Bancarotta, il matrimonio con l’amministratore di diritto non giustifica l’ottima conoscenza delle cause

La nozione di amministratore di fatto, ai sensi dell’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Tuttavia, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8864, depositata il 27 febbraio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Lecce condannava un imputato, in qualità di socio ed amministratore di fatto di una società, per il reato di bancarotta fraudolenta, per distrazione e documentale. L’uomo ricorreva in Cassazione, contestando la valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi sintomatici dell’attività di gestione dell’amministratore di fatto ai fini della configurabilità del reato di bancarotta. A suo giudizio, mancherebbe un esercizio continuativo e significativo della funzione di amministratore. La Corte territoriale avrebbe attribuito valore probatorio alla sua conoscenza delle vicende societarie, senza però valutare il fatto che il suo rapporto coniugale con la moglie, socio accomandatario ed amministratore anch’essa condannata , avrebbe consentito di spiegare tale conoscenza dettagliata delle vicende societarie. Poteri dell’amministratore di fatto. La Corte di Cassazione ricorda che la nozione di amministratore di fatto, ai sensi dell’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Tuttavia, significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Perciò, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, come ad esempio i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di tale attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare. Conoscenza delle vicende aziendali. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente valutato il fatto che il curatore aveva riferito che fin dal suo primo incontro con gli amministratori della società, la donna era accompagnata dal ricorrente, il quale si mostrava direttamente interessato e compiutamente informato nella gestione della società , tanto che la moglie lo lasciava rispondere a tutte le domande del curatore, dimostrando così di avere una profonda conoscenza delle vicende della società fallita, soprattutto in merito ai rapporti con i clienti ed alle cause del fallimento. Da ciò, il curatore aveva dedotto fondatamente che fosse lui a curare i rapporti con la clientela. Perciò, tale circostanza, in cui entrambi i referenti della società erano presenti, ma dove l’amministratore formale non era intervenuto in alcun modo, dava prova del rilievo solo formale del suo incarico. Ulteriore conseguenza era l’affermazione secondo cui il ricorrente interveniva continuamente e continuativamente nelle attività della società, tra cui i rapporti con fornitori e clienti, l’individuazione dei lavori da assumere e la disponibilità di mezzi di pagamento funzionali a queste attribuzioni, senza dimenticare che l’uomo era a conoscenza delle ragioni del fallimento. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 ottobre 2014 – 27 febbraio 2015, n. 8864 Presidente Fumo – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. Il difensore di P.A. propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in data 18 aprile 2013 che confermava la decisione del Tribunale di Taranto, del 9 maggio 2011, di condanna del ricorrente alla pena di anni tre di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile, curatore fallimentare della società COGEI di Z.M.A. & amp C. 2. Il Tribunale aveva dichiarato Z.M.A. e il marito, P.A. , odierno ricorrente, rispettivamente nella qualità di socio accomandatario e amministratore, la prima e socio e gestore di fatto, il secondo, della SpA Cogei dichiarata fallita il omissis , colpevoli del reato di bancarotta fraudolenta, per distrazione e documentale, concedendo a P. le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alla contestata recidiva. 3. La penale responsabilità dell'imputato era stata affermata dal primo giudice sulla base del contenuto delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare, in ordine alla presenza, conoscenza dettagliata e riscontro documentale, dell'attività svolta dall'imputato nell'ambito della società fallita. 4. Avverso tale decisione aveva proposto appello il difensore di P. contestando che il proprio assistito avesse mai ricoperto il ruolo di socio occulto della società e, in via subordinata, chiedendo la riforma parziale della sentenza, con rideterminazione della pena. 5. La Corte d'Appello ha condiviso gli elementi probatori valorizzati dal Tribunale ritenendoli tipici atti di gestione, con conseguente configurabilità del ruolo di amministratore di fatto in capo all'appellante, confermando la decisione impugnata. 6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la difesa di P.A. , lamentando - violazione di legge attesa la genericità e indeterminatezza del capo d'imputazione - vizio di motivazione riguardo alla valutazione degli elementi sintomatici dell'attività di gestione dell'amministratore di fatto ai fini della configurabilità del reato di bancarotta. 7. Con motivi aggiunti depositati il 24 settembre 2014 la difesa dell'imputato eccepisce la nullità del capo di imputazione e del decreto di citazione a giudizio per l'errata contestazione dell'aggravante della recidiva reiterata specifica, in luogo della mera circostanza aggravante specifica, effettivamente sussistente. Considerato in diritto La sentenza impugnata non merita censura. 8. Con il primo motivo la difesa eccepisce la assoluta indeterminatezza e genericità del capo di imputazione rilevando che nell'indicazione della norma violata si fa riferimento all'articolo 216 L.G. , acronimo che non troverebbe riscontro in alcuna disposizione normativa. Sotto altro profilo la formulazione è generica poiché gli importi individuati in lire non appaiono congruenti. 9. Sia il primo motivo, che quello oggetto delle memorie depositate in data 24 settembre 2014, sono inammissibili poiché non sono stati formulati in sede di appello, dovendosi richiamare il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile se proposto per motivi concernenti statuizioni del giudice di primo grado, o mancate statuizioni dello stesso giudice, non devolute al giudice di appello con specifica impugnazione. Infatti la sentenza di primo grado, su tali statuizioni od omissioni, acquista autorità di cosa giudicata, salvo il caso in cui si tratti di questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non richiedenti accertamenti di fatto, di cui non sia stato provocato l'esame o il riesame del giudice d'appello. 