Tutti i periti concordano: il giudice è invitato ad ascoltarli

Il fatto che il giudice sia peritus peritorum non significa che possa disattendere una serie di concordi conclusioni provenienti da plurime fonti qualificate. Ammettere una soluzione del genere , sottolineano gli Ermellini, equivarrebbe a sminuire e porre nel nulla la competenza altrui frutto di anni di studi specialistici, sulla base della lettura di un semplice articolo letto nel giro di pochi minuti . Il giudice non può, perciò, disattendere le conclusioni peritali, in materie estranee alla propria competenza, sulla base della propria scienza personale derivante da incerte e generiche letture di testi destinati ad un indifferenziato pubblico e, quindi, neppure specialistiche .

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 9358, depositata il 4 marzo 2015. Il caso. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello di Bari assolveva un imputato dal reato di circonvenzione d’incapace perché il fatto non sussisteva. Le parti civili ricorrevano, ai soli effetti civili, in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 643 c.p., che disciplina la fattispecie contestata i giudici di merito avrebbero ignorato, in maniera illogica, le conclusioni del perito d’ufficio, secondo cui la vittima, nel momento in cui aveva effettuato gli atti dispositivi a favore dell’imputato, si trovava in un conclamato stato d’incapacità di intendere e di volere. Inoltre, avrebbero sottovalutato il degrado in cui la donna viveva, indice del suo alterato stato mentale. Infine, l’imputato non era l’unica persona che le prestava assistenza. La Corte di Cassazione ricorda che l’art. 643 c.p. tutela il patrimonio del minorato, cioè di chi, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trova in una minorata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali. Chi viene tutelato dalla norma? I soggetti passivi sono divisi in tre categorie, minori, infermi psichici, deficienti psichici. Per infermità psichica si intende ogni alterazione psichica derivante sia da un vero e proprio processo morboso, sia da una condizione che, anche se non patologica, menoma le facoltà intellettive o volitive. La deficienza psichica è un’alterazione dello stato psichico, meno grave dell’infermità, ma comunque idonea a porre il soggetto passivo in uno stato di minorata capacità, in quanto le sue capacità intellettive, volitive e affettive, fanno scemare o diminuire il pensiero critico. In entrambi i casi, il reato è configurato qualora si dimostri l’instaurazione di un rapporto squilibrato tra la vittima e l’agente, in cui il secondo ha la possibilità di manipolare la volontà della prima grazie al fatto che questa si trova in una minorata situazione e, quindi, incapace di opporre resistenza a causa della mancanza o diminuzione di capacità critica. Questa situazione deve essere oggettiva e riconoscibile da parte di tutti. Le condotte. Per l’integrazione della fattispecie di reato, sono necessari altri due elementi oggettivi, che consistono nell’induzione, da intendersi come un’apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione, a compiere un atto che comporti per il soggetto passivo qualsiasi effetto giuridico dannoso e nell’abuso dello stato di vulnerabilità, che si verifica nel caso in cui l’agente, conscio della vulnerabilità della vittima, ne sfrutta la debolezza per raggiungere il suo fine. Scontro sulle perizie. Nel caso di specie, alla donna era stata diagnosticata una demenza senile con aspetti deliranti. Ulteriori conferme erano derivate da successive risultanze mediche e dalla perizia d’ufficio. Su tali basi, nonché sul fatto che non c’erano prove che gli atti dispositivi fossero stati effettuati per riconoscenza e gratitudine nei confronti dell’imputato, il giudice di primo grado aveva pronunciato una sentenza di condanna. Al contrario, la Corte d’appello aveva assolto l’uomo perché non aveva creduto alle risultanze mediche ed alla perizia, dedicando gran parte della sentenza proprio a confutare tale perizia, basando la propria opinione su una voce tratta dal Dizionario di medicina della Treccani. Il fatto che il giudice sia peritus peritorum non significa che possa disattendere una serie di concordi conclusioni provenienti da plurime fonti qualificate. Ammettere una soluzione del genere , sottolineano