Preclusioni processuali e nuove questioni: il principio del ne bis in idem

Il provvedimento del giudice dell'esecuzione, una volta divenuto irrevocabile, non opera in maniera definitiva, ma rebus sic stantibus, consentendo una rivalutazione del precedente giudizio, laddove si prospettino nuovi dati di fatto o nuove questioni giuridiche che impongono di ritenere connotato da una differente causa petendi il nuovo incidente di esecuzione che, pur essendo astrattamente deducibili nell'ambito del pregresso procedimento, non siano state, tuttavia, concretamente dedotte, non determinandosi in tal modo la formazione di alcuna preclusione processuale.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5818/15 depositata il 25 febbraio. Il caso. La questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte è originata da un ricorso avverso l'ordinanza con cui il Tribunale di Roma dichiarava l'inammissibilità dell'incidente di esecuzione proposto dall'interessato per la sussistenza di un'ipotesi di ne bis in idem , in quanto già precedente analoga istanza era stata rigettata dalla Corte di Appello di Roma con ordinanza divenuta irrevocabile. Erronea ritenuta inammissibilità dell'istanza di parte. Il provvedimento veniva censurato per vizio di motivazione conseguente a travisamento del fatto. Invero, nel provvedimento gravato si riteneva erroneamente che le questioni sottoposte al giudice dell'esecuzione nei due procedimenti fossero identiche. Invece, come si ricavava dalle stesse con la prima istanza si chiedeva la rimessione in termini per impugnare la sentenza, stante la nullità della notifica dell'estratto contumaciale effettuato, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., presso lo studio del difensore mentre, con la seconda istanza si rilevava come l'estratto contumaciale non fosse mai stato notificato all'imputato contumace, né ai sensi dell'art. 161 presso il domicilio originariamente eletto, né ai sensi dell'art. 157 c.p.p. presso la residenza. La Corte accoglie il ricorso. Preclusioni ed elementi nuovi. In primo luogo, i giudici di legittimità rammentano come, in tema di incidente di esecuzione, l'art. 666, comma 2, c.p.p. preveda una preclusione alla riproposizione dell'istanza solo quando con la stessa si deducano fatti o questioni che sono state già oggetto di una precedente decisione. Di contro, se nella nuova istanza vi è un elemento di novità, tale preclusione non può ritenersi operante. In tal senso, nel caso concreto, la difesa del ricorrente ha correttamente lamentato che i giudici di merito abbiano errato nella valutazione di tali elementi a sostegno dell'istanza stessa. Identità del petitum ma non della causa petendi. Invero, se appare del tutto identico il petitum , certamente differente è la causa petendi a sostegno. Come si ricava dagli atti, nel caso di specie, vero è che la finalità perseguita è la stessa, ma è anche vero che radicalmente diversa è la censura che si rivolge. Il secondo incidente di esecuzione, infatti, non ha riproposto la stessa questione già decisa, seppure abbia riguardato questioni inerenti il procedimento di notifica dell'estratto contumaciale. Nel primo caso, invero, si era dedotta l'irritualità del procedimento di notifica, mentre nel secondo la totale inesistenza dello stesso. In definitiva, la Corte, da atto che, in effetti, l'unica notifica effettuata è stata quella fatta al difensore, che, però, come si ricavava dalla precedente formulazione dell'art. 548, comma 2 c.p.p. ora modificato dall’art. 10, comma 5, della l. n. 67/2014 , non risultava e non risulta, nemmeno oggi, destinatario di alcun diritto di notifica in proprio di tale atto processuale, che, invece, andava notificato solo ed esclusivamente all'imputato contumace e comunicato al procuratore generale . Ne bis in idem. Operatività del principio . Orbene, affermano gli ermellini come in materia esecutiva, il principio del ne bis in idem , richiamato dai giudici di merito, non opera in senso assoluto ed inderogabile, ma comporta una valutazione allo stato degli atti, tenendo conto della prospettazione difensiva. Di conseguenza, ed in conclusione, l'effetto preclusivo non può operare se la difesa prospetta nuove circostanze di fatto o, comunque, nuove questioni di diritto che lasciano ritenere insussistente il precedente giudicato. La questione è di non poco conto, come correttamente rileva la Corte perchè, se così non fosse, verrebbe irragionevolmente compresso