‘Pollice verde’... stupefacente: poche cinque piantine di cannabis sul balcone, accuse azzerate

Rasa al suolo la visione tracciata tra primo e secondo grado. Liberato il giovane finito sul banco degli imputati per aver coltivato alcune piantine di cannabis a casa. Decisiva la non offensività della condotta.

Vasi sistemati sul balcone di casa, ma il ‘pollice verde’ del giovane è stupefacente. Perché egli si diletta nella coltivazione di cinque piantine di cannabis. Alla luce dei contorni della vicenda, però, è illogico arrivare addirittura alla condanna per la violazione del ‘Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti’. Ciò alla luce della evidente non offensività della condotta tenuta dal giovane Corte di Cassazione, sentenza n. 9156, quarta sezione penale, depositata il 2 marzo . Offensività. Condanna in primo grado per il reato di produzione di sostanze stupefacenti , resa meno grave, in secondo grado, attraverso il riconoscimento della attenuante della lieve entità . Elemento indiscutibile, per i giudici di merito, è la colpevolezza del giovane, beccato a coltivare, in casa, cinque piantine di cannabis . Di fronte ai giudici della Cassazione, però, il difensore del giovane ribadisce la tesi della inoffensività in sintesi, non vi sarebbe alcuna lesione al bene giuridico tutelato dalla norma, ovvero la salute pubblica, per la irrilevanza del principio attivo contenuto nelle piante di cannabis sottoposte a sequestro. Ebbene, tale obiezione viene ritenuta accettabile. Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, si è errato, tra primo e secondo grado, nel trascurare le oggettive circostanze del fatto e la modestissima attività di coltivazione posta in essere , ossia, viene ricordato ora, coltivazione domestica di cinque piantine collocate in alcuni vasi, da cui sono risultati estraibili 0,1048 grammi di sostanza stupefacente, di cui non è stato neanche indicato il principio attivo . Tutto ciò conduce, in conclusione, a liberare il giovane da ogni accusa, perché, sanciscono i giudici della Cassazione, il fatto addebitatogli non sussiste .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 dicembre 2014 – 2 marzo 2015, n. 9156 Presidente Brusco – Relatore D’Iso Ritenuto in fatto S.L. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Brescia, che, in parziale.riforma, della sentenza di condanna del locale Tribunale il 27.03.2012, in 'ordine al delitto di cui all'art. all'art. 73 d.P.R. 309/90 avente ad oggetto la coltivazione di piante di cannabis, ritenuta l'ipotesi di cui al V comma dello stesso articolo, ha concesso il beneficio della non menzione della condanna. Si denuncia 1 con un unico motivo, violazione di legge e vizio di. motivazione laddove non è stata accolta la tesi difensiva dell'uso esclusivamente personale della droga, non essendo stato considerato, in diritto, che l'ipotesi di coltivazione per uso personale non costituisce reato ciò, in quanto non vi sarebbe alcuna lesione al bene giuridico tutelato dalla norma, ovvero la salute pubblica per la irrilevanza del principio attivo contenuto nelle piante di cannabis sequestrate. Considerato in diritto 2. II ricorso va accolto Va premesso che questa Corte di legittimità ha statuito di recente che la coltivazione di stupefacenti, sia essa svolta a livello industriale o domestico, costituisce reato anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 dei 24/04/2008 Ud., Di Salvia, Rv. 239920 . Ciò premesso, rispondendo alle censure svolte dal ricorrente, la stessa giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile Cass. Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/04/2008 Ud. dep. 10/07/2008 , Di Salvia, Rv. 239921 Cass. Conforme, Sez. U. 24 aprile 2008, Valletta Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1222 del 28/10/2008 Ud. dep. 14/01/2009 Nicoletti, Rv. 242371 . In tema di principio di offensività, va osservato che esso può essere riguardato da due punti di vista come criterio guida per il legislatore e come ausilio per l'interprete nella valutazione della tipicità di una determinata condotta. L'aspetto che qui maggiormente interessa è il principio di necessaria offensività del reato, come criterio guida per l'interprete onde valutare la tipicità della condotta. Come è noto, si ha tipicità del fatto, quando questo corrisponde perfettamente alla fattispecie astratta prevista dalla norma incriminatrice. Secondo la più attenta dottrina e giurisprudenza, la mera aderenza dei fatto alla norma di per sè non integra il reato, essendo necessario anche che la condotta sia effettivamente lesiva del bene giuridico protetto dalla norma non solo quindi nullum crimen sine lege ma anche nullum crimen sine iniuria . Il principio di offensività deve ritenersi essere stato costituzionalizzatondi nostro ordinamento. A riprova di ciò vi sono gli artt. 25 e 27 Cost. che distinguono tra pene e misure di sicurezza, le prime dirette a colpire fatti offensivi, le seconde, la mera pericolosità del soggetto. Ancora, significativo in tale ottica è l'art. 13 Cost. che consente il sacrificio della libertà connesso alla pena solo in presenza della necessità di tutela di un concreto interesse. La necessaria offensività del reato si desume, inoltre, dalla disposizione di cui all'art. 49 c.p., comma 2 che prevede la non punibilità del reato impossibile. Tale norma, lungi dall'essere un inutile duplicato dell'art. 56 c.p. laddove non prevede la punibilità del tentativo inidoneo , ha una sua propria autonomia sé , interpretata nel senso di ritenere non punibili quelle condotte solo apparentemente consumate e quindi aderenti al tipo, ma in realtà totalmente t deficitarie di lesività secondo una valutazione effettuata ex post . Dell'esistenza del detto principio vi è traccia sia nella giurisprudenza costituzionale che in quella ordinaria. La Corte Costituzionale Corte Cost.'' 360 del 14/5/1995 . ha precisato che diversa dal principio della offensività, come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore penale ordinario, è la offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile art. 49 cod. pen. . Ciò detto e venendo al caso di specie, è da ritenere che il giudice di merito non abbia fatto buon governo dei principi illustrati, laddove ha riconosciuto-'a fronte delle oggettive circostanze del fatto e della sia pure modesta attività,á coltivazione posta in essere coltivazione domestica di cinque piantine invasate di dalle quali sono risultate estraibili, grammi 0,1048 di sostanza stupefacente di cui non è stato neanche indicato il principio attivo denotano una condotta non certamente offensiva dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice. Pertanto la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.