gli Ermellini, equivarrebbe a sminuire e porre nel nulla la competenza altrui frutto di anni di studi specialistici, sulla base della lettura di un semplice articolo letto nel giro di pochi minuti . Il giudice non può, perciò, disattendere le conclusioni peritali, in materie estranee alla propria competenza, sulla base della propria scienza personale derivante da incerte e generiche letture di testi destinati ad un indifferenziato pubblico e, quindi, neppure specialistiche . Nuove disposizioni senza effetto. Inoltre, ciò che era fondamentale valutare era se la donna, al momento delle disposizioni, fosse compus sui in caso di risposta negativa, era indifferente affermare come fatto dall’imputato che, in considerazione dei rapporti conflittuali con i propri parenti, non avrebbe mai inteso beneficiarli. Difatti, una volta che una persona sia dichiarata incapace di intendere e di volere, viene privata ex lege della possibilità di compiere validi negozi giuridici, per cui divengono automaticamente eredi, al momento del decesso, le persone che tali sono per legge, salvo una diversa disposizione contenuta in un testamento redatto in un momento in cui la persona era compos sui . Secondo il consulente tecnico, così non era con riguardo al testamento redatto in favore dell’imputato. Infine, ricorda la Corte di legittimità, nelle circonvenzioni non bisogna tanto valutare in astratto le condizioni in cui può venirsi a trovare un soggetto, quanto, in concreto, come il soggetto passivo abbia saputo autodeterminarsi a fronte dell’azione subdola dell’agente, cioè se questo ha potuto manipolare la volontà della vittima a causa della minorata situazione e la vittima sia stata incapace di opporre resistenza. Queste valutazioni non erano state effettuate dalla Corte d’appello di Bari, per cui la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e, fermi gli effetti penali, rimanda la decisione al giudice civile in sede di appello.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 febbraio – 4 marzo 2015, n. 9358 Presidente Petti – Relatore Rago Fatto 1. Con sentenza del 28/03/2014, la Corte di Appello di Bari, in riforma della sentenza pronunciata in data 04/11/2011 dal giudice monocratico del Tribunale della medesima città, assolveva R.S. dal reato di circonvenzione di incapace ai danni di Lo.Ma. perché il fatto non sussiste. 2. Avverso la suddetta sentenza, L.R. , LO.Pi. , C.S.U. , e C.D. - nella loro qualità di parti civili - a mezzo del comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione ai soli effetti civili deducendo 2.1. la violazione dell'art. 643 cod. pen. i ricorrenti sostengono che la Corte territoriale a avrebbe disatteso in modo manifestamente illogico le conclusioni alle quali era pervenuto il perito nominato d'ufficio il quale aveva concluso sostenendo che la Lo. , al momento in cui effettuò gli atti dispositivi a favore del R. , si trovava in un conclamato stato di incapacità d'intendere e volere b avrebbe male interpretato o, comunque, sottovalutato, il compendio probatorio evidenziato, invece, correttamente dal primo giudice e cioè il degrado in cui la Lo. viveva indice del suo alterato stato mentale e dal fatto che non era vero che il R. era l'unica persona che le prestasse assistenza 2.2. non avrebbe potuto pronunciare il provvedimento con il quale, in sede di esecuzione, in data 27/06/2014, aveva disposto il dissequestro delle polizze vita ordinandone la restituzione al R. e ciò perché si trattava di un atto di disposizione effettuato dalla Lo. mentre si trovava in stato di incapacità. 3. Con memoria depositata il 17/01/2015, R.S. , a mezzo del proprio difensore, ha confutato quanto dedotto dai ricorrenti parti civili ed ha sostenuto la correttezza della sentenza impugnata. Diritto 1. La presente decisione impone una breve ma necessaria digressione sul reato di cui all'art. 643 c.p L'art. 643 c.p., inserito fra i delitti contro il patrimonio mediante frode, tutela il patrimonio del minorato ossia di colui che, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trovi in una minorata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali. La legge individua tre categorie di soggetti passivi 1 i minori 2 l'infermo psichico 3 il deficiente psichico. Il fatto che la legge distingua fra infermo psichico e deficiente psichico e non consideri necessario