Il foglio di via obbligatorio è disapplicato dal giudice penale se riferito esclusivamente alla prostituzione

Tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della normativa vigente non rientrano quelle che esercitano la prostituzione, ipotesi realizzata nel caso concreto.

Foglio di via obbligatorio e prostituzione. Con la sentenza n. 302 depositata l’8 gennaio 2015, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in tema di inottemperanza al foglio di via obbligatorio, ribadendo principi ormai consolidati in materia con riferimento al fenomeno della prostituzione. Infatti, gli Ermellini affermano che in quei casi in cui il foglio di via obbligatorio - giusta la previsione di cui all’art. 2 legge n. 1423/1956 - sia motivato con esclusivo riferimento all’attività di prostituzione è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale chiamato a pronunziarsi sulla ricorrenza delle ipotesi di reato di cui all’art. 2, comma 2, legge sopra citata. In buona sostanza, come sostenuto dai giudici di Piazza Cavour, la norma in questione pone come presupposto dell’ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento pericoloso per la sicurezza pubblica, ma una condotta pericolosa che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui all’art. 1 della stessa legge, come nel caso di soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi di soggetti che per condotta e tenore di vita debbano ritenersi produttori di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono di soggetti dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. La prostituzione non rende pericolosi”. Tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della normativa vigente – chiariscono i giudici del Palazzaccio – non rientrano quelle che esercitano la prostituzione, ipotesi realizzata nel caso concreto. Parimenti, secondo l’orientamento pacifico in giurisprudenza, non è possibile considerare condotta di reato quella consistente in fatti di adescamento, stante la depenalizzazione operata dalla normativa vigente. Ritengono pertanto i giudici della Suprema Corte che l’esercizio della prostituzione possa fondare l’emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui all’art. 1, legge n. 1423/1956. Inoltre, l’esercizio della prostituzione non può dar luogo all’iscrizione di alcuna delle categorie indicate nella norma appena richiamata. Ciò che al contrario si è verificato nel provvedimento posto alla base della presunta condotta illecita dell’imputata. Il caso di