Sta al conducente essere vigile ed attento, per accorgersi della manovra incauta del pedone

Gli obblighi comportamentali sono posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone. Infatti, il conducente ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5866, depositata il 9 febbraio 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dichiarava l’imputato responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p. a lui ascritto perché, alla guida di un ciclomotore, per colpa consistita nel viaggiare a velocità non consentita, in un centro urbano e su un tratto di strada sprovvisto di attraversamenti pedonali, perdeva il controllo del mezzo e investiva il pedone che aveva già iniziato l’attraversamento, cagionandone lesioni gravi cui seguiva il decesso. Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo vizio di motivazione in relazione all’affermazione di penale responsabilità. Innanzitutto il Collegio ritiene che la Corte d’appello abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno condotta a ribaltare l’esito assolutorio del giudizio di primo grado, adempiendo così al più gravoso obbligo motivazionale richiesto in tale ipotesi, alla stregua di una esaustiva rilettura dei dati fattuali conforme ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza in materia. Obblighi comportamentali del conducente. La regola prudenziale e cautelare che deve presiedere al comportamento del conducente, afferma il Collegio, può essere sintetizzata nell’obbligo di attenzione che questo deve tenere al fine di avvistare il pedone, sì da poter porre in essere efficacemente gli opportuni accorgimenti atti a prevenire il pericolo di investimento. Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento nel principio generale di cautela che informa la circolazione stradale. Gli obblighi comportamentali sono posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone. Infatti, il conducente ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui. Il conducente può andare esente da responsabilità se Ne consegue che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo del pedone, ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento. Ciò è possibile quando il conducente del veicolo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso e imprevedibile. Nel caso in esame, però, osserva il Collegio, se il conducente del motoveicolo fosse stato vigile ed attento, avrebbe potuto accorgersi della manovra incauta del pedone e, in particolare, prevenire o comunque attentamente valutare le fasi successive al pur dedotto rallentamento della marcia. Alla stregua delle considerazioni sopra riportate, le censure svolte dal ricorrente sono da considerarsi inidonee a inficiare la validità logica e la correttezza giuridica delle valutazioni della Corte territoriale. Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 30 gennaio – 9 febbraio 2015, n. 5866 Presidente Brusco – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7/5/2013 la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dichiarava D.S.A. responsabile del delitto di cui all'art. 589 cod. pen. a lui ascritto perché, in data omissis , alla guida di un ciclomotore Aprilia Scarabeo, percorrendo la via omissis , in direzione omissis , per colpa consistita nel viaggiare a velocità non consentita, in un centro urbano e su un tratto di strada sprovvisto di attraversamenti pedonali, violando così gli artt. 141 e 191 cod. strada, perdeva il controllo del mezzo e investiva il pedone R.V. che aveva già iniziato l'attraversamento, cagionandone lesioni gravi cui seguiva il decesso in data . Considerava la Corte che la rivalutazione degli stessi elementi indicati nella sentenza appellata alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di investimento di pedone, consentiva di pervenire al giudizio di responsabilità penale dell'imputato in ordine al fatto-reato ascrittogli, incontestato essendo, nella specie, il decesso del pedone eziologicamente legato alla sua caduta al suolo, a sua volta conseguente all'investimento con il mezzo condotto dal D.S. . Rilevava infatti che, come evidenziato nel rilievo planimetrico eseguito dalla Polizia Municipale e secondo quanto del resto ammesso dallo stesso imputato, la vittima stava attraversando a piedi la strada non molto distante dalle strisce pedonali situate a 40 m ed era stata, peraltro, anche avvistata dal conducente del ciclomotore, di guisa che quest'ultimo non soltanto aveva l'obbligo di moderare la velocità del proprio veicolo ma anche quello di arrestarne la marcia per dare la precedenza al pedone. Soggiungeva che la circostanza dedotta dall'imputato a suo discarico ossia, la presenza di cassonetti dalle spalle dei quali la donna sarebbe fuoriuscita all'improvviso , non aveva trovato riscontro nei rilievi eseguiti dagli operanti e che, per contro, era emerso dalle dichiarazioni dei testi escussi che, diversamente da quanto affermato dall'imputato, l'investimento avvenne in prossimità del centro della carreggiata. Riconosciuto il concorso colposo della vittima, stimato nella misura del 30%, l'imputato era pertanto condannato, concesse le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, alla pena di sei mesi di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale. Egli era inoltre condannato, in solido con il responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, in rapporto al suindicato grado di colpa, e al pagamento di una provvisionale di Euro 10.000,00 in favore della parte civile R.R. . 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del proprio difensore, deducendo vizio di motivazione, in relazione all'affermazione di penale responsabilità. Secondo il ricorrente, infatti, la sentenza non offre elementi concreti idonei a giustificare la riforma della decisione del giudice di primo grado, né tanto meno indica argomentazioni nuove e non vagliate dal Tribunale, ma utilizza anzi gli stessi elementi già considerati da quest'ultimo per giungere però a conclusioni diametralmente opposte, non valorizzando minimamente i proposti argomenti contrari e svolgendo esclusivamente considerazioni di tipo deduttivo prive di fondamento. Lamenta, in particolare, la distorsione del significato delle sue affermazioni difensive, precisando che egli aveva bensì ammesso di aver avvistato il pedone ma aveva anche aggiunto di aver per questo rallentato sino a fermarsi e che era stata piuttosto la successiva imprevedibilità della condotta del pedone a generare un equivoco, sfociato poi nel sinistro. Sostiene ancora che l'assenza di riscontri circa l'incidenza sulla dinamica del sinistro della presenza di cassonetti era da imputarsi alla loro rimozione prima dell'accertamento compiuto dalla polizia municipale e che anche la mancata esatta ricostruzione del punto d'urto era dovuta al fatto che la donna investita, al momento dei rilievi planimetrici, era già stata trasportata al pronto soccorso. Per contro, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto valorizzarsi la mancanza di segni di frenata del motoveicolo, i modestissimi danni dallo stesso subiti leva del freno spezzata a seguito della caduta a terra , l'inesistenza di lesioni visibili alla donna, non presentando danni nemmeno i suoi abiti. 3. Con memoria pervenuta in cancelleria il 22/1/2015 la difesa del ricorrente ha dedotto quale motivo nuovo anche la nullità della sentenza, per violazione dell'art. 6 C.E.D.U. a motivo della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, in particolare, della nuova audizione dei testi, secondo il ricorrente necessaria attesa la riforma in peius della prima sentenza. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. La Corte d'appello da adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno condotta a ribaltare l'esito assolutorio del giudizio di primo grado, adempiendo al più gravoso onere motivazionale in siffatta ipotesi richiesto alla stregua di una esaustiva rilettura dei datti fattuali, in sé peraltro incontestati ed anzi in massima parte emergenti dalle stesse ammissioni dell'imputato, conforme ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza in materia. Occorre al riguardo, invero, rammentare che le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell'art. 140 cod. strada, che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l'obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate nell'art. 191 cod. strada, che trovano il loro pendant nel precedente art. 190, che, a sua volta, dettaglia le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell’”obbligo di attenzione” che questi deve tenere al fine di avvistare il pedone, sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni rectius , i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento. Il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento oltre che nelle regole di comune e generale prudenza nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada in particolare, proprio dei pedoni cfr., per riferimenti, Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288 Sez. 4, n. 4854 del 30/01/1991, Del Frate, Rv. 187055 Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, Leonini, Rv. 232618 Sez. 4, n. 40908 del 13/10/2005, Tavoliere, Rv. 232422 . Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, siano essi genericamente imprudenti tipico il caso del pedone che si attarda nell'attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti o violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'art. 190 cod. strada tipico, quello dell'attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali ciò che risulta essersi verificato nel caso di interesse altrettanto tipico, quello dell'attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate . Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui Sez. 4, n. 1207 del 30/11/1992, dep. 1993, Cat Berro, Rv. 193014 . Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo del pedone imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale una tale condotta risulterebbe concausa dell'evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente, ai sensi dell'art. 41, primo comma, cod. pen. , ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l'evento art. 41, secondo comma, cod. pen. . Ciò che può ritenersi solo allorquando il conducente del veicolo investitore nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica, vuoi specifica si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, in vero, l'incidente potrebbe ricondursi eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima. Nello specifico, il giudice d'appello ha ricostruito puntualmente le circostanze dell'incidente qui certamente non rinnovabili in fatto ed evidenziato come, in considerazione delle condizioni spazio-temporali dell'incidente, della buona visibilità, se il conducente del motoveicolo fosse stato vigile ed attento, avrebbe potuto avvedersi della manovra incauta del pedone e, in particolare, prevenire o comunque attentamente valutare le fasi successive al pur dedotto rallentamento della marcia, non potendo certamente considerarsi idonea giustificazione quella di aver equivocato sui successivi movimenti del pedone, atteso che, in quel frangente, a maggior ragione obbligo primario di prudenza sarebbe stato, per il conducente, quello di concedere la precedenza al pedone e comunque di non riprendere la marcia se non a distanza di sicurezza dal pedone. 5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, le censure svolte dal ricorrente si appalesano del tutto inidonee a infirmare la validità logica e la correttezza giuridica della valutazioni operate dalla Corte di merito. In particolare non è predicabile alcuna distorsione delle dichiarazioni dell'imputato, posto che, al contrario, proprio da esse, lette esattamente nel significato ancora una volta precisato nello stesso ricorso e per nulla frainteso dalla corte territoriale, si desumono i più evidenti profili di colpa posti a fondamento della condanna, non potendo certamente addursi a giustificazione della condotta del conducente la mancata comprensione delle intenzioni della donna nel momento in cui, incrociandola in piena fase di attraversamento, il conducente secondo quanto dallo stesso dedotto ebbe a rallentare e addirittura a fermarsi. Proprio alla stregua di tale ricostruzione, che presuppone - giova ribadire - che la donna avesse già iniziato l'attraversamento e soprattutto fosse stata avvistata dal conducente del ciclomotore, nessun rilievo può assumere la circostanza che, al momento di iniziare l'attraversamento, la donna fosse nascosta da alcuni cassonetti posti a margine della strada circostanza peraltro ritenuta non provata dal giudice del merito, alla stregua di una valutazione di merito non sindacabile, tanto più in quanto del tutto genericamente contestata dal ricorrente, alla stregua di rilievi meramente assertivi del contrario. 6. Né infine la valutazione della Corte d'appello può ritenersi inficiata dalla mancata rinnovazione dell'esame dei testi, palesandosi al riguardo nella specie non pertinente il principio affermato dalla sentenza della Corte Europea del 5 luglio 2011 resa nel caso Dan c/ Moldavia, circa la necessità di risentire i testi nel caso di ribaltamento di sentenza assolutoria in sentenza di condanna. Secondo tale principio, invero, il giudice di appello, qualora intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, è obbligato in base all'art. 6 CEDU - così come interpretato dalla Corte di Strasburgo - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per escutere, nel contraddittorio con l'imputato, i testimoni a carico, quando la prova testimoniale abbia carattere di decisività ed il giudice di appello avverta la necessità di rivalutare l'attendibilità del teste” v., in tal senso, Sez. 5, n. 47106 del 25/09/2013, Donato, Rv. 257585 . Nel caso di specie, siffatti presupposti della rinnovazione del dibattimento non sussistevano, poiché i testi evocati dalla Corte d'Appello non assumono - alla stregua di quanto fondatamente evidenziato nella stessa sentenza impugnata - valenza di decisività ai fini della dichiarazione di colpevolezza, risultando fondata piuttosto, la condanna, su una rilettura organica e complessiva delle altre e convergenti emergenze probatorie, in buona parte rappresentate, peraltro, come detto, dalle stesse ammissioni dell'imputato. 7. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.