che il soggetto passivo si trovi nella condizione per essere interdetto o inabilitato, induce a ritenere che - per infermità psichica deve intendersi ogni alterazione psichica derivante sia da un vero e proprio processo morboso quindi catalogabile fra le malattie psichiatriche sia da una condizione che, sebbene non patologica, menomi le facoltà intellettive o volitive - la deficienza psichica , invece, è un'alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave della infermità, tuttavia, è comunque idonea a porre il soggetto passivo in uno stato di minorata capacità in quanto le sue capacità intellettive, volitive o affettive, fanno scemare o diminuire il pensiero critico. Rientrano in tale categoria, fra l'altro, ad es., la fragilità e la debolezza di carattere Cass. 9/10/1973, Ced. 126922 . Peraltro, il minimo comun denominatore che si può rinvenire nelle due predette situazioni, consiste nel fatto che, in tanto il reato può essere configurato in quanto si dimostri l'instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente nel senso che deve trattarsi di un rapporto in cui l'agente abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima a causa del fatto che costei si trova, per determinate situazioni da verificare caso per caso, in una minorata situazione e, quindi, incapace di opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica. Tale situazione di minorata capacità dev'essere oggettiva e riconoscibile da parte di tutti in modo che, chiunque possa abusarne per raggiungere il suoi fini illeciti Cass. 15/10/1987, Rv 175682 . L'art. 643 c.p., infine, al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede in aggiunta alla minorata capacità di cui si è detto altri due elementi oggettivi - l'induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un'apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione [Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331] che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto - l’ abuso dello stato di vulnerabilità. L'abuso si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sé o ad altri un profitto. 2. In secondo luogo, va rammentato che, secondo il consolidato principio di diritto, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello sia che riformi la decisione di condanna di primo grado, Cass. 7630/2044 Rv. 231136 Cass 46742/2013 Rv. 257332 Cass. 1253/2013 Rv. 258005 sia che riformi una decisione assolutoria Cass. 35762/2008 Rv. 241169 Cass. 42033/2008 Rv. 242330 Cass. 22120/2009 Rv. 243946 , ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato SSUU 33748/2005 Rv. 231679 . Si è, infatti, osservato che, in tali fattispecie, la motivazione della sentenza di appello si caratterizza per un obbligo peculiare e rafforzato di tenuta logico-argomentativa, che si aggiunge a quello generale della non apparenza, non manifesta illogicità e non contraddittorietà art. 606/1 lett. e c.p.p. , dovendo il giudice di appello non solo indicare l'iter logico argomentativo posto a sostegno del proprio alternativo ragionamento probatorio, ma anche di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, non potendosi limitarsi ad imporre la propria vantazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile a quella del primo giudice. 3. In fatto, deve ritenersi accertato - in modo del tutto pacifico ed incontestato - che alla ormai defunta Lo.Ma. nata il OMISSIS , deceduta il OMISSIS ed interdetta con sentenza del 05/05/2008 , nel momento in cui effettuò gli atti dispositivi per cui è processo il versamento della somma di Euro 5.170,36 sul conto corrente del R. in data 14/12/2004 la modificazione di due polizze vite, originariamente intestate agli eredi e, poi, al R. , in data 12/08/2005 era stata diagnosticata, a seguito di un ricovero, in stato confusionale, presso gli Ospedali di OMISSIS , dal quale era stata dimessa in data 21/12/2004, una Demenza senile con aspetti deliranti cfr pag. 12 sentenza di primo grado . Tale diagnosi, era stata, poi, confermata, nell'agosto del 2005, dal DSM che aveva diagnosticato un disturbo delirante in soggetto con involuzione senile al quale il giudice tutelare aveva demandato una visita specialistica pag. 13 sentenza di primo grado ed ulteriormente ribadita dal perito prof. Ca. - nominato in data 20/03/2007, nell'ambito dell'incidente probatorio - il