Falsità materiale del testamento, l’eventuale incapacità di intendere non aiuta contro l’archiviazione

La falsità prevista dall’art. 485 c.p. è solo quella materiale, che, consistendo nella formazione di una scrittura contraffatta, oppure nell’alterazione di una scrittura vera già formata, incide sull’autenticità del documento. Perciò, si può riconoscere che la prova della falsità di un testamento possa essere fornita dimostrando l’incapacità fisica dell’apparente testatore a formare il documento, ma ciò non può essere ottenuto con la dimostrazione della sua incapacità di intendere e di volere. Tale ipotesi, infatti, non contraddice la possibilità che la scheda testamentaria sia genuina, essendo stata redatta dallo stesso testatore di suo pugno.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 9300, depositata il 3 marzo 2015. Il caso. Il gip di Messina disponeva l’archiviazione del procedimento riguardante le indagini avviate nei confronti di tre persone per i reati ex artt. 485 falsità in scrittura privata e 491 documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena . L’accusa riguardava la falsità di un testamento. Il gip riteneva che l’opposizione all’archiviazione, proposta dagli originari querelanti, fosse inammissibile, essendo loro non persone offese dal reato, bensì soltanto danneggiati. In più, l’opposizione mirava ad accertare non la falsità della scheda testamentaria, ma l’incapacità di intendere e di volere della defunta al momento della redazione dell’atto. Tale aspetto non avrebbe però influito sulla prova del reato contestato. Gli opponenti ricorrevano in Cassazione, contestando il mancato riconoscimento della loro qualità di persone offese, in quanto i delitti contro la fede pubblica tutelano anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l’atto incide direttamente. Inoltre, giudicavano incomprensibile l’affermazione secondo cui l’accertamento dell’incapacità della testatrice non avrebbe comportato la prova della falsità dell’atto. Persona offesa. Innanzitutto, la Corte di Cassazione premette che i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale ed alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente. Di conseguenza, questo è una persona offesa dal reato e legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione. Indagini suppletive non necessarie. Tuttavia, l’opposizione della persona offesa, che mira all’instaurazione del contraddittorio nelle forme del procedimento camerale, deve essere ammissibile. L’inammissibilità dell’opposizione può derivare o dalla mancata indicazione dell’oggetto dell’investigazione suppletiva e dei relativi elementi di prova o dalla loro irrilevanza. Come era avvenuto nel caso di specie, in cui il gip correttamente aveva ritenuto che le indagini suppletive richieste non erano idonee ad influire sulla prova della falsità del testamento, mirando all’accertamento dell’incapacità di intendere e di volere della testatrice. Falsità materiale. La falsità prevista dall’art. 485 c.p. è solo quella materiale, che, consistendo nella formazione di una scrittura contraffatta, oppure nell’alterazione di una scrittura vera già formata, incide sull’autenticità del documento. Perciò, si può riconoscere che la prova della falsità di un testamento possa essere fornito dimostrando l’incapacità fisica dell’apparente testatore a formare il documento, ma ciò non può essere ottenuto con la dimostrazione della sua incapacità di intendere e di volere. Tale ipotesi, infatti, non contraddice la possibilità che la scheda testamentaria sia genuina, essendo stata redatta dallo stesso testatore di suo pugno. L’incapacità naturale può inficiare il contenuto volitivo della scheda, rendendo il testamento annullabile ex art. 428 c.c., in quanto sarebbe manifestazione di volontà viziata dall’incapacità del suo autore, ma non può influire sulla sua autenticità. Da ciò deriva l’inidoneità a fornire la prova di un reato di falsità materiale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 dicembre 2014 – 3 marzo 2015, n. 9300 Presidente/Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 26 febbraio 2014 il giudice per le indagini preliminari dei Tribunale di Messina ha disposto l'archiviazione dei procedimento riguardante le indagini avviate nei confronti di C. S., G. A. e A. A. per i reati di cui agli artt. 485 e 491 cod. pen., a seguito di querela presentata da C. C., M. C. n. 1941 , G. C., M. C. n. 1947 e A. S Ha ritenuto il giudicante che l'opposizione proposta da M. C. n. 1941 , C. C. e A. S. fosse inammissibile, per un duplice ordine di ragioni sia perché gli opponenti non rivestivano la qualità di persone offese dal reato, come tali legittimare a proporre opposizione, ma soltanto quella di danneggiati sia per carenza dei requisiti di concretezza e specificità, necessari all'instaurazione del procedimento camerale. Sotto questo secondo profilo ha rilevato che l'opposizione era volta ad accertare non la falsità della scheda testamentaria, ma l'incapacità d'intendere e di volere della defunta al momento della redazione dell'atto aspetto, questo, che non influirebbe sulla prova del reato contestato. 