Il dies a quo della prescrizione coincide con la cessazione dei lavori, ma solo se…

In tema di reati edilizi - urbanistici, la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado. Pertanto, il momento consumativo del reato di abuso edilizio si realizza con l’ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle finiture esterne ed interne.

Lo ha ribadito la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7044/15, depositata il 18 febbraio. L’abuso edilizio realizzato. L’art. 44, lett. c , del TUE fissa la pena edittale per gli interventi edilizi eseguiti in totale difformità, in variazione essenziale o in assenza del permesso di costruire, nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico o ambientale. Per l’individuazione del concetto di totale difformità occorre riferirsi all’art. 31 del TUE, a norma del quale sono interventi eseguiti in totale difformità quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione rispetto a quelle oggetto del permesso stesso. Rispetto al permesso di costruire, dunque, la difformità totale si delinea allorché i lavori riguardino un’opera diversa per conformazione e strutturazione da quella contemplata nel provvedimento in tale ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. b , TUE. La difformità parziale si delinea invece allorché i lavori tendano ad apportare variazioni, circoscritte in senso qualitativo e quantitativo, alle opere così come identificate nel provvedimento in siffatta ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. a TUE. La difformità totale, in effetti, si verifica allorché si costruisca aliud pro alio , in una situazione nella quale l’esecuzione dei lavori è assistita da un permesso di costruire meramente apparente o non pertinente. Altra ipotesi è quella in cui i lavori eseguiti esulino radicalmente dal progetto approvato, nel senso che essi tendano a realizzare opere aggiuntive a quelle consentite e che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico - sociale come ad esempio allorché venga realizzato un edificio a più piani in aggiunta a quello o a quelli stabiliti dal permesso . Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi residuali, tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza da valutarsi in relazione al progetto approvato , nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Il periculum in mora nel sequestro preventivo di opere abusive. L’art. 321 c.p.p., disciplinante il sequestro preventivo, costituisce la seconda misura cautelare reale prevista dal codice di rito. Essa fu introdotta con il codice del 1988 per meglio regolamentare una materia in precedenza affidata alla polizia giudiziaria. In occasione della riforma, il legislatore ha voluto chiarire la materia, tipizzare i provvedimenti, garantire i controlli giurisdizionali e disciplinare i collegamenti dell’istituto ex art. 321 c.p.p. nelle leggi speciali e nella pratica giudiziaria. Il sequestro è un istituto giuridico che si adatta alle molteplici finalità previste dalle diverse fonti normative, aventi come denominatore comune l’imposizione di restrizioni sostanziali o formali all’utilizzo svincolato di un bene, spesso finalizzate all’espropriazione definitiva a favore dello Stato e dunque alla confisca . Sul piano esecutivo, il sequestro preventivo avviene mediante la fisica apprensione, materiale e/o formale del bene sequestrato, eseguito dal pubblico ministero anche mediante la polizia giudiziaria, con le stesse modalità previste per il sequestro probatorio, atteso l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 104 disp. att. c.p.p., in virtù del quale per il sequestro preventivo si applicano le disposizioni concernenti il sequestro probatorio. La pronuncia in esame, nell’accogliere il terzo motivo di ricorso predisposto dal difensore dell’imputato, sottolinea che, in tema di reati edilizi, è legittimo il sequestro preventivo di un manufatto abusivo già ultimato allorquando, pur cessata la permanenza, le conseguenze lesive della condotta sul bene protetto possano perdurare nel tempo, sempre che il pericolo della disponibilità del manufatto - da accertarsi con adeguata motivazione - presenti i requisiti dell'attualità e della concretezza e le conseguenze del reato abbiano connotazioni di antigiuridicità. La Suprema Corte ha altresì precisato che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi. In particolare, per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche, ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio 2014 – 18 febbraio 2015, n. 7044 Presidente Squassoni – Relatore Savino Ritenuto in fatto Con provvedimento del 22.11.2013 il Gip presso il Tribunale di Frosinone disponeva il sequestro preventivo dell'immobile sito