10. Con il secondo motivo la difesa deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione riguardo all'accertamento degli elementi sintomatici della gestione della società, avendo la Corte territoriale ritenuto atti tipici di gestione la circostanza di avere quietanzato le fatture emesse nei confronti della società Icos, con regolarità, da gennaio a settembre del 2000, senza considerare che la società svolgeva attività da nove anni con il medesimo amministratore di diritto, mentre l'ingerenza del presunto amministratore di fatto riguarderebbe soltanto l'anno 2000. In secondo luogo, la Corte avrebbe attribuito valore probatorio alla conoscenza da parte del ricorrente delle vicende societarie palesate al curatore fallimentare, senza adeguatamente valutare che il rapporto di coniugio con la Z. avrebbe consentito di spiegare la conoscenza dettagliata delle vicende societarie. 11.11 motivo è infondato. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi in materia, secondo cui, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione. 12. Orbene, la tesi del ricorrente, per la quale la predetta qualificazione presuppone un esercizio continuativo e significativo di funzioni di amministrazione, richiama un orientamento giurisprudenziale inteso non correttamente nel riferimento di tali caratteri di continuatività e significatività alla totalità dei profili gestionali di tenuta della contabilità, di organizzazione interna e di rappresentanza esterna della società fallita. Come ben chiarito in numerose pronunce di questa Sezione Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli, Rv. 250094 , i descritti connotati non implicano l'esercizio di tutti i poteri propri dell'amministratore di una società ma richiedono unicamente lo svolgimento di un'apprezzabile attività di gestione in termini non occasionali o episodici, così come opportunamente evidenziato dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata. E queste affermazioni di principio si collocano del resto coerentemente all'interno di una più estesa e consolidata linea interpretativa, per la quale la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto, con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare Sez. 5, n. 9222 del 22/04/1998, Galimberti, Rv. 212145 Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, Ponciroli, Rv. 234254 . Rammentato altresì che l'accertamento in esame è oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione Sez. 5, n. 9222 del 22/04/1998, Galimberti, Rv. 212145 Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Carboni, Rv. 232456 Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli, Rv. 250094 , tale deve senz'altro essere ritenuta l'argomentazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale richiamava infatti le argomentazioni della decisione di primo grado, per le quali il curatore, riferiva che fin dal suo primo incontro con gli amministratori della stessa, la Z. era accompagnata dal P. , il quale si mostrava direttamente interessato e compiutamente informato nella gestione della società, illustrandone al curatore le caratteristiche ed i programmi, tanto che, in occasione dei colloqui con il curatore, nonostante la presenza della Z. , la stessa lasciava che fosse il marito a rispondere a tutte le domande rivolte dal professionista fornendo tutte le indicazioni dettagliate in merito ai rapporti con i clienti e le cause del fallimento, dimostrando, in definitiva, di avere una profonda conoscenza delle vicende della società fallita, consentendo al curatore di affermare fondatamente che il ricorrente era colui che curava i rapporti con la clientela. 13. La Corte territoriale, con argomentazione assolutamente logica e puntuale, ha individuato tali elementi in quelli tipici di una gestione sufficiente ai fini della configurabilità del ruolo di amministratore di fatto, consistendo nel quietanzare, con regolarità, da gennaio a settembre 2000, e dunque in maniera non saltuaria o episodica, le fatture emesse nei confronti di una società, la Icos, per importi assolutamente significativi. Tale elemento trovava riscontro nella gestione, in prima persona, dei rapporti con la clientela e nella compiuta e dettagliata conoscenza delle vicende societarie palesata alla presenza del curatore fallimentare, all'atto della convocazione del legale rappresentante della società fallita. Correttamente la Corte ha valorizzato quale elemento emblematico il fatto che in tale occasione erano presenti E entrambi i referenti della società, l'amministratore di diritto, cioè Z.M.A. e l'odierno ricorrente, evidenziando che l'amministratore formale non intervenne in alcun modo, dando prova del rilievo solo formale del proprio incarico, sotteso ad una ben diversa distribuzione dei ruoli effettivi in seno alla società. 14. Le conclusioni, tratte dai giudici di merito in base a questo complesso di elementi probatori, in ordine alla posizione di amministratore di fatto del P. , risultano conformi ai principi in precedenza enunciati. Da detti elementi si desume, con argomentazione esente da vizi logici, non solo una costante presenza dell'imputato accanto all'amministratore formale, ma un'autonoma e continuativa ingerenza del P. in diversi settori gestionali determinanti dell'attività della Cogei, quali i rapporti con i fornitori ed i clienti, l'individuazione dei lavori da assumere e la disponibilità di mezzi di pagamento funzionali a queste attribuzioni e la conoscenza delle ragioni del fallimento. 15. A queste considerazioni, il ricorrente oppone il riferimento a risultanze testimoniali che la Corte d'Appello coerentemente ha ritenuto inidonee ad inficiare la validità dell'ipotesi accusatoria. Sotto tale profilo, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte territoriale ha valutato il rilievo difensivo secondo cui il rapporto di coniugio consentirebbe di giustificare il ruolo di P. , anche in seno alla società, escludendo correttamente la rilevanza di tale elemento a fronte di concreti atti di gestione della società e della puntuale conoscenza delle vicende che caratterizzano quell'attività imprenditoriale. 16. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.