Fatture false, liquidatore “preso per il naso”, ma l’ingannatore non pensi di averla fatta franca

Chi annota delle fatture false in contabilità, traendo in inganno il rappresentante legale che sottoscrive poi una dichiarazione fraudolenta, può rispondere del reato in qualità di autore mediato.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3931, depositata il 28 gennaio 2015. Il caso. Il tribunale di Bologna condannava il socio e rappresentante legale di una s.n.c. per il reato di dichiarazione fraudolenta dell’IVA mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Allo stesso modo, veniva condannata anche la persona che aveva emesso tali fatture. La Corte d’appello di Bologna assolveva, invece, il socio, evidenziando che questo non aveva presentato la dichiarazione IVA essendo nel frattempo cessato dalla carica , che, invece, era stata sottoscritta dal liquidatore, 6 mesi dopo la uscita di scena” da parte dell’imputato. Secondo la Corte territoriale, non c’erano elementi per ravvisare il concorso di persone nel reato o l’errore determinato da altrui inganno. Il Procuratore Generale ricorreva in Cassazione, deducendo che l’imputato aveva annotato le fatture false in contabilità le fatture contestate e consegnato tutta la documentazione al liquidatore, non avvertendolo dell’annotazione di tali fatture. La conseguenza è che il liquidatore era stato indotto all’illecita indicazione di elementi passivi fittizi. Inoltre, l’imputato aveva un interesse diretto, essendo all’epoca socio della s.n.c., in un’ottica di minor esborso tributario e conseguente riparto maggiore di un eventuale attivo. Responsabilità indiretta”. La Corte di Cassazione premette che il delitto di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 d.lgs. n. 74/2000, non può essere attribuito a soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione. Tuttavia, proprio in caso di soggetti diversi da chi ha presentato la dichiarazione, la loro responsabilità può essere fondata sulla base della disciplina del concorso di persone ex art. 110 c.p. o di quella relativa all’autore mediato, ai sensi dell’art. 48 c.p Perciò, se il reato è stato commesso da una persona che è stata ingannata, a risponderne è chi lo ha determinato a commetterlo. Autore mediato. Nel caso di specie, il liquidatore, che aveva sottoscritto la dichiarazione, sarebbe stato ingannato dal precedente rappresentante legale che, in piena coscienza, aveva annotato le fatture false in contabilità. L’ex socio, quindi, può rispondere del reato in qualità di autore mediato, considerando anche il suo specifico interesse alla presentazione della dichiarazione fraudolenta. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e invita la Corte d’appello di Bologna ad una nuova valutazione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 dicembre 2014 – 28 gennaio 2015, n. 3931 Presidente Teresi – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18/7/2011, il Tribunale di Bologna dichiarava C.A. e P.E. colpevoli - rispettivamente - del delitto di cui all'art. 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e dell'art. 8, stesso decreto, e condannava ciascuno alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, oltre pene accessorie. In particolare, era ascritto al C. - nella qualità di socio amministratore e legale rappresentante dell' Hotel Castagnoli di Lucchi Linda & amp C. s.n.c. - di aver indicato nella dichiarazione i.v.a. 2008 elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti alla P. - quale titolare della ditta individuale Risan Color di P.E. - era invece ascritto di aver emesso le medesime fatture. Entrambi, con dolo specifico di evasione tributaria. 2. Con sentenza del 19/3/2014, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della precedente, assolveva il C. dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto e, quanto alla P. , riconosceva l'ipotesi attenuata di cui all'art. 8, comma 3, d.lgs. n. 74 del 2000, riducendo la pena ad un anno di reclusione. Quanto al primo, in particolare, la Corte evidenziava che lo stesso non aveva presentato la dichiarazione i.v.a. in oggetto, invero sottoscritta dal liquidatore F. , né erano emersi elementi tali da far ravvisare il concorso ex art. 110 cod. pen. o l'istituto di cui all'art. 48 cod. pen 3. Ricorre per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna, deducendo - con unico motivo - l'erronea applicazione di legge penale. In particolare, la Corte di merito non avrebbe considerato che l'imputato - che aveva pacificamente annotato in contabilità le fatture in oggetto, per certo relative ad operazioni inesistenti - aveva poi consegnato tutta la documentazione al liquidatore, non lo aveva avvertito dell'annotazione delle citate fatture e, in tal modo, lo aveva indotto all'illecita indicazione di elementi passivi fittizi cui all'art. 2 in oggetto per la quale, peraltro, il C. nutriva interesse diretto - in quanto socio della s.n.c. - nell'ottica del minor esborso tributario e, pertanto, di un più favorevole riparto di un eventuale attivo. 