quale, sulla base della storia clinica della Lo. ricoverata nel reparto di Neurologia dell'Ospedale di venere di OMISSIS già nel febbraio del 2003 , nonché dell'osservazione diretta concluse che, nel dicembre 2004, la Lo. si trovava in una condizione di circonvenibilità pag. 17 sentenza di primo grado . Il primo giudice, poi, ritenne di trovare conferma del suddetto dato clinico, sia nelle testimonianze di L.R. , Lo.Pi. , l.i.g. che avevano riferito sulla mania di persecuzione della Lo. pag. 10 sentenza , sia della stessa O. che aveva parlato di eccentricità pag. 8 ss , sia dal fatto che la Lo. , nonostante fosse benestante, viveva in un appartamento che venne trovato in stato di degrado pag. 4 , sia, infine, dalle modalità con le quali era stato effettuato il versamento della somma sul conto corrente del R. pag. 18 ss ed il cambio del beneficiario delle polizze vita pag. 20 ss . Il primo giudice, infine, sulla base della svolta istruttoria, disattese la tesi difensiva secondo la quale il R. sia stata l'unica persona ad interessarsi della Lo. [ .] né è emersa prova che gli atti di disposizione patrimoniale della Lo. in favore del R. siano stati compiuti per riconoscenza e gratitudine verso di lui per l'opera di assistenza prestatale, piuttosto che in conseguenza della circonvenzione effettuata dall'imputato ” pag. 10 - 11 sentenza di primo grado . 4. Al contrario, la Corte di Appello ha assolto l'imputato perché, sostanzialmente, non ha creduto, alle risultanze mediche e, in particolare, a quelle del perito d'ufficio. Infatti, la gran parte della sentenza, si basa su una puntigliosa confutazione della perizia, alla stregua della quale, la Corte, dopo avere discettato sulla demenza senile basandosi sulla voce tratta dal Dizionario di medicina della Treccani , giunge a sostenere a che la conclusione alla quale il perito era pervenuto era frutto di supposizioni e di ipotesi e non di effettivo accertamento ” pag. 9 b che le osservazioni del giudice tutelare - che pochi giorni prima del primo episodio di circonvenzione del 22/07/2005 - aveva esaminato la Lo. rilevando che non risulta pienamente in grado di relazionarsi con la realtà circostante e riferisce di non riconoscere i propri familiari ”, erano, in realtà spiegabili con l'età e le difficoltà visive della stessa pag. 11 c che, in realtà, la decisione di indicare il R. non appariva né priva di causa l'imputato era un amico di lunga data né priva di motivazioni personali la Lo. detestava tutti i parenti con i quali aveva interrotto ogni contatto . 6. Come si può notare, mentre la sentenza di primo grado effettua una valutazione coerente di tutto il compendio probatorio e, sulla base di esso, confuta motivatamente la tesi difensiva, al contrario, la Corte di Appello, fonda la sua decisione, in pratica, sulla confutazione dei dati medici e clinici, nonché, sull'interpretazione della volontà della Lo. ricostruita ex post sulla base di due dati fattuali l'amicizia con il R. ed il forte dissidio con i parenti . Sul punto, però, va osservato quanto segue. Il giudice, indubbiamente, è libero di valutare tutti gli atti processuali e, quindi, anche gli esiti di una perizia. Il fatto, però, che il giudice sia, come si suoi dire, peritus peritorum , non significa che può impunemente disattendere una serie di concordi conclusioni provenienti da plurime fonti qualificate, sulla base della propria scienza personale derivante dalla lettura della voce Demenza tratta da un semplice Dizionario di medicina destinato, quindi, ad un pubblico generico e neppure agli specialisti. Ammettere una conclusione del genere, equivarrebbe a sminuire e porre nel nulla la competenza altrui frutto di anni di studi specialistici, sulla base della lettura di un semplice articolo letto nel giro di pochi minuti. È certamente encomiabile il giudice che non si adagi sulle conclusioni peritali che non lo convincono, ma, quello che non può fare, salvo casi eclatanti di perizie incongrue ed errate, è quello di disattendere le conclusioni peritali in specie ove, come nel caso di specie, vertano su materie del tutto estranee alla propria competenza sulla base della propria scienza personale derivante da incerte e generiche letture di testi destinati ad un indifferenziato pubblico e, quindi, neppure, specialistiche. In altri termini, nei casi in cui il giudice