il diritto difesa del condannato, posto che tale nuova valutazione può comportare una decisione favorevole per lo stesso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 gennaio – 25 febbraio 2015, n. 8518 Presidente Siotto – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 28/03/2014 il Tribunale di Roma, quale giudice dell'esecuzione, dichiarava inammissibile l'incidente di esecuzione depositato da F.D.N. il 03/04/2012. Il giudice dell'esecuzione emetteva tale ordinanza, a seguito della riqualificazione, operata da questa Corte con ordinanza del 05/04/2014, del ricorso trasmessogli dalla Corte di appello di Roma che, con ordinanza del 26/04/2014, dichiarava la propria incompetenza, ai sensi dell'art. 175, comma 4, cod. proc. pen., a decidere sulla richiesta di restituzione del termine per impugnare la sentenza, che era stata emessa dalla stessa corte territoriale il 17/10/2006. Questa Corte, in sede di riqualificazione dell'incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen., individuava la competenza del Tribunale di Roma sul presupposto che la sentenza di appello aveva integralmente confermato la decisione dello stesso organo giurisdizionale, emessa in composizione monocratica il 18/02/2003. A seguito della riqualificazione, il giudice dell'esecuzione dichiarava inammissibile l'incidente di esecuzione proposto nell'interesse del F.D. per la sussistenza di un'ipotesi di ne bis in idem, in quanto una precedente analoga istanza, proposta con atto depositato l'11/07/2008, era stata rigettata dalla Corte di appello di Roma con ordinanza che, come attestato dalle annotazioni di cancelleria, era divenuta irrevocabile il 21/02/2009. 2. Avverso tale provvedimento ricorreva per cassazione la difesa di F.D.N. , eccependo, quale primo motivo, la violazione dell'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., per violazione dell'art. 666 cod. proc. pen., per vizio di motivazione conseguente a travisamento del fatto. Tale vizio risultava dal confronto tra il provvedimento impugnato e gli atti indicati dal ricorrente, cui conseguiva la violazione dell'art. 606, lett. c , cod. proc. pen., per violazione degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità. Si deduceva, in particolare, che, nell'ordinanza impugnata davanti a questa Corte, si riteneva erroneamente che le questioni sottoposte al giudice dell'esecuzione nei due procedimenti fossero identiche, atteso che nell'incidente di esecuzione proposto l'11/07/2008 davanti alla Corte di appello di Roma si prospettava la nullità della notifica dell'estratto contumaciale effettuato ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. mentre, nell'incidente di esecuzione oggetto di vantazione, si assumeva che l'estratto contumaciale non era mai stato notificato all'imputato contumace, né ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. presso il domicilio originariamente eletto, né ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen., presso la sua residenza anagrafica. All'atto introduttivo del presente procedimento il difensore di fiducia del F.D. faceva seguire apposite memorie per l'udienza camerale dell'08/01/2015, con cui si ribadivano i motivi del ricorso e si replicava alla requisitoria del procuratore generale. Per queste ragioni, l'ordinanza impugnata andava annullata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. In via preliminare, deve rilevarsi che, in tema di incidente di esecuzione, l'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l'istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione cfr. Sez. 3, n. 5195 del 05/12/2003, dep. 10/02/2004, Prestianni, Rv. 227329 . Al contempo, per evitare la proliferazione di incidenti di esecuzione aventi il medesimo oggetto, questa Corte ha stabilito che l'elemento di novità eventualmente valutabile dal giudice dell'esecuzione, ai sensi ai sensi dell'art. 666 cod. proc. pen., rilevante tanto sotto il profilo del petitum quanto sotto il profilo della causa petendi , non deve essere circoscritto alle sole questioni applicative prospettate dalle parti processuali, ma anche a quelle rilevabili d'ufficio cfr. Sez. 3, n, 44415 del 30/09/2004, dep. 16/11/2004, P.M. in proc. Iannotta, Rv. 239943 . Ricondotta in questo ambito sistematico la questione sottoposta all'attenzione di questa Corte deve rilevarsi che, nel nostro caso, la Corte di appello di Roma, con l'ordinanza divenuta irrevocabile il 21/02/2009, decideva una questione