in omissis , di proprietà di M.A. , indagata dei reati di cui agli artt. 323, 481 c.p. e artt. 44, 64, 71, 72, 93, 94 e 95 dpr 380/2001 e art. 181 d.lgs. 42/2004 per aver realizzato, in diformità al titolo abilitativo e relativo nulla osta sismico, fabbricato in duplice elevazione, costituito da piano seminterrato e piano in elevazione completamente fuori terra e rialzato rispetto alla quota del terreno attuale di mt 1,66, delle dimensioni di mt 19 x mt 10 con altezza, al piano fuori terra, di mt 2,75 anziché 2,40 come previsto nel progetto. Il Tribunale del riesame di Frosinone aveva già avuto modo di pronunciarsi su un precedente sequestro del medesimo manufatto disposto dal Gip con provvedimento del 28.5.2012 in relazione ai reati di cui agli artt. 181 d.lgs. 42/2004 e 95 dpr 380/2001 in tale occasione all'esito del riesame proposto, era stato disposto l'annullamento della misura e la restituzione dell'immobile in favore dell'indagata. Nel prosieguo delle indagini, veniva disposto dal GIP il nuovo e già citato sequestro preventivo in quanto dagli atti trasmessi dal PM risultava la illegittimità dell'iter amministrativo relativo al rilascio del condono edilizio n. 56/B del 17.11.2010 da ciò derivava, secondo il GIP, che non potesse ritenersi prodotto l'effetto estintivo della procedura di condono con la conseguenza che era sussistente il carattere abusivo delle opere edilizie. Avverso detto sequestro l'indagata proponeva istanza di riesame deducendo 1 l'inesistenza del reato ambientale di cui al capo c in quanto il vincolo di tipo archeologico era stato introdotto solo all'esito della pubblicazione del P.T.P.R. del Lazio in B.U.R.L. n. 6 del 14.2.2008, quindi in epoca successiva alla realizzazione dell'immobile, edificato, quanto alla struttura e alla copertura, nell'anno 2003, e, nell'attuale consistenza, nel 2006 2 l'intervenuta prescrizione dei reati edilizi ed ambientali in ordine ai quali era stata emessa la misura cautelare reale, compreso il reato ambientale di cui al capo c 3 carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del requisito del periculum in mora, considerato che il sequestro aveva per oggetto un fabbricato ultimato dieci anni orsono 4 l'insussistenza del reato di abuso di ufficio posto che il pdc in sanatoria rilasciato alla M. aveva seguito il medesimo iter di tutte le pratiche edilizie della zona. Con ordinanza del 23.12.2013 il Tribunale del riesame rigettava il gravame proposto dall’indagata, ritenendo che dall'elaborato tecnico a firma del CT del PM risultasse accertato che i laterizi utilizzati per due lati della tamponatura dell'edificio fossero stati prodotti nel 2006, sicché poteva escludersi che al 31.3.2003 il manufatto fosse nella consistenza attuale. I giudici di merito richiamavano a tal riguardo l'orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui il concetto di ultimazione dei lavori ai fini del momento consumativo del reato è diverso da quello richiesto in tema di condono. Mentre, infatti, in tale ultimo caso, si ritiene sufficiente che l'edificio sia portato a rustico e cioè sia dotato di tamponatura e di copertura, per ritenere che l'opera sia completata ai fini della consumazione del reato edilizio occorre che essa sia realizzata nelle parti essenziali ai fini della destinazione che le è propria, ivi compresi l'intonacatura, i servizi e gli infissi, ovvero si richiede che siano state realizzate le rifiniture. Ad avviso dei giudici del riesame, ad ogni modo, anche considerando, così come rilevato dalla difesa, che si trattava di manufatto destinato a magazzino non necessitante di opere di rifinitura, difettavano quelli che sono gli elementi strutturali minimi stata la mancanza di una scala di collegamento col piano superiore dello stabile, accessibile solo tramite appoggio di scala a pioli. Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale del riesame riteneva che le opere non potevano considerarsi ultimate tale dato, secondo i giudici, rilevava non solo ai fini della decorrenza della prescrizione, ma anche per ritenere sussistenti i requisiti della misura cautelare applicata, fondata sull'assunto della falsa rappresentazione delle condizioni per la concessione del provvedimento di condono, che presuppone la ultimazione del rustico alla data del 31.3.2003. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame, l'odierna indagata, a mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione, deducendo i seguenti motivi di impugnazione. 