“Nessuna lesione” dice l’etichetta della bomboletta, ma la vittima dello spray irritante la pensa in altro modo

In tema di lesioni volontarie, per la configurabilità del dolo, non è necessario che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, ma è sufficiente il dolo eventuale insito nell’intenzione di infliggere all’altrui persona una violenza fisica.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 3856, depositata il 27 gennaio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Genova condannava un’imputata per il reato di lesione volontaria, aggravata dall’uso di arma impropria. Secondo l’accusa, la donna, dopo aver bussato alla porta della vittima, gli aveva spruzzato sul viso una sostanza irritante contenuta in una bomboletta spray, causandogli degli eritemi e dei disturbi alla vista. L’imputata ricorreva in Cassazione, sostenendo di non aver voluto causare alcuna lesione e deducendo di aver confidato nel fatto che sulla confezione della bomboletta era scritto che il prodotto non avrebbe causato lesioni. Dolo eventuale. Tuttavia, gli Ermellini ricordano alla ricorrente che, in tema di lesioni volontarie, per la configurabilità del dolo, non è necessario che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, ma è sufficiente il dolo eventuale insito nell’intenzione di infliggere all’altrui persona una violenza fisica. Nel caso di specie, si riscontrava una situazione del genere, dato che l’atto violento era stato compiuto con l’uso di una bomboletta contenente una sostanza irritante. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 settembre 2014 – 27 gennaio 2015, n. 3856 Presidente Bevere – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 23 aprile 2013 la Corte d'Appello di Genova, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto Rita Corredino responsabile del delitto di lesione volontaria, aggravata dall'uso di arma impropria, ai danni di E.C. ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 1.1. In fatto era accaduto che l'imputata, dopo aver bussato alla porta dell'abitazione del C., gli avesse spruzzato sul viso una sostanza irritante contenuta in una bomboletta spray, causandogli eritemi irritativi al volto e un'iperemia congiuntivale con cheratopatia puntata. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi. 2.1. Col primo motivo la ricorrente, invocando il disposto dell'art. 83 cod. pen., sostiene di non aver voluto causare una lesione alla persona offesa, avendo confidato nel fatto che sulla confezione della bomboletta era scritto che il prodotto non avrebbe causato lesioni, né temporanee, né permanenti. 2.2. Col secondo motivo contrasta il convincimento della Corte di merito che il C. avesse subito una limitazione funzionale al senso della vista, risultando da sue dichiarazioni che si era vestito da solo. Considerato in diritto 1. II ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. 1.1. La linea difensiva che informa il primo motivo s'infrange nella costante enunciazione giurisprudenziale secondo cui in tema di lesioni volontarie, ai fini della configurabilità del dolo, non è necessario che la volontà dell'agente sia diretta alla produzione di conseguenze lesive, ma è sufficiente, invece, il dolo eventuale insito nell'intenzione di infliggere all'altrui persona una violenza fisica così Sez. 6, n. 3103 del 13/10/1989 - dep., Lavera, Rv. 183555 v. anche le più recenti Sez. 1, n. 6773 del 07/06/1996, Poma, Rv. 205178 Sez. 5, n. 35075 del 21/04/2010 29/09/2010, B., Rv. 248394 . È di tutta evidenza come l'ipotesi sia riscontrabile in un caso, come quello di specie, in cui l'atto violento sia compiuto con l'uso di una bomboletta contenente una sostanza irritante. 1.2. La limitazione funzionale del senso della vista, sia pur transitoria, a carico della persona offesa è stata accertata in sede di merito non soltanto attraverso l'esame della documentazione medica acquisita, ma anche alla stregua delle nozioni di comune esperienza alle quali la Corte d'Appello ha fatto, legittimamente, riferimento. In proposito è appena il caso di osservare che l'assunto della ricorrente, secondo cui deporrebbe in senso contrario l'affermazione del C. di essere stato in grado di vestirsi da sé, non soltanto introduce una questione di fatto non consentita nel giudizio di cassazione, ma si dimostra logicamente insostenibile a fronte del dato notorio - in quanto anch'esso rientrante nella comune esperienza - secondo cui l'atto del vestirsi on è totalmente impedito dalla presenza di una menomazione funzionale della vista. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di cui all'art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.