Se la vittima denuncia l’estorsore prima di consegnare i soldi, la desistenza volontaria è esclusa

La desistenza volontaria è configurabile nei casi in cui la parte di condotta già realizzata dall’agente rientri negli elementi costitutivi del delitto tentato ove l’autore inverta con modalità inequivocabili la situazione di cui abbia ancora la piena disponibilità, in modo che quella situazione, già concretizzata e penalmente rilevante, non sia in grado di evolversi autonomamente verso la piena consumazione del delitto.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 9388/15 depositata il 4 marzo. Il caso. Il Tribunale di Salerno, in sede di riesame, confermava la misura della custodia cautelare in carcere a carico di un indagato per concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, ritenendo sussistente il quadro di gravità indiziaria e le esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione del reato, escludendo al contempo l’ipotesi della desistenza volontaria avvallata dall’indagato. La pronuncia viene impugnata per cassazione sollevando due questioni di diritto. La configurabilità del tentativo. In primo luogo il ricorrente contesta la supposta idoneità della sua condotta, come risultante agli atti, ai fini della realizzazione del reato di cui all’art. 629 c.p., nella forma del tentativo. In merito a tale profilo, i Giudici di legittimità ribadiscono il principio secondo cui l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante , considerando anche le circostanze in cui opera l’agente e le modalità dell’azione, al fine di determinare la reale adeguatezza causale e l’attitudine della condotta a creare un pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto. Il concetto di desistenza. Ulteriore profilo giuridico, legato al tema del tentativo, riguarda le modalità attraverso le quali può intervenire la desistenza. In merito la Suprema Corte evidenzia la contrapposizione di soluzione ermeneutiche differenti. Viene, ad esempio, affermata la differenza tra tentativo incompiuto” e tentativo compiuto”, ricostruita in termini differenti a seconda che l’azione tipica consista in un atto unico o in una pluralità di atti. Altra autorevole dottrina ha indicato il criterio della continuità temporale” e del dominio diretto” dell’azione intrapresa, al fine di individuare il momento ultimo in cui è ancora possibile configurare la desistenza. In tal senso, la desistenza volontaria si distinguerebbe dal recesso attivo per essere configurata come spontaneo abbandono dell’azione, quando l’agente ne controlla ancora in modo diretto e immediato le possibilità di sviluppo, mentre il recesso attivo è caratterizzato da un intervento postumo, al termine del predetto dominio. La spontanea decisione dell’autore di impedire il reato. In conclusione, ciò che rileva al fine di configurare la desistenza volontaria, nel caso in cui la parte di condotta già realizzata presenti i requisiti della configurabilità degli elementi costitutivi del delitto tentato, è che l’autore inverta la situazione di cui abbia ancora il pieno controllo, con modalità inequivoche, in modo che quella situazione già concretizzata e penalmente rilevante non sia in grado di evolversi autonomamente verso al piena consumazione del delitto. Nel caso di specie, la valutazione dei giudici di merito circa l’idoneità e l’univocità della condotta alla configurazione del reato contestato si sottrae a qualsiasi censura, così come corretta è l’esclusione della desistenza, in quanto la consumazione del reato è stata impedita dall’iniziativa della potenziale vittima del reato che ha sporto denuncia alla polizia giudiziaria, prima che l’estorsione potesse completarsi. Per questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 febbraio – 4 marzo 2015, numero 9388 Presidente Petti – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 14/11/2014, II Tribunale di Salerno, a seguito di istanza di riesame avanzata nell'interesse di P.S., indagato per il reato di concorso in tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, confermava l'ordinanza del Gip di Salerno, emessa in data 28/10/2014, con la quale era stata applicata al prevenuto la misura cautelare della custodia in carcere. 2. II Tribunale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria fondato sulla denuncia della persona offesa Esposito Armando procuratore generale della ESA costruzioni , sulle dichiarazioni di alcuni dipendenti dell'impresa, sulle individuazioni fotografiche e sulle indagini di pg. Respingendo le obiezioni della difesa, il Tribunale escludeva l'ipotesi della desistenza, considerando compiuta l'azione diretta ad estorcere denaro all'impresa. Quanto alle esigenze cautelare, il Tribunale riteneva sussistente il pericolo di reiterazione del reato e reputava la custodia cautelare in carcere unica misura adeguata, tenendo conto che P.S. aveva dei precedenti per evasione. 3. Avverso tale ordinanza propone ricorso l'indagato, per mezzo dei suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce violazione dell'art. 273 cod. proc. penumero In proposito eccepisce che nella specie il tentativo non si è realizzato e l'azione è rimasta incompiuta per la desistenza degli agenti. Eccepisce, pertanto, che la fattispecie in esame non integra gli estremi dei delitto tentato. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. 2. La vicenda in esame pone due questioni di diritto che devono essere approfondite a l'idoneità degli atti, diretti in modo non equivoco a commettere il reato di cui all'art. 629 cod. penumero b la configurabilità della desistenza con riferimento al mancato proseguimento dell'azione da parte dei concorrenti nel reato. 3. In punto di diritto, quanto alla configurabilità del tentativo, va ribadito il principio di diritto, secondo cui l'idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto da ultimo, tra le tante, Sez. 1^, numero 27918/2010 Rv. 248305 Sez. 2^, numero numero 44148/2014, Rv. 260855 . 4. Tanto premesso, resta il problema di individuare le modalità attraverso le quali possa intervenire la desistenza. Sul punto questa Corte, Sez.VI, con la sentenza numero 40678/2011 ha osservato che l'individuazione del momento entro il quale può ancora intervenire la desistenza ha trovato soluzioni ermeneutiche differenti, di cui sono esempio la distinzione tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto , con diverse ricostruzioni a seconda che l'azione tipica si caratterizzi per il compimento di un unico atto o di una pluralità di atti, con l'ulteriore evidenziazione dei tra loro autonomi connotati oggettivi e soggettivi della desistenza. Autorevole dottrina ha indicato il criterio della continuità temporale e del dominio diretto dell'azione intrapresa, quale idoneo a individuare il momento ultimo in cui la desistenza è ancora configurabile, a prescindere dalla eventuale pluralità di atti che possono essere posti in essere la differenza tra desistenza volontaria e recesso attivo andrebbe quindi colta nel fatto che la prima è un abbandono dell'azione, quando ancora l'agente ne domina in modo diretto e immediato il divenire, mentre il secondo è caratterizzato da un intervento postumo, quando tale dominio è ormai cessato. Giacché in realtà ciò che rileva sarebbe la sostanziale continuità temporale con il permanente dominio dell'azione in atto opposta ad una discontinuità, o distacco o rottura temporale - rispetto all'azione prima intrapresa - che determinerebbe la perdita di tale dominio diretto dell'azione, in definitiva idonea a produrre i propri effetti quali determinatisi a quel momento. In definitiva, ciò che rileva per configurare la desistenza volontaria nei casi in cui già la parte di condotta compiuta presenterebbe i requisiti per la configurabilità degli elementi costitutivi del delitto tentato è che - in termini di sostanziale continuità temporale - l'autore inverta con modalità inequivoche la situazione, di cui ha ancora la piena disponibilità, il pieno dominio, sicché quella situazione già concretizzatasi e penalmente rilevante non sia, per sè, inevitabilmente suscettibile di muovere autonomamente verso la piena consumazione del delitto& gt & gt . 5. Nel caso di specie, i giudici di merito si sono espressi sulla reale adeguatezza causale del comportamento tenuto dall'indagato in concorso con il concorrente P. Antonio , considerate le circostanze esistenti al momento della condotta e il contesto in cui la stessa veniva a realizzarsi, ritenendo sussistenti i requisiti dell'idoneità ed univocità degli atti, ma hanno escluso la desistenza volontaria sul presupposto che l'azione, diretta ad estorcere denaro alla ditta edile ESA costruzioni, si fosse già compiuta, non essendosi più spazio per la desistenza volontaria e non essendosi realizzato l'evento soltanto per cause indipendenti dalla volontà degli agenti. 6. Orbene tale conclusione appare coerente con la ricostruzione dei fatti come operata dallo stesso Tribunale. I fatti presi in considerazione si sono verificati in data 17, 18 e 21 maggio 2010. II 17 maggio due giovani si sono avvicinati alle transenne ed hanno chiesto notizie sulla provenienza territoriale dell'impresa esecutrice dei lavori. II 18 maggio due persone identificate in P. Antonio e P.S. sono entrate nell'ufficio del responsabile di cantiere ed hanno profferito delle espressioni allusive e larvatamente minacciose siamo i compagni di Salerno, rivolgetevi a quelli di Nocera, perchè loro sanno dove devono venire . II 21 maggio P. Antonio è stato visto aggirarsi nei pressi del cantiere. 7. Orbene, non v'è dubbio che le condotte esaminate, tenendo presente il contesto in cui si sono realizzate, assumano il carattere di atti idonei, diretti in modo non equivoco, mediante minaccia a costringere l'impresa a pagare un pizzo ai malavitosi locali. Tuttavia, tale evento non si è verificato perchè l'imprenditore, anziché mettersi in contatto con i compagni di Nocera ha sporto denuncia alla polizia giudiziaria, facendo fallire il tentativo di estorsione. Ciò ha comportato la perdita del dominio diretto dell'azione da parte dei soggetti che avevano realizzato l'originaria intimidazione, rendendo irrilevante da un punto di vista causale la eventuale desistenza, in quanto il tentativo non si è compiuto per l'intervento di altre cause indipendenti dalla volontà dell'agente. 8. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. 9. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell'articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario in cui l'indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'art. 94 co 1 ter Disp. Att. Cod. proc. penumero