1 Violazione di legge per intervenuta prescrizione dei reati edilizi contestati e conseguente difetto di fumus del sequestro preventivo. Rileva la difesa che, a fronte della documentazione prodotta, appare dimostrato che i lavori per l'edificazione del fabbricato sono iniziati in data 5.9.2000 in forza di rituale titolo edilizio concessione n. 9/1998 e variante n. 73/1999 , che gli stessi sono stati commissionati dalla ditta Cardinali & amp Versi S.r.l. ed eseguiti nel 2001 come da fatture in atti, che alla data del 31.3.2003 il fabbricato, già completo di copertura, appariva ben visibile nelle fotoriproduzioni satellitari, che l'indagata ha proposto nei termini domanda di condono edilizio allegando autodichiarazione circa la data di conclusione delle opere e la destinazione del fabbricato, risultando pertanto rilasciato il condono n. 56/B del 2010 poi contestato dal PM quale frutto di un abuso di ufficio il fabbricato era dunque completo di tutti gli elementi strutturali e funzionale all'uso cui era destinato e gli unici lavori in corso risultavano essere quelli esterni di sistemazione del terreno e realizzazione della recinzione autorizzati con DIA e nulla osta ambientale. Quanto al rilievo svolto dai giudici del riesame secondo cui il manufatto non poteva considerarsi completo poiché difettava di una stabile scala di accesso al piano terreno e poiché una porzione della tamponatura era interessata da blocchetti di cemento indicati dalla ditta fornitrice Toppetti S.r.l. come prodotti nel 2006, deduceva la difesa che l'attuale dislivello risultava connesso proprio ai lavori di sistemazione esterna e scorticamento dell'area una volta conclusi i lavori l'accesso sarebbe nuovamente garantito mediante un semplice gradino di legno così come accadeva in passato. Inoltre la difesa pone l'accento sulla inidoneità dell'accertamento circa la datazione della porzione di tamponatura da parte del CT, operata tramite una semplice mail della ditta costruttrice, insufficiente, a suo avviso, a fornire indicazioni certe su tale elemento. Ad ogni modo, rileva la difesa che, anche considerando quale data di ultimazione dei lavori il 2006, i reati edilizi risulterebbero comunque prescritti. Ai fini del completamento, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla destinazione del manufatto magazzino di rivendita materiale , non rileverebbe la mancanza di opere di finitura non funzionali all'uso impresso al locale. Infine la ricorrente ribadisce la perdurante efficacia estintiva del condono edilizio n. 56/B del 2010 per la piena legittimità del titolo, disapplicabile solo in relazione al principio di stretta legalità. 2 Inesistenza del reato di cui al capo e e conseguente difetto del fumus . Il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42/2004 non solo risulta prescritto, ma è totalmente inesistente. La difesa rileva che il vincolo di tipo archeologico risulta essere stato introdotto solo in data 14.2.2008 all'esito della pubblicazione del P.T.P.R. del Lazio B.u.r.l. n. 6, Solo da tale data scattano le misure di salvaguardia ed il conseguente obbligo di acquisizione, anche nell'ambito delle procedura di condono edilizio, del relativo nulla osta, ma l'immobile de qua risulta essere realizzato, anche secondo il CT del PM, certamente prima del 2008. Eccepisce la difesa, quindi, che, non esistendo al momento della realizzazione alcun vincolo, l'indagata non può averlo violato con conseguente imputazione del reato dell'art. 181 del D.lgs n. 42/2004 considerato ex se una. cosa è la ritenuta omissione procedurale relativa al nulla osta, un'altra è la violazione diretta mediante edificazione in zona vincolata in difetto di nulla osta relativa a vincolo sopravvenuto rispetto alla costruzione. 3 Violazione di legge per difetto di motivazione sul periculum . Rileva la difesa che non solo deve sussistere una certa prossimità rispetto al reato ipotizzato, ma soprattutto la misura cautelare deve essere giustificata e congruamente motivata in ordine alle conseguenze antigiuridiche ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente. Difetterebbe il requisito della prossimità in quanto il sequestro è intervenuto dopo oltre 10 anni dall'intervenuto completamento dei lavori e, quanto alle ulteriori conseguenze derivanti dall'uso dell'edificio, risulta dal testo del decreto un mero accenno, del tutto generico e stereotipato, all'aggravamento urbanistico della zona. Ritenuto in diritto È infondato il primo motivo di ricorso, col quale si lamenta violazione di legge per intervenuta prescrizione dei reati edilizi contestati con conseguente difetto di fumus del sequestro preventivo. Secondo costante orientamento di questa Corte, la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l'accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado . Sez. 3, Sentenza n. 29974 del 06/05/2014 Cc. dep. 09/07/2014 Rv. 260498. Fatta questa premessa, va detto che il momento consumativo del reato di