Lui sotto accusa, lei vittima: troppo generico, però, il divieto di avvicinamento

Alla luce delle contestazioni mosse all’uomo, è corretta la scelta del gip di adottare la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla donna. Però è necessario dettagliare il provvedimento, specificando anche i posti da cui l’uomo dovrà tenersi lontano abitualmente.

Lui accusato di maltrattamenti, lei come vittima. Ciò spinge ad adottare la misura cautelare del divieto di avvicinamento” dei luoghi frequentati dalla donna, sua compagna. Tutto corretto, soprattutto considerando la consistenza delle contestazioni mosse all’uomo. Ma il provvedimento è davvero troppo generico, e rischia di trasformarsi in abuso, tutelando sì la donna, ma dimenticando di considerare la libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini Cassazione, sentenza n. 8333, sezione Sesta Penale, depositata il 24 febbraio 2015 . Luoghi. Nessun dubbio ha manifestato il giudice per le indagini preliminari alla luce delle condotte attribuite all’uomo, ossia maltrattamenti in famiglia e lesioni nei confronti della compagna, è consequenziale il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla donna. Ma tale provvedimento va calibrato meglio, va reso più specifico e dettagliato, chiariscono ora i giudici della Cassazione, accogliendo le obiezioni mosse dal legale dell’uomo. In sostanza, il legale ha richiamato l’attenzione sulla indeterminatezza e sulla genericità della prescrizione imposta all’uomo. E tale appunto si è rivelato corretto, hanno riconosciuto i giudici di terzo grado. Davvero troppo ‘ampio’ il provvedimento emesso dal gip, laddove si è semplicemente posto il divieto per l’uomo di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla donna, senza, però, indicarli in maniera specifica . Anche perché, normativa alla mano, nell’ambito dei luoghi abitualmente frequentati è necessario individuare luoghi determinati , perché, spiegano i giudici del ‘Palazzaccio’, solo in questo modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente non solo l’esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano osservate . Senza dimenticare, poi, che la completezza e la specificità del provvedimento rappresentano una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini . Inevitabile, quindi, riaffidare la questione al Tribunale. Ciò consentirà, seguendo le indicazioni fornite dalla Cassazione, di dettagliare meglio la misura del divieto di avvicinamento da parte dell’uomo ai luoghi frequentati dalla donna.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 gennaio – 24 febbraio 2015, n. 8333 Presidente Conti – Relatore Rotundo Fatto e diritto I. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il GIP presso il Tribunale di Parma ha applicato a R.M., quale indagato dei reati di cui agli artt. 572 e 582-585 c.p., la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da F.M. e il divieto di comunicare con qualsiasi mezzo con la predetta persona offesa. 2. - L'avvocato S.D.S., nell'interesse dell'indagato, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione degli artt. 272 e 282 ter c.p. per la indeterminatezza e la genericità della prescrizione imposta, là dove è stato disposto per il R. il divieto di avvicinarsi a tutti i luoghi frequentati dalla persona offesa, omettendosi di indicare quali fossero i luoghi specifici ai quali il predetto doveva evitare di avvicinarsi. Ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato impedirebbe all'indagato di frequentare qualsiasi luogo frequentato dalla persona offesa anche saltuariamente, occasionalmente ed eccezionalmente, determinando una soggezione del R. a limitazioni della propria libertà personale di carattere totalmente indefinito e non prevedibile, con violazione delle norme processuali suindicate. 3. - Il ricorso è fondato. Invero, il provvedimento impugnato, nel porre il divieto all'imputato di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa ha omesso di indicarli in maniera specifica, come invece richiede l'art. 282 ter c.p.p., che prevede che il divieto di avvicinamento si riferisca a luoghi determinati . La misura prevista dalla norma citata, come pure quella di cui all'art. 282 bis c.p.p., si caratterizza per essere normativamente temperata sulla situazione che si vuole tutelare in via cautelare. Il giudice penale è abituato a maneggiare misure cautelare interamente predeterminate , che generalmente non necessitano di integrazioni prescrittive e quando vi sono, sono di minima entità. Invece, sia la misura di allontanamento dalla casa familiare, che quella del divieto di avvicinamento si caratterizzano perché affidano al giudice della cautela il compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l'obiettivo cautelare ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. Così, nel provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il giudice penale può prescrivere determinate modalità di visita del soggetto allontanato dalla abitazione coniugale, ad esempio tenendo presenti le esigenze educative dei figli minori con il provvedimento di divieto di avvicinamento il giudice deve individuare i luoghi ai quali l'indagato non può avvicinarsi e in presenza di ulteriori esigenze di tutela può prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e addirittura indicare la distanza che l'indagato deve tenere da tali luoghi o da tali persone inoltre, spetta al giudice vietare che l'indagato comunichi con la vittima, indicando i mezzi vietati in entrambi i casi, qualora la frequentazione dei luoghi sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le modalità e può imporre specifiche limitazioni. È evidente che l'efficacia di queste misure, funzionali ad evitare il pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è subordinata a come il giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne consegue che per le misure in questione appare necessaria la completa comprensione delle dinamiche che sono alla base dell'illecito, nel senso che il giudice deve modellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Ciò comporta che il pubblico ministero nella sua richiesta e ancor prima la polizia giudiziaria dovrà ben rappresentare al giudice, oltre agli elementi essenziali per l'applicazione della misura, anche aspetti apparentemente di contorno, che invece possono assumere una importanza fondamentale ai fini dei provvedimenti di allontanamento o di divieto di avvicinamento, che possono risultare utili per dare il migliore contenuto al provvedimento cautelare. Così, nella misura cautelare di cui all'art. 282 ter c.p.p., assumono un particolare rilievo le informazioni circa i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai suoi parenti, proprio in quanto funzionali al tipo di tutela che si vuole assicurare attraverso l'allontanamento dell'autore del reato, che dovrebbe servire ad evitare il ripetersi di episodi delittuosi ai danni della persona offesa. Ma nell'ambito dei luoghi abitualmente frequentati la norma pretende che vengano individuati luoghi determinati , perché solo in questo modo il provvedimento assume una conformazione completa, che ne consente non solo l'esecuzione, ma anche il controllo che tali prescrizioni siano osservate. D'altra parte, la completezza e la specificità del provvedimento costituisce una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza, incentrate sulla tutela della vittima, e il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta ad indagini. In altri termini, deve ritenersi che con il provvedimento ex art. 282 ter c.p.p., il giudice debba necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi rispetto ai quali all'indagato è fatto divieto di avvicinamento, non potendo essere concepibile una misura cautelare, come quella oggetto di esame, che si limiti a fare riferimento genericamente ai luoghi frequentati dalla vittima. Così concepito il provvedimento, oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa. Peraltro, la genericità del provvedimento rivela altresì caratteri di eccessiva gravosità e di sostanziale ineseguibilità. Si tratta di carenze contenutistiche che incidono sulla validità stessa del provvedimento genetico in parte qua. Ne consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata nella parte relativa al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con trasmissione degli atti al Tribunale di Parma per nuova statuizione sul punto in cui si darà applicazione ai principi sopra enunciati v. sez. 6, sentenza n. 26819 del 7-4-2011, rv 250728, C. . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata nella parte relativa al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e ordina trasmettersi gli atti al Tribunale di Parma per nuova statuizione sul punto.