2. Hanno proposto congiuntamente ricorso gli opponenti, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo articolato in due censure. Con la prima di esse contrastano la ratio decidendi riguardante la qualità, loro negata, di persone offese dal reato, osservando che i delitti contro la fede pubblica tutelano anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l'atto incide direttamente. Con la seconda censura osservano che le indagini suppletive richieste, finalizzate a provare l'incapacità naturale della testatrice, miravano a indirizzare il pubblico ministero verso un'imputazione più ampia, da elevarsi nei confronti di chi avesse abusato dell'infermità della defunta. Sottopongono poi a critica, definendola francamente incomprensibile , l'affermazione secondo cui l'accertamento dell'incapacità della testatrice non comporterebbe la prova della falsità del documento. Considerato in diritto 1. I ricorsi delle persone offese, confluiti nell'atto d'impugnazione congiunto, sono privi di fondamento e vanno, perciò, disattesi. 2. Ciò è a dirsi sebbene non abbia pregio giuridico la prima delle due rationes decidendi che informano il decreto impugnato, in base alla quale il G.i.p. ha ritenuto di non poter riconoscere agli opponenti la qualità di persone offese dal reato. L'affermazione, invero, si scontra col consolidato principio giurisprudenziale - che merita adesione - secondo cui i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l'atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato e, in quanto tale, è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione Sez. U, n. 46982 del 25/10/2007, Pasquini, Rv. 237855 Sez. 5, n. 2076 del 05/12/2008 - dep. 2009, Serafini, Rv. 242361 Sez. 5, n. 7187 del 09/12/2008 - dep. 2009, Cucciniello, Rv. 243154 contra Sez. 5, n. 45647 del 05/10/2010, ignoti, Rv. 249275 . 3. Superato tale primo argomento, corre l'obbligo tuttavia di osservare che, affinché l'opposizione della persona offesa renda necessaria l'instaurazione dei contraddittorio nelle forme del procedimento camerale, è richiesta la sua ammissibilità in caso contrario il giudice, se ritiene infondata la notizia di reato, legittimamente dispone l'archiviazione con decreto, stante l'espressa previsione di cui all'art. 410, comma 2, cod. proc. pen 3.1. L'inammissibilità dell'opposizione può derivare non soltanto dalla mancata indicazione dell'oggetto dell'investigazione suppletiva e dei relativi elementi di prova, ma altresì dalla irrilevanza di questi Sez. U, n. 2 del 14/02/1996, Testa, Rv. 204133 Sez. 5, n. 7437 del 27/09/2013 - dep. 2014, Ricciardi, Rv. 259511 . Nel caso di specie il G.i.p. di Messina ha rimarcato che le indagini suppletive richieste dagli opponenti s'indirizzavano all'accertamento dell'incapacità di intendere e di volere della testatrice, per cui non erano idonee a influire sulla prova della falsità dei testamento e tale rilievo, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, è non soltanto perfettamente comprensibile, ma anche immune da vizi dal punto di vista logico-giuridico. La falsità contemplata dall'art. 485 cod. pen. è soltanto la falsità materiale la quale, consistendo nella formazione di una scrittura contraffatta, ovvero nell'alterazione di una scrittura vera già formata, incide sull'autenticità del documento. Su tale presupposto può ben riconoscersi che la prova della falsità di un testamento possa essere fornita dimostrando l'incapacità fisica dell'apparente testatore a formare il documento ma lo stesso risultato non può essere ottenuto dimostrando la sua incapacità di intendere e di volere, poiché questa non contraddice la possibilità che la scheda testamentaria sia genuina, in quanto redatta dallo stesso testatore di suo pugno. L'incapacità naturale può inficiare, bensì, il contenuto volitivo della scheda rendendo il testamento annullabile ai sensi dell'art. 428 cod. civ., in quanto recante una manifestazione di volontà viziata dall'incapacità del suo autore ma non può in alcun modo influire sulla sua autenticità donde l'inidoneità a fornire la prova di un reato di falsità materiale. 3.2. Neppure merita adesione l'ulteriore argomento, col quale i ricorrenti sostengono che i risultati delle indagini suppletive richieste con l'atto di opposizione potrebbero indurre il pubblico ministero a estendere l'imputazione, avuto riguardo all'ipotesi alternativa della circonvenzione d'incapace. A confutazione di tale assunto basti osservare che l'eventuale accertamento di un'infermità mentale della testatrice - assertivamente affetta da demenza senile - non varrebbe di per sé a configurare il delitto di cui all'art. 643 cod. pen., essendo altresì necessario, ad integrare il tipo descrittivo, che concorra l'induzione a compiere l'atto da parte di taluno, il quale abbia così abusato dello stato d'incapacità del soggetto passivo. Di tali elementi l'induzione e l'abuso i ricorrenti non soltanto non hanno offerto la prova nell'atto di opposizione, ma neppure hanno denunciato la sussistenza descrivendoli in punto di fatto. 4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.