abuso edilizio si realizza con l'ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle finiture esterne ed interne. Quindi la nozione di ultimazione dei lavori, intesa come momento che segna la consumazione del reato di costruzione abusiva, richiede il completamento dell'opera in modo tale da renderla abitabile e funzionale rispetto all'uso cui è destinata, comprensiva delle ed rifiniture . A tal riguardo si è sostenuto che in tema di reati edilizi, deve ritenersi ultimato solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni. Fattispecie relativa ad immobile privo di infissi, impianti elettrici e imbiancatura, nella quale la Corte ha specificato che spetta al ricorrente l'onere di dimostrare di avere non solo sospeso l'attività edilizia, ma anche di aver voluto lasciare volutamente l'opera abusiva nello stato in cui è stata rinvenuta . Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014 Ud. dep. 20/11/2014 Rv. 261153. Priva di pregio è l'argomentazione della difesa secondo la quale, trattandosi di magazzino, opera che non necessita di particolari rifiniture al fine dello svolgimento della funzione cui è destinata, il manufatto in questione, alla data del 31.3.2003, era già completato con conseguente prescrizione dei reati edilizi. Siffatta tesi è contraddetta da alcune pronunce di questa Corte che estendono la necessità della realizzazione delle rifiniture, per i fini che interessano, anche a locali costituenti annessi dell'abitazione, in relazione ai quali si era sostenuto da parte del ricorrente, la non necessarietà delle opere finali stante la destinazione funzionale a magazzino e garage dei locali costituenti pertinenza dell'edificio principale Cass. sez. 3, 27.10.010 n. 8172 . E comunque, condivisibilmente a quanto sostenuto dai giudici del riesame, quand'anche si volesse aderire alla tesi della non necessarietà, ai fini della consumazione del reato, delle rifiniture in considerazione della destinazione funzionale del manufatto quale magazzino, si dovrebbe ugualmente pervenire alla conclusione della mancata ultimazione delle opere per la mancanza di elementi facenti parte integrante della struttura, quale la scala di collegamento fra il piano terreno e il primo piano, mancante all'epoca dell'accertamento. Discende da ciò che alla data del 31.3.2003, il manufatto abusivo non poteva ritenersi ultimato con tutte le conseguenza in tema di consumazione del reato e dunque di prescrizione. Il D.L. 30 settembre 2003, art. 32, comma 25, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, consentiva il condono anche con effetto estintivo dei relativi reati di opere edilizie abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 e la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31, comma 2, cui la precedente normativa, rinvia per la disciplina del condono, stabiliva che si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Occorre precisare che in materia edilizia la nozione di ultimazione assume un diverso significato se considerata ai fini della individuazione del momento di cessazione della permanenza del reato per stabilire il momento della consumazione del reato coincidente con la cessazione della permanenza ovvero del condono edilizio. Nel primo caso il requisito dell'ultimazione lavori è integrato solo quando siano state eseguite anche le rifiniture dell'immobile. In materia di condono, invece, al fine dell'ultimazione dell'opera, è sufficiente che sia completato il rustico ed eseguita la copertura. Difatti, la nozione di ultimazione dell'immobile ai fini dell'applicazione della sanatoria edilizia si ricava dall'art. 31 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, che considera tali gli edifici per i quali sia completato il rustico ed eseguita la copertura ovvero, quanto alle opere interne o agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente Sez. 3 n. 9011 del 12/08/1997 Ud. dep. 03/10/1997 Rv. 208861. Secondo l'elaborazione giurisprudenziale della norma in esame, con la locuzione immobile a rustico , si intende l'avvenuto completamento di tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricomprese le tamponature esterne, atteso che queste determinano l'isolamento dell'immobile dalle intemperie e configurano l'opera nella sua fondamentale volumetria. Sez. 3, n. 26119 del 13/05/2004 Cc. dep. 10/06/2004 Rv. 228696. Sez. 3, n. 26119 del 13/05/2004 Cc. dep. 10/06/2004 Rv. 228696 Sez. 3, n. 28515 del29/05/2007 Ud. dep. 18/07/2007 Rv. 237139. Nel caso in esame, come correttamente ha osservato il Tribunale del riesame, alla data dell'accertamento, l'immobile non poteva ritenersi completato neppure con riguardo alla parte strutturale, in quanto, pur essendo stato già realizzato il rustico con la