differente rispetto a quella prospettata dalla difesa del F.D. , esclusivamente sotto il profilo della causa petendi , essendo incontroversa e non contestata processualmente l'identità del petitum . Infatti, nel più risalente procedimento, il difensore dell'esecutato eccepiva l'irritualità della notifica dell'estratto contumaciale della sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma 17/10/2006, eseguita ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. presso lo studio dell'avv. Efisio Figus Diaz, difensore del ricorrente, chiedendo la revoca della declaratoria di irrevocabilità della sentenza, la rinnovazione della notificazione e la restituzione nel termine per proporre impugnazione, ai sensi dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen A fondamento di tale richiesta, si deduceva l'inesistenza dell'elezione di domicilio, atteso che il verbale redatto il 27/10/1999, contenente tale indicazione, non era stato sottoscritto dall'imputato che, rifiutandosi di firmare l'atto, non intendeva fare proprie le dichiarazioni che vi erano contenute, tra cui quella riguardante l'elezione medesima. La corte territoriale, in quel caso, investita della questione sottoposta alla sua cognizione rigettava l'istanza, ritenendola intempestiva e comunque infondata, sul presupposto che l'atto presupposto che si assume inesistente o nullo ha prodotto i suoi effetti in tutte le fasi del giudizio di cognizione e l'imputato si è avvalso di tutte le facoltà e i diritti degli atti notificati presso il domicilio eletto, senza che sia stata eccepita la dedotta nullità, ormai tardiva ai sensi dell'art. 180 c.p.p.”. Viceversa, nel presente procedimento, secondo la difesa del F.D. , gli elementi di novità - che consentirebbero di superare il giudicato formatosi sulla precedente pronuncia - riguardavano la circostanza che l'estratto contumaciale non era mai stato notificato all'imputato contumace, in evidente violazione degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen. non si contesterebbe, quindi, un difetto di comunicazione dell'atto, ma l'esistenza stessa di un procedimento comunicativo, benché riferito allo stesso provvedimento. Se così è, non può dubitarsi che, nei due incidenti di esecuzione, le questioni giuridiche prospettate nell'interesse del F.D. sono certamente differenti e non pongono problemi di sovrapponibilità, atteso che nel primo procedimento si censurava la ritualità del procedimento di notifica dell'estratto contumaciale, per invalidità dell'elezione di domicilio conseguente alla mancata sottoscrizione del relativo verbale da parte dell'indagato, che è questione oggettivamente diversa da quella sollevata nell'attuale procedimento, con la quale si contestava l'inesistenza - e non già l'irritualità - del procedimento comunicativo, che dava origine a una nullità assoluta e insanabile. Ne consegue che se è vero che nei due procedimenti la finalità perseguita è lo stessa, riguardando una patologia processuale che colpirebbe la notifica dell'estratto contumaciale, è parimenti vero che, nelle due ipotesi, radicalmente diversa è la censura che si rivolge a tale procedimento comunicativo. Posta in questi termini la questione sottoposta all'attenzione di questa Corte, non v'è dubbio che l'incidente di esecuzione proposto nell'interesse del F.D. , con istanza del 03/04/2012 non costituisce una mera riproposizione di quello precedentemente deciso dalla Corte di appello di Roma, atteso che se è identico il petitum , non sono certamente assimilabili le causae petendi tra i due procedimenti esecutivi, che dunque riguardano lo stesso atto ma non la stessa questione giuridica, così come prospettata nei paragrafi 5 e 6 del ricorso introduttivo del presente procedimento. Ne consegue che la differenza dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto su cui le due domande si fondano, così come ricostruiti dalla difesa del ricorrente, rendono non sovrapponibili le istanze sottese ai due procedimenti. La differenza esistente tra i due procedimenti, quindi, consegue dalla ricostruzione difensiva che prospettava la nullità assoluta e insanabile della notifica dell'estratto contumaciale ai sensi dell'art. 179 cod. proc. pen., perché mai effettuata nei confronti dell'imputato, né presso il domicilio eletto né presso lo studio del suo difensore di fiducia. Secondo la difesa del F.D. , dunque, l'unifica notifica dell'estratto contumaciale sarebbe quella fatta al solo