“Ti debbo ammazzare...”, reazione scomposta alla sanzione comunicata dal preside: condannato

Contesto scolastico e ricostruzione dell’episodio rendono corretta la sanzione decisa dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto concreto il reato di minaccia, con relativo obbligo di pagare 40 euro di multa e di provvedere al risarcimento in favore della parte civile.

Scontro frontale col preside della scuola. Casus belli è la sanzione disciplinare comminata nei confronti dell’uomo, che reagisce in malo modo. Eccessiva, però, la frase rivolta al dirigente dell’istituto Ti debbo ammazzare ”. Alla luce di queste parole è non discutibile la condanna per il reato di minaccia Corte di Cassazione, sentenza n. 7262, quinta sezione penale, depositata il 18 febbraio . Parole come pietre Giudice di pace e giudice del Tribunale concordano sulla gravità della condotta tenuta dall’uomo, che ha rivolto una frase inequivocabile – Ti debbo ammazzare ” – all’indirizzo del preside della scuola, come reazione alla comunicazione di una sanzione disciplinare . Consequenziale la condanna, accompagnata dalla pena di 40 euro di multa e dall’obbligo del risarcimento del danno a favore della parte civile . E tale visione viene ritenuta legittima anche dai giudici della Cassazione, i quali sottolineano la chiarezza della ricostruzione dell’episodio fatta tra primo e secondo grado, con richiamo al contesto dell’istituto scolastico e alle parole della persona offesa e di una teste . Tutto ciò ha reso evidente la sostanza della minaccia verbale ai danni del preside , minaccia che, è bene ricordarlo, si concretizza anche quando non emerge timore nella vittima .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 ottobre 2014 – 18 febbraio 2015, numero 7262 Presidente Lombardi – Relatore De Bernardis Ritenuti in fatto Con sentenza in data 4.12.12 il Giudice Monocratico dei Tribunale di Santa Maria Capua Vetere /Sez. di Piedimonte Matese, confermava a carico di C.G. la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Piedimonte Matese, in data 7/4/2009,con la quale l'imputato era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'articolo 612 CP, ni confronti di V.F. al quale aveva rivolto la frase ti debbo ammazzare in data 27.6.2006 Per tale reato era stata inflitta la pena di €40,00 di multa, con la condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile. Il Giudice di appello, come si evince dal testo del provvedimento, aveva ritenuto fondata la pronunzia di condanna che si basava sulle dichiarazioni di una teste che era presente al momento in cui l'imputato aveva rivolto alla persona offesa la frase contestata ritenendo ininfluente il richiamo della difesa ad altra deposizione, del teste menzionato in quanto non attinente ai fatti di causa Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1-erronea applicazione degli articolo 530-533 CPP e illogicità della motivazione. A riguardo rilevava che il giudice di appello non aveva verificato le discrasie tra la versione del fatto indicata dalla persona offesa e le altre dichiarazioni testimoniali 2-censurava inoltre la decisione, in quanto la motivazione aveva evidenziato che non era raggiunta la prova dell'innocenza dell'imputato& gt ponendosi in contrasto con la ratio legis dell'articolo 533 CPP. Rileva in diritto Il ricorso risulta inammissibile. Invero premesso che la sentenza impugnata si rivela dotata di congrua motivazione, rispondente alle richieste avanzate dalla difesa in grado di appello, deve osservarsi che i motivi di gravame si presentano meramente ripetitivi e generici, nella censura della decisione fondata su pretese discrasie tra le risultanze dibattimentali. Va osservato peraltro che in presenza di una doppia conforme la motivazione resa dal Giudice di Pace si rivela altrettanto adeguata e specifica nella valutazione degli elementi di prova analizzando specificamente il contesto nel quale si era verificato l'episodio, nella specie l'imputato aveva pronunziato la minaccia nei confronti del preside dell'istituto scolastico-parte offesa che gli aveva notificato una sanzione disciplinare , menzionando la teste che aveva deposto sul punto, senza trascurare la deposizione dei teste a difesa ed infine, applicando correttamente la fattispecie della minaccia conformemente al dettato giurisprudenziale di questa Corte In conclusione deve rilevarsi pertanto che i motivi di gravame, ivi compresa la censura riguardante la rilevata assenza di elementi a sostegno della innocenza dell'imputato, siano privi di specificità e rilevanza,ai fini dei richiamati vizi di legittimità, essendo la pronunzia di condanna resa sulla base della corretta applicazione dell'articolo 192 CPP. Cass.Sez.IV 9.4.2004,numero 16860-RV227901 sulla efficacia probatoria delle dichiarazioni della persona offesa e dell'articolo 612 CP. Cass.Sez.V,17.12.2008,numero 46528-RV216321-per cui la minaccia si qualifica come reato di pericolo per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l'incussione di timore nella vittima In tal senso deve essere dichiarata l'inammissibilità del gravame, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.