5. Con memoria del 26/11/2014, il difensore del C. chiede che il ricorso sia rigettato. In particolare, afferma che la sentenza della Corte di appello avrebbe correttamente inquadrato la fattispecie in esame, con adeguata motivazione, specie considerando che l'imputato era cessato dalla carica il 9/4/2008 e la dichiarazione di cui alla rubrica era stata presentata - dal liquidatore - nel successivo mese di ottobre a distanza, quindi, di ben sei mesi circa. Considerato in diritto 6. Il ricorso è fondato. L'art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000, stabilisce che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi . Trattasi di un reato istantaneo, che si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione medesima Sez. 2, n. 42111 del 17/9/2010, De Seta, Rv. 248499 Sez. 1, n. 25483 del 5/3/2009, Daniotti, Rv. 244155 , restando invece irrilevante quello di inserimento della fattura per operazioni inesistenti nella contabilità societaria Sez. 3, n. 626 del 21/11/2008, dep. 12/01/2009, Zipponi, Rv. 242343 ciò deriva dall'impostazione stessa che il legislatore del 2000 ha voluto attribuire alla materia, non in linea con la precedente disciplina di cui alla l. 7 agosto 1982, n. 516, ed in forza della quale l'illecito penale è legato esclusivamente alla citata presentazione e non più ad attività prodromiche e strumentali alla stessa, quali - per l'appunto - l'inserimento della fattura nella contabilità. Come ulteriormente confermato, poi, dalla previsione di cui all'art. 6, stesso decreto, per la quale il delitto al pari di quelli di cui agli articoli 3 e 4 non è punibile a titolo di tentativo. La ratio di queste norme, peraltro, risulta chiaramente indicata nella Relazione ministeriale al decreto in oggetto, che la individua nella necessità di evitare che il trasparente intento del legislatore delegante di bandire il modello del reato prodromico risulti concretamente vanificato dall'applicazione del generale prescritto dell'art. 56 c.p. si potrebbe sostenere, difatti, ad esempio, che le registrazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti o sottofatturazioni, scoperte nel periodo d'imposta, rappresentino atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere una successiva dichiarazione fraudolenta o infedele, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato”. Ne deriva quindi, con particolare riferimento all'oggetto del ricorso, che l'attribuibilità del reato in esame a soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione non può trovare diretto fondamento nella disciplina speciale di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, ma può radicarsi soltanto in quella generale sul concorso dell' extraneus ex art. 110 cod. pen., oppure in tema di autore mediato, di cui all'art. 48 cod. pen Tutto ciò premesso, osserva la Corte che il Collegio di appello non ha fatto buon governo del principio che precede, nella misura in cui ha escluso ogni responsabilità in capo al C. - nell'ottica di entrambe le norme codicistiche appena menzionate l'unica verificabile, attesa la pacifica presentazione della dichiarazione da parte del liquidatore - con motivazione non congrua e, perciò, inadeguata in particolare, e ribadito che l'imputato aveva annotato le fatture false in oggetto in quella stessa contabilità poi consegnata al F. , la sentenza afferma che tale circostanza non può essere valorizzata ai sensi né dell'art. 110 cod. pen. Laddove vi fosse una consapevolezza di commettere il reato in chi subentrò nella legale rappresentanza della società” , né dell'art. 48 cod. pen. Laddove detta consapevolezza, come nel caso concreto, non vi sia” . Orbene, rileva la Corte che entrambi i profili, ed in specie il secondo, non risultano però ulteriormente argomentati, emergendo quindi come mere petizioni di principio tanto più insufficienti allorquando si consideri che il C. era comunque socio della s.n.c. in liquidazione e, pertanto, come affermato dal Procuratore ricorrente, poteva vantare un chiaro interesse alla presentazione di una dichiarazione fiscale fraudolenta. 7. La sentenza deve pertanto essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, per un più approfondito esame del punto motivo sopra indicato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.