dubiti delle conclusioni del perito, ha due strade a convocarlo e, nel contraddittorio delle parti, porre tutte le domande finalizzate a dissipare i dubbi derivanti dalla perizia b ove tale strada non lo soddisfi, nominare un altro perito al quale - dopo avere evidenziato i punti critici e le parti non convincenti della prima perizia - sottoporre tutti i dubbi. Ed è proprio su tale punto che la sentenza impugnata mostra, quindi, i suoi evidenti limiti. Altro punto che la Corte non ha considerato con la dovuta accortezza è l'affermazione secondo la quale la decisione della Lo. di indicare il R. non appariva né priva di causa l'imputato era un amico di lunga data né priva di motivazioni personali la Lo. detestava tutti i parenti con i quali aveva interrotto ogni contatto . Ora, in punto di fatto, si può anche ammettere che, in considerazione dei pessimi rapporti che la Lo. aveva con i propri parenti, mai e poi mai avrebbe disposto dei propri beni in loro favore. Ma, la questione focale non è questa la questione consiste nello stabilire se, nel momento in cui la Lo. dispose di una parte del proprio patrimonio in favore del R. , fosse o meno compus sui ed infatti, ove, in ipotesi, si pervenisse alla definitiva conclusione che non lo era, diventa del tutto indifferente, ai fini giuridici, affermare che ella, in considerazione dei rapporti conflittuali con i propri parenti, non avrebbe mai inteso beneficiarli. La suddetta circostanza, infatti, è del tutto irrilevante ai fini legali, perché, una volta che una persona sia dichiarata incapace di intendere e, volere, viene privata, ex lege, della possibilità di compiere validi negozi giuridici sicché, come effetto conseguente, divengono automaticamente eredi - al momento del decesso - le persone che tali sono per legge, salva, ovviamente, diversa disposizione contenuta in un testamento redatto in un momento in cui il de cuius era compus sui il che, a quanto pare, così non è, perché il testamento che il R. ha provveduto a far pubblicare ed in cui era stato nominato erede universale, è stato ritenuto apocrifo dal consulente nominato dal giudice civile cfr pag. 25 sentenza di primo grado. Infine, va osservato che questa Corte, con la sentenza n. 28801 del 26/06/2009, Lorenzetto in un caso di severa depressione fisica e psichica , rilevò che, nelle circonvenzioni il punto che occorre focalizzare non è tanto la valutazione in astratto delle condizioni in cui può venirsi a trovare un soggetto, quanto, in concreto, come il soggetto passivo, a fronte dell'azione subdola dell'agente, abbia saputo reagire rectius autodeterminarsi e cioè in una parola se l'agente, proprio a causa del rapporto squilibrato che instaura con la vittima, abbia avuto la possibilità di manipolarne la volontà a causa della minorata situazione fisica e/o psichica , e la vittima sia stata incapace di opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica” . È evidente, quindi, che la Corte - contrariamente al primo giudice - non ha affatto valutato anche questo aspetto peculiare del reato di circonvenzione, avendo, con motivazione manifestamente illogica, disatteso le conclusioni non solo del perito d'ufficio ma anche le diagnosi formulate da medici specialistici degli ospedali presso i quali la Lo. era stata ricoverata. Tanto basta, quindi, per annullare la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile in sede di appello che rivaluterà, attentamente, tutti gli elementi indiziari evidenziati dal primo giudice, e, alla luce dei cennati principi di diritto motivazione rinforzata valutazione di tutte le prove attento vaglio della perizia anche alla luce delle considerazioni critiche svolte dalla Corte territoriale , stabilirà se, nella fattispecie, sia o no configurabile il reato di circonvenzione. 7. Infine, la censura secondo la quale la Corte non avrebbe potuto disporre la restituzione dei beni al R. , deve ritenersi infondata. Infatti, una volta che l'imputato era stato prosciolto con formula amplissima il fatto non sussiste non vi era ragione alcuna perché la Corte non dovesse ordinare la restituzione dei beni a chi ne era il legittimo proprietario. P.Q.M. ANNULLA la sentenza impugnata limitatamente al capo concernenti le statuizioni civili e, fermi gli effetti penali, rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Spese al definitivo.