difensore, tra l'altro non destinatario di alcun diritto di notifica in proprio del medesimo atto processuale, con la conseguenza che l'unico destinatario risulterebbe l'imputato contumace. In questo ambito, non può non rilevarsi che, una volta che il presente incidente di esecuzione pone la questione dell'inesistenza del procedimento di notifica dell'estratto contumaciale, la cognizione decisoria del giudice dell'esecuzione penale - rilevante, in questo caso, ai soli fini della causa petendi - non investe tutti i profili del provvedimento processuale censurato, concretamente dedotti e astrattamente deducibili con riferimento al momento della proposizione dell'originario incidente di esecuzione, ma esclusivamente quelli concretamente dedotti nel procedimento esecutivo nel quale si è formato il giudicato. Tali conclusioni, del resto, non si pongono in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, che si è occupata dell'operatività del principio di preclusione processuale nella materia esecutiva, fondato sulla regola del ne bis in idem, affermando La regola del ne bis in idem presenta carattere generale essendo connaturata alla stessa ratio dell'ordinamento processuale e, pertanto, con i dovuti adattamenti, è applicabile alle procedure di cognizione e di esecuzione, al processum libertatis e ad ogni forma di impugnativa, di riesame e di revoca di provvedimenti giudiziali, in ordine alle quali assume anche la funzione di garanzia dell'osservanza della tassatività delle ipotesi e dei relativi termini assoluti di decadenza” cfr. Sez. 6, n, 3586 del 26/11/1993, dep. 07/02/1994, Busterna, Rv. 196628 . In questa cornice ermeneutica, occorre osservare che una tale preclusione non opera in senso assoluto e inderogabile - coprendo ogni questione processuale dedotta e astrattamente deducibile, al contrario di quanto riscontrabile per il processo di cognizione con il quale non può stabilirsi un'assimilazione sistematica sul punto - ma comporta una valutazione allo stato degli atti, tenendo conto della prospettazione difensiva. Ne consegue che l'effetto preclusivo richiamato non può ritenersi operante laddove, con un'istanza successiva, vengano prospettate nuove circostanze di fatto ovvero nuove questioni di diritto, come nel caso di specie, che impongono di ritenere insussistente una preclusione processuale, atteso che l'incidente di esecuzione non si fonda sui medesimi presupposti posti a fondamento di quello su cui si era formato il giudicato. Né potrebbe essere diversamente, atteso che, opinando diversamente, si finirebbe per comprimere le prerogative difensive dell'esecutato nelle ipotesi in cui, nella pregressa vicenda esecutiva, non veniva prospettata una questione decisiva la cui valutazione - a prescindere dal profilo dell'astratta deducibilità - avrebbe imposto una rivalutazione in senso favorevole al condannato la vicenda esecutiva posta all'attenzione del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 670 cod. proc. pen. Si finirebbe, in tal modo, per attribuire prevalenza a esigenze di rispetto formale del giudicato formatosi, in presenza di elementi di novità, la cui pretermissione finirebbe per disattendere fondati motivi di tutela difensiva, che non è possibile trascurare, pur nel rispetto dei principi che governano la regola generale del ne bis in idem nel nostro sistema processuale, così come ricostruita da questa Corte cfr. Sez. un., n, 34655 del 28/06/2005, dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati, Rv. 231799 . Occorre, in definitiva, ribadire che il provvedimento del giudice dell'esecuzione, una volta divenuto irrevocabile non opera in maniera definitiva, ma rebus sic stantibus , consentendo una rivalutazione del precedente giudizio, laddove si prospettino nuovi dati di fatto o nuove questioni giuridiche, certamente ricorrenti nel caso di specie, che impongono di ritenere connotato da una differente causa petendi l'incidente di esecuzione che, pur essendo astrattamente deducibile nell'ambito del pregresso procedimento, non veniva concretamente dedotta, non determinando - limitatamente a tale profilo - la formazione di alcuna preclusione processuale. 2. Per le ragioni che si sono esposte il ricorso proposto nell'interesse di F.D.N. deve essere accolto, con l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e la trasmissione degli atti al Tribunale di Roma per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Roma per l'ulteriore corso.