relativa copertura, mancava la scala di accesso al piano rialzato raggiungibile solo tramite scala in appoggio a pioli , elemento di collegamento dei due piani che deve necessariamente considerarsi parte integrante della struttura dell'immobile. Per contro, deve ritenersi non pertinente ai fini dell'accertamento della condonabilità dell'opera, l'assunto della difesa secondo cui, trattandosi di manufatto destinato a magazzino, non deve aversi riguardo, ai fini dell'accertamento del momento dell'ultimazione dei lavori, alla presenza di rifiniture, che, proprio per la destinazione funzionale dell'opera, non sarebbero richieste. Orbene, come già evidenziato, ai fini della sanatoria di cui al D.L. 30 settembre 2003, art. 32, comma 25, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, non si deve avere riguardo alla rifiniture dell'immobile, rilevanti ai fini della individuazione del momento consumativo del reato di abuso edilizio, bensì allo stato grezzo del manufatto, completo dei suoi elementi strutturali e funzionali. Quanto al secondo motivo, i reati edilizi di cui all'incolpazione provvisoria sono idonei a giustificare il vincolo reale, ragione per cui appare ultronea, ai fini cautelari, la disamina della insussistenza del reato ambientale. Appare, invece, fondato il terzo ed ultimo motivo di ricorso riguardane l'omessa motivazione del Tribunale del riesame sul requisito del periculum in mora . In particolare si riscontra una carenza motivazionale quanto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari giustificative del sequestro in esame. Ciò in aperto contrasto con il principio secondo il quale, in tema di sequestro preventivo, il periculum in mora rilevante al fine dell'adozione della misura cautelare deve presentare i requisiti della concretezza e della attualità e deve essere valutato con riferimento alla situazione esistente al momento della sua adozione. Dunque lo stesso va inteso, non come mera astratta eventualità, ma come concreta possibilità - desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto - che la libera disponibilità del bene assuma carattere strumentale rispetto alla agevolazione della commissione di altri reati della stessa specie. Inoltre, è necessaria la sussistenza del requisito della pertinenzialità del bene sequestrato, nel senso che il bene oggetto di sequestro preventivo deve connotarsi per l'intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso Cass., Sez. V, n. 35394/2011 Cass. Sez. Un., n. 12878/2003 . Orbene l'ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione circa la sussistenza del requisito del periculum in mora . È vero che, secondo costante giurisprudenza di legittimità, è riconosciuta la possibilità di disporre il sequestro preventivo delle opere abusive già ultimate, quindi anche dopo la consumazione del reato, allorché, pur essendo cessata la permanenza, le conseguenze lesive della condotta sul bene protetto possano perdurare nel tempo, ma a condizione che 1 sussista una prossimità temporale del sequestro rispetto alla realizzazione dell'opera e, conseguentemente, il requisito della attualità e concretezza della misura cautelare reale 2 sia data una congrua puntuale motivazione sul periculum in mora sotto il profilo della sussistenza delle conseguenze antigiuridiche ulteriori rispetto alla ultimazione dei lavori, derivanti dall'uso del fabbricato. Dunque il sequestro preventivo di manufatti abusivi già ultimati è legittimo, sempre che il pericolo della disponibilità del manufatto - da accertarsi con adeguata motivazione - presenti i requisiti dell'attualità e della concretezza e fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa il carattere di antigiuridicità delle conseguenze, ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire. Sez. 4, n. 2389 del 06/12/2013 Cc. dep. 20/01/2014,Rv. 258182, sez. 6, n. 27750 21/05/2012 Cc. dep. 12/07/2012 Rv. 253113, sez. II 23.4.2010 n. 171709 . Nel caso in esame, la circostanza che il sequestro sia intervenuto a distanza di apprezzabile lasso di tempo dal completamento delle opere come accertato dal ct del P M. rendeva più che mai necessaria, in assenza di una prossimità fra l'abuso edilizio e la adozione della misura cautelare reale, una motivazione in termini di concretezza della misura, sulle conseguenze antigiuridiche ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall'uso dell'edificio realizzato abusivamente, motivazione che è del tutto mancata. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con riguardo all'omessa motivazione della sussistenza del periculum in mora , con rinvio al Tribunale di Frosinone per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Frosinone limitatamente alle esigenze cautelari.