Lavoro precario, quattro figlie e un affitto insostenibile: punita comunque l’occupazione illegittima dell’alloggio popolare

Confermata la condanna nei confronti di una donna, che aveva preso possesso di un appartamento, dopo aver abbandonato la casa in cui si trovava precedentemente. Nonostante la difficile situazione economica, anche alla luce della precarietà sul fronte lavorativo, viene respinta la tesi difensiva dello stato di necessità.

Quattro bambine da accudire, un affitto troppo caro da sostenere e la proprietaria dell’appartamento intenzionata, oramai, a venderlo situazione davvero difficile per una mamma, che deve fare i conti, peraltro, con un lavoro precario. Tutto ciò, però, non rende meno grave la scelta estrema della donna, che, per garantire un tetto alle proprie figlie, occupa illegittimamente un alloggio popolare. Di conseguenza, non è discutibile la condanna per il delitto di invasione di edificio. Corte di Cassazione, sentenza n. 8603/15, seconda sezione penale, depositata oggi . Precarietà. A sanzionare la donna, madre, come detto, di quattro bambine, hanno già provveduto i giudici di merito, ritenendo acclarata la violazione del Codice penale, per avere ella invaso arbitrariamente, al fine di occuparlo, un alloggio popolare. Secondo il legale della donna, però, è stato trascurato un elemento decisivo lo stato di necessità della sua cliente, la quale è stata praticamente obbligata a compiere quell’azione illegale. A sostegno di questa tesi, poi, il legale richiama il perdurante stato di bisogno della donna, che, anche a causa della propria precaria situazione economica , si è ritrovata priva di soluzione abitativa e con quattro figlie minori a carico . In sostanza, la donna, spiega ancora il legale, ha lasciato l’appartamento in cui risiedeva, in qualità di conduttrice, perché non in grado di sostenere le spese di locazione a causa della precarietà lavorativa . Tutti elementi meritevoli di attenzione, da un punto di vista umano, è evidente, e che, però, non possono modificare il giudizio nei confronti della donna. Difatti, anche per i giudici della Cassazione, nonostante tutto, la condotta tenuta, ossia l’occupazione illegittima di un alloggio popolare, va sanzionata, Codice penale alla mano, anche perché essa si è concretizzata non alla luce di un pericolo imminente . Detto in maniera chiara, una mera condizione di difficoltà economica non può condurre a ritenere concreto uno stato di necessità che renda giustificabile l’ occupazione permanente di un immobile .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 – 26 febbraio 2015, n. 8603 Motivi della decisione Con sentenza in data 19 maggio 2014 la Corte d'appello di Cagliari confermava la sentenza del locale Tribunale che il 26 giugno 2012 ha condannato C.M. per la violazione dell'articolo 633 codice penale per avere invaso arbitrariamente, al fine di occuparlo, un alloggio di proprietà dell'A.R.E.A. di Cagliari. Avverso la sentenza presenta ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo dei difensore, deducendo vizio della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento dello stato di necessità pur a fronte di una affermata situazione di disagio e di un perdurante stato di bisogno dovuto ad una precaria situazione economica della donna che si è trovata con quattro figli minori a carico priva di soluzione abitativa. Il ricorso è infondato. Deve escludersi l'esimente dello stato di necessità invocato dalla C. sul presupposto che si trovava con quattro figlie minori a carico, priva di soluzione abitativa, avendo lasciato l'appartamento nel quale risiedeva in qualità di conduttrice perché non in grado di sostenere le spese di locazione a causa della precarietà lavorativa. Per questo motivo la donna ha occupato stabilmente l'immobile dell'A.R.E.A. di Cagliari trasformandolo nella sua residenza fissa. Sul punto non può che richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte in particolare la sentenza di questa Sezione n. 19147 del 2013 Rv. 255412 laddove ha affermato che il dettato dell'art. 54 c.p., che presuppone l'attualità dei pericolo richiede che, nel momento in cui l'agente agisce contra ius - al fine di evitare un danno grave alla persona - il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio Cass. 3310/1981 riv 148374 .Non può infatti parlarsi di attualità del pericolo in tutte quelle situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicità essendo destinate a protrarsi nel tempo, quale appunto l'esigenza di una soluzione abitativa. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell'attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto. Invero, il pericolo non sarebbe più attuale rectius imminente bensì permanente proprio perché l'esigenza abitativa - ove non sia transeunte e derivante dalla stretta ed immediata necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona è necessariamente destinata a prolungarsi nel tempo. Va, poi, osservato che, venendo in rilievo il diritto di proprietà, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 54 c.p., alla luce dell'art. 42 Cost., non può che pervenire ad una nozione che concili l'attualità del pericolo con l'esigenza di tutela del diritto di proprietà del terzo che non può essere compresso in permanenza perché, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un'alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale cfr. sul punto, Cass. 35580/2007 riv 237305 Cass. 7183/2008 riv 239447 . I giudici di merito hanno fatto buon governo di tali principi e hanno ritenuto che nel caso in esame - la C. aveva lasciato la casa dove abitava in locazione senza neppure un provvedimento di sfratto, solo perché la proprietaria le aveva rappresentato che intendeva alienarla - non poteva farsi ricorso allo stato di necessità che , come detto, non è previsto per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa. In conclusione, la doglianza deve ritenersi infondata in quanto una condizione di difficoltà economica non può legittimare, ai sensi dell'art. 54 c.p., un'occupazione permanente di un immobile per risolvere, in realtà, in modo surrettizio, un'esigenza abitativa. Ne consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.