Lite con la moglie, esce di casa per sbollire la rabbia: condannato per evasione

Ritenuta irrilevante la motivazione dell’abbandono temporaneo delle mura domestiche. Non significativo neanche il fatto che l’uomo abbia preso la porta di casa per recarsi nel pezzo di campagna, di sua proprietà, in cui è collocata l’abitazione familiare.

Clima ‘caldissimo’ tra le mura domestiche. Così, l’uomo, all’ennesimo litigio con la moglie, prende la porta di casa, e si concede una ‘fuga’ nella campagna, di sua proprietà, in cui è collocata l’abitazione familiare. Legittima ‘valvola di sfogo’, senza dubbio, quella di una passeggiata all’aria aperta, se non fosse per un piccolo – non secondario – particolare l’uomo è agli arresti domiciliari. Conseguenziale, e non discutibile, la condanna per il reato di evasione Cass., sent. n. 4293/2015, Sesta Sezione Penale, depositata oggi . Fuga fatale Nessun dubbio, alla luce della ricostruzione della vicenda – come tratteggiata dai Carabinieri –, hanno mostrato i giudici di merito acclarato il prolungato, arbitrario allontanamento dall’abitazione , da parte dell’uomo, è inevitabile la constatazione del reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari . Ciò significa, per l’uomo, 4 mesi di reclusione . Tale decisione, però, viene ritenuta eccessivamente dura. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione, laddove l’uomo ricorda che la propria abitazione è situata all’interno di un esteso fondo agricolo in cui, sostiene, egli poteva recarsi senza eludere la misura cautelare domestica, anche al fine di evitare i continui e accesi litigi insorti con la moglie . Ricostruzione, quella proposta dall’uomo, teoricamente corretta, ma praticamente demolita dai giudici del ‘Palazzaccio’. Per questi ultimi, difatti, il detenuto ai ‘domiciliari’ non aveva alcun titolo per spostarsi dalla sua stretta dimora e recarsi nel fondo agricolo di sua proprietà , soprattutto perché la nozione di abitazione, e relative pertinenze, dalla quale è vietato allontanarsi al soggetto sottoposto alla cautela domestica, è rigorosamente limitata – anche in funzione della esperibilità dei necessari controlli sulla osservanza della misura – alla dimora in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata . Ciò comporta, ovviamente, la conferma della condanna dell’uomo per il reato di evasione .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 maggio 2014 – 29 gennaio 2015, n. 4293 Presidente Di Virginio – Relatore Paoloni Fatto e diritto 1. Con atto d'impugnazione personale l'imputato G.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo sezione di Carini del 6.4.2012, con cui è stato riconosciuto colpevole del reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari, avendo i carabinieri di Carini constatata il 2.7.2006 il suo prolungato arbitrario allontanamento dall'abitazione ove si trovava sottoposto alla misura intramurale, effettuando ripetuti accessi presso detta dimora nella stessa giornata del 2.7.2006. Condotta illecita per la quale al M. è stata inflitta la pena, concessegli le attenuanti generiche, di quattro mesi di reclusione. 2.1. Con il primo motivo si deduce erronea applicazione dell'art. 385 co. 3 c.p. e carenza di motivazione, poiché l'abitazione del M. è situata all'interno di un esteso fondo agricolo, nel quale egli ben poteva recarsi senza eludere la misura cautelare domestica anche al fine di evitare i continui e accesi litigi insorti con la moglie. Litigi della cui attualità ha dato contezza anche l'operante brigadiere A.M 2.2. Con il secondo motivo di impugnazione si denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, avendo la Corte di Appello inopinatamente respinto la richiesta della difesa di accertamento dell'effettivo stato dei luoghi e ignorato le allegazioni difensive, supportate da copiosa documentazione fotografica, a dimostrazione del fatto che l'abitazione dell'imputato si trova in una strada di Carini Via Sant'Anna di Villagrazia dove insistono altri sette domicili tutti contraddistinti dal numero civico 174 al pari dell'abitazione del ricorrente. Di qui la addotta non coincidenza dei luoghi descritti dai militari operanti con quelli in cui il M. trovavasi ristretto in regime di arresti domiciliari. 3. II ricorso di G.M. deve essere dichiarato inammissibile per genericità e manifesta infondatezza delle due delineate censure, per altro tra loro contrastanti la prima evoca la presenza dell'imputato nell'area agricola annessa al suo manufatto abitativo la seconda contesta l'esatta individuazione di detto manufatto . Entrambe le doglianze, che replicano i motivi di appello adeguatamente valutati dall'impugnata decisione di appello e afferenti ad evenienze già esaminate e disattese dal giudice di primo grado sono totalmente prive di pregio. Per la semplice ragione che esse hanno trovato ampia e giuridicamente corretta soluzione reiettiva nella motivazione dell'impugnata sentenza. In vero emerge dalla stessa che l'iniziale controllo presso l'abitazione del M. è avvenuto su segnalazione della moglie dell'imputato che ha riferito dell'allontanamento del coniuge a bordo del suo ciclomotore, secondo quanto testimoniato dal brigadiere M Questi, d'altro canto, come evidenziano sia la sentenza di appello che la richiamata sentenza di primo grado, ha precisato di conoscere bene l'esatta ubicazione della dimora del M. per avervi già eseguito in passato diversi altri controlli, altresì rimarcando di non avere riscontrato, il giorno dell'episodio criminoso integrante la regiudicanda, la consueta presenza del ciclomotore dell'imputato nelle adiacenze dell'abitazione. Gli esiti valutativi delle deduzioni censorie dei ricorrente divengono, quindi, agevolmente formulabili. Per un verso sulla base di quanto attestato dai carabinieri operanti intervenuti presso l'abitazione dell'imputato, dove hanno preso contatto con la moglie del M., non è prospettabile alcuna incertezza sulla corretta individuazione della dimora del ricorrente, rendendosi così inutili il sopralluogo e gli accertamenti spaziali invocati con il ricorso. Per altro verso non è comunque revocabile in dubbio che, a tutto concedere, l'imputato non aveva alcun titolo per spostarsi dalla sua stretta dimora e recarsi nel fondo agricolo di sua proprietà. In vero la nozione di abitazione e relative pertinenze, dalla quale è vietato allontanarsi al soggetto sottoposto alla cautela domestica, è rigorosamente limitata -anche in funzione della esperibilità dei necessari controlli sulla osservanza della misura alla dimora in cui il soggetto svolge la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili, fondi finitimi e spazi simili che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 4143 del 17.1.2007, Bompressi, rv. 236570 Sez. 6, n. 3212/08 del 18.12.2007, Perrone, rv. 238413 Sez. 3, n. 4369/14 del 12.12.2013, Radice, rv. 258838 . Merita aggiungere per completezza di analisi che il reato ascritto al M. non è attinto da causa estintiva prescrizionale, registrandosi nel giudizio di merito sospensioni del decorso del termine per complessivi sei mesi. In ogni caso la genetica inammissibilità del proposto ricorso per cassazione, impedendo l'instaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, precluderebbe ogni possibilità di rilevare l'estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla sentenza di secondo grado Sez. U, n. 32 del 22.11.2000, De Luca, rv. 217266 Sez. U, n. 23428 del 22.3.2005, Bracale, rv. 231164 . All'inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento dell'equa somma di euro 1.000 mille alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.