Buona fede e affidamento incolpevole del terzo: a chi spetta la prova?

In termini di prova, le nuove norme in materia di misure di prevenzione non contengono previsioni espresse relativamente a chi spetti provare la buona fede e l’affidamento incolpevole del terzo creditore. Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, spetta al creditore la prova positiva delle condizioni per l’ammissione al passivo del suo credito.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2894, depositata il 22 gennaio 2015. Il caso. Il Tribunale di Catania rigettava l’istanza di ammissione allo stato passivo del credito di una banca garantito da ipoteca su un immobile, sottoposto a sequestro e poi a confisca, nell’ambito di un procedimento di prevenzione a carico di soggetto di caratura mafiosa”. Il Tribunale, invero, rigettava tale richiesta, ritenuto che la Banca non avesse dimostrato la propria buona fede. Infatti, sebbene il procedimento di prevenzione fosse iniziato ben quattro anni dopo l’erogazione del mutuo, la documentazione ad esso relativa non appariva regolare, mancando e la relazione di stima dell’immobile e quella relativa alle opere finanziate ed al loro collaudo. La normativa antimafia. Ricorreva l’interessato, lamentando, invece, illogicità della motivazione e violazione dell’art 52 d.lgs. n. 159/2011 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia , norma che disciplina e tutela i diritti dei terzi. Ebbene, deduce la banca ricorrente che, al momento dell’erogazione del mutuo e della stipulazione del contratto, nel 2000, non poteva certamente essere a conoscenza della mafiosità” dell’odierno prevenuto, a maggior ragione se si considera che lo stesso veniva raggiunto da un procedimento penale solo nel 2004. In tal senso, affermava la Banca, doveva escludersi che avesse agito ignorando colpevolmente la caratura mafiosa del debitore”. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso. Ed infatti, afferma che correttamente il Tribunale ha evidenziato delle irregolarità nella stipula del mutuo, irregolarità consistenti nel mancato corredo della documentazione necessaria relativa alla stima dell’immobile e alla realizzazione e collaudo delle opere sullo stesso fatte che, peraltro, non è mai nemmeno stata prodotta in giudizio dalla difesa, neppure in sede di legittimità, al fine di provare, di contro, la propria buona fede. Onere della prova. Ricorda la Corte come nella valutazione della buona fede si debba tenere conto, alla stregua di quanto, peraltro, normativamente stabilito dal comma 3 dell’art. 52 citato, delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni di essi . Tali parametri, fissati dal legislatore, aiutano il giudice nella valutazione probatoria. Essi sono da considerarsi obbligatori, ma non vincolanti né esclusivi. Infatti, il giudice può considerarne di nuovi e diversi e nello stesso tempo disattenderne alcuni, dando una logica motivazione sul punto. In punto di onere della prova, quindi, afferma la Corte non avendo il legislatore previsto nulla, deve tenersi conto di quanto invece stabilito da costante giurisprudenza, anche civile, che, assimilando, nel procedimento di ammissione del credito, la figura del creditore a quella dell’attore, fa gravare su di lui l’onere di provare la sua buona fede.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 – 22 gennaio 2015, n. 2894 Presidente Iannelli – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 10/7/2014, il Tribunale di Catania, Sezione misure di prevenzione, rigettava l'istanza della BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A. di ammissione allo stato passivo dei proprio credito pari a €.210.876,33 garantito da ipoteca su bene immobile sequestrato e poi confiscato ai sensi della legge antimafia nella procedura a carico di S. M. G 2. Il Tribunale riteneva che l'Istituto bancario non aveva dimostrato la propria buona fede, osservando che già dal 2.000 emergevano indizi obiettivi della pericolosità sociale dello S., essendo stato arrestato nell'ovile della famiglia S. un latitante già condannato all'ergastolo per la strage di Capaci, e che la documentazione relativa all'erogazione del mutuo non appariva regolare in quanto non era stata prodotta in giudizio - fra l'altro - la perizia di stima, a fronte della concessione di una rilevante somma di denaro e non era stata prodotta documentazione afferente alla realizzazione delle opere finanziate ed al loro collaudo. 3. Avverso tale decreto propone ricorso l'Istituto bancario, dolendosi di motivazione illogica e violazione di legge, in relazione agli artt. 52 e ss D.Lgs 159/2011. Al riguardo deduce il ricorrente che, al momento della concessione del mutuo, l'Istituto bancario non poteva essere a conoscenza della mafiosità del soggetto poiché soltanto nel 2004 era stato avviato un procedimento penale dal quale emergevano i contatti dello S. con altri pregiudicati appartenenti ad associazione mafiosa. Doveva, pertanto, escludersi che l'Istituto di credito agrario avesse agito conoscendo, ovvero ignorando colpevolemente, la caratura mafiosa dei debitore . Sotto il profilo oggettivo, eccepisce che la Banca aveva correttamente adottato la prassi dei settore e non aveva violato le norme nell'erogazione dei credito. In particolare contesta le argomentazioni del Tribunale in punto di assenza della prova dell'avvenuta esecuzione degli investimenti oggetto del finanziamento, osservando che tale prova emergeva dal contenuto dell'atto definitivo di finanziamento agrario di cui all'atto pubblico per notaio F. A. del 12 marzo 2002. Successivamente la difesa ricorrente ha depositato memoria insistendo nei motivi di ricorso. Considerato in diritto 1. La questione sollevata con il ricorso attiene al delicato profilo del conflitto fra il preminente interesse pubblico ad applicare delle sanzioni ablative sui beni del privato coinvolto in illeciti penali e la tutela dei diritti reali di garanzia, in relazione alle norme codicistiche sulla circolazione dei beni e sull'affidamento dei terzi in buona fede, estranei alla logica criminale. 2. In argomento sono intervenute le Sezioni Unite civili della Corte, con la sentenza n. 10532 del 7/5/2013, rilevando che il tema dei rapporti tra ipoteca e confisca penale, solo in epoca recente, aveva formato oggetto di esaustiva disciplina contenuta nel D.Lgs. 6 settembre 2011 n. 159 , mentre per le controversie anteriormente insorte, esistevano numerosi contrasti di giurisprudenza su molteplici aspetti della disciplina, ed in particolare, a chi spetti provare l'eventuale buona o mala fede del terzo creditore ipotecario vale a dire se spetti al terzo, che intenda conservare il diritto reale di garanzia, provare la propria estraneità al sodalizio mafioso, ovvero se spetti allo Stato, per opporsi all'esercizio di tale diritto, provare la mala fede dei terzo. 3. Hanno osservato al riguardo le Sezioni Unite con la sentenza citata che Quanto al procedimento di ammissione del credito - di natura tipicamente concorsuale -, il richiamo alle norme del D. Lgs. n. 159 del 2011 artt. 52 e 58 conferma l'intento legislativo di risolvere - almeno tendenzialmente - in modo complessivamente unitario le multiformi vicende normative relative alle misure di prevenzione patrimoniali. L'ammissione è subordinata, unitamente all'accertamento della sussistenza e dell'ammontare del credito, alla ricorrenza della condizione di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 52, comma 1, lett. b , vale a dire che il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità. Ed, ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi. Va rilevato che con tale ultima disposizione il legislatore fissa dei parametri di giudizio di cui il giudice deve tener conto al momento della valutazione probatoria. Tali parametri sono obbligatori, ma non sono ne' esclusivi, ne' vincolanti. In altri termini, il giudice deve obbligatoriamente tener conto di tali parametri, ma può considerare altri parametri non menzionati dal legislatore, e può anche motivatamente disattendere i parametri indicati dal legislatore. In sostanza, il legislatore impone al giudice un parziale protocollo logico nel ragionamento probatorio. Va poi aggiunto che le nuove norme, e quelle richiamate, non contengono previsioni espresse in termini di prova vale a dire, a chi spetti provare la buona fede e l'affidamento incolpevole. Deve ritenersi che l'elaborazione giurisprudenziale negli anni maturata, soprattutto nell'ambito penale, e la veste sostanziale di attore nel procedimento giurisdizionale di ammissione, che assume il creditore, convergano nell'addossare a quest'ultimo la prova positiva delle condizioni per l'ammissione al passivo del suo credito. Tale conclusione è conforme al canone ermeneutico dell'intenzione del legislatore art. 12 preleggi . Si suppone che il legislatore razionale - quando emana una legge - conosca il diritto vivente. Ora, se il legislatore nel disciplinare una materia non innova le soluzioni che costituiscono l'approdo interpretativo della giurisprudenza, vuoi dire che le recepisce cioè le fa normativamente proprie . Di conseguenza è indiscutibile che, nel giudizio per l'ammissione del credito garantito da ipoteca allo stato passivo, grava sul creditore l'onere della prova della sua buona fede. 4. Nel caso di specie il Tribunale ha escluso la buona fede dell'Istituto mutuante con una motivazione articolata che resiste alle censure dell'Istituto ricorrente. 5. Innanzitutto il Tribunale argomenta assumendo che fin dall'anno 2.000 esistevano consistenti indici di pericolosità sociale qualificata a carico di S. M. G. e cita, in proposito, i dati acquisiti nel procedimento di prevenzione avviato nel 2004. Orbene, è possibile che nel 2001 epoca di concessione del mutuo l'Istituto bancario mutuante non fosse a conoscenza di fatti emersi nel procedimento di prevenzione avviato nel 2004 e quindi, incolpevolemente ignorasse la caratura mafiosa dello S., ma la circostanza non acquista rilievo decisivo. Quello che conta, ai fini dell'assolvimento dell'onere dell'Istituto mutuante di provare la propria buona fede, è la regolarità della procedura di erogazione del mutuo. A questo proposito il Tribunale evidenzia evidenzia due falle nella documentazione prodotta in giudizio, di cui l'Istituto ricorrente non fornisce giustificazione. La prima è la mancata produzione in giudizio della perizia di stima del bene sul quale è stata iscritta l'ipoteca. Al riguardo la difesa ricorrente eccepisce che la perizia è stata fatta ma non la produce, neppure in sede di ricorso. La seconda è la documentazione relativa alla realizzazione ed al collaudo delle opere finanziate. In proposito la ricorrente eccepisce che la prova della regolare realizzazione delle opere e del collaudo si ricava dall'atto pubblico del notaio F. A. del 12/3/2002 in cui si fa cenno all'accertamento dell'avvenuta esecuzione degli investimenti e del collaudo, eseguito in data 11/2/2002. Senonchè tale argomento non prova nulla poichè nel contratto di mutuo realizzato con atto pubblico, il notaio rogante non può far altro che dare atto delle dichiarazioni delle parti. E' evidente che la prova che le opere finanziate sono state regolarmente eseguite e collaudate non può fondarsi sulle mere dichiarazioni delle parti contraenti. 6. In definitiva l'istituto bancario, che ha avanzato la richiesta di ammissione allo stato passivo del proprio credito, non ha assolto all'onere della prova della propria buona fede nell'erogazione del mutuo agrario a favore di soggetto mafioso. Di conseguenza il ricorso risulta inammissibile. 7. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 mille/00 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.