - è attualmente punita, in forza della più favorevole disciplina attualmente vigente, introdotta dall'art. 1, comma 24-ter, lettera a , del d.l. n. 36 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 79 del 2014, con le pene massime di quattro anni di reclusione ed Euro 10.329,00 di multa. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Genova, in relazione alla pena per il reato di cui al capo 2 dell'imputazione. 3.4. - Il quarto motivo di impugnazione è parzialmente fondato. 3.4.1. - La qualificazione del fatto di cui al capo 5 dell'imputazione ai sensi degli artt. 56 e 600 bis, primo comma, cod. pen., fatta propria dai giudici di primo e secondo grado, nel senso del tentativo di induzione alla prostituzione, non risulta corretta, alla luce di quanto chiarito dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 19 dicembre 2013, n. 16207, rv. 258757. Con tale pronuncia si è superato un precedente contrasto interpretativo, affermando che la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non di quella di cui al comma primo dell'art. 600 bis cod. pen E la diversa condotta di induzione alla prostituzione minorile, di cui al comma primo dello stesso articolo, può riguardare anche l'attività di mercimonio esercitata nei confronti di un solo soggetto, purché terzo rispetto all'induttore. In altri termini, si è evidenziato che l'induzione, per essere tale, deve essere diretta a fare si che il minore abbia rapporti sessuali con un soggetto diverso dall'induttore, perché altrimenti si risolve nel compimento di rapporti sessuali con minorenne in cambio di denaro o altra utilità economica. Stando al capo di imputazione fatto proprio dai giudici di merito, in cui si fa riferimento all'offerta di denaro o utilità economiche da parte dell'imputato al minore per convincerlo a compiere con lui atti sessuali poi non effettivamente compiuti, deve, in conclusione, rilevarsi che la stessa deve essere sussunta nell'ipotesi di reato di cui agli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen., con la conseguenza che la sentenza deve essere sul punto annullata, per la rideterminazione della pena. 3.4.2. - Venendo alla fattispecie concreta, deve rilevarsi che - contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - la motivazione della sentenza impugnata risulta pienamente logica e coerente quanto all'esclusione della desistenza volontaria dell'imputato dalla condotta, ai sensi dell'art. 56, comma 3, cod. pen La Corte d'appello precisa, infatti pagg. 88-91 che il minorenne persona offesa ha riferito che l'imputato aveva disdetto l'appuntamento precedentemente fissato a fini sessuali semplicemente affermando di non poter venire, senza che emergesse in alcun modo la volontarietà della sua desistenza. Dal suo comportamento complessivo si desumeva, anzi, la perdurante intenzione dell'imputato di realizzare i suoi scopi, perché lo stesso non aveva rinunciato all'incontro ma l'aveva semplicemente rimandato e lo aveva fatto per una serie di contrattempi del tutto estranei alla sua volontà analiticamente descritti alla pag. 91 la sentenza impugnata . E questa Corte ha più volte precisato che, in tema di desistenza dal delitto, la volontarietà non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell'azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione dell'agente ex multis, sez. 2, 29 gennaio 2014, n. 7036, rv. 258791 sez. 2, 5 aprile 2013, n. 18385, rv. 255919 . Quanto all'idoneità degli atti commessi dall'imputato alla commissione del reato, deve parimenti richiamarsi la motivazione della sentenza impugnata, la quale si sofferma analiticamente su tale aspetto pagg. 91-93 , specificando che erano stati concordati i luoghi, i prezzi e le modalità dei rapporti sessuali che avrebbero dovuto essere consumati. L'imputato aveva, del resto, piena conoscenza della minore età della persona offesa, della quale era stato informato da A. , il soggetto che fungeva inizialmente da intermediario fra i due pag. 88 della sentenza impugnata . 3.5. - Il quinto motivo di doglianza - con cui si lamentano l'erronea applicazione dell'art. 81 cod. pen. e la carenza e manifesta illogicità della motivazione quanto al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione fra i fatti oggetti dei capi 2, 3 e 5 dell'imputazione - è fondato. Effettivamente la Corte d'appello si è limitata, sul punto, a valorizzare il lasso temporale tra le contestazioni, senza rilevare che il soggetto cessionario della sostanza stupefacente era sempre lo stesso e che identiche erano le modalità dell'offerta. Inoltre la stessa Corte non ha preso in considerazione il fatto che il minorenne della cui prostituzione l'imputato intendeva avvantaggiarsi era stato avvicinato proprio con la prospettiva dell'assunzione di cocaina. Né la circostanza che gli altri episodi di cessione di cocaina non siano connessi con la prostituzione minorile è di per sé sufficiente ad escludere l'invocata continuazione. Più in particolare, la motivazione della sentenza appare contraddittoria agli ultimi due capoversi di pag. 93, laddove si afferma, da un lato, che la prostituzione del minore E. non è connessa alle cessioni di stupefacenti, perché queste ultime non sono in generale collegate a episodi di prostituzione minorile, e si afferma, dall'altro lato, che l'offerta di stupefacente a E. è stata correttamente posta in continuazione con le altre offerte di stupefacenti. 4. - La sentenza impugnata deve essere dunque annullata, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Genova, in relazione alla continuazione, perché proceda a nuovo giudizio sul punto tenendo conto dei rilievi appena sopra svolte e procedendo alla rideterminazione della pena in relazione alla continuazione eventualmente sussistente, oltre che in conseguenza della rideterminazione della pena per il reato di cui al capo 2 e per il reato di cui al capo 5, a seguito della sua riqualificazione ai sensi degli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen Il ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Riqualificato il reato di cui al capo 5 dell'imputazione ai sensi degli artt. 56 e 600 bis, secondo comma, cod. pen., annulla la sentenza impugnata limitatamente alla continuazione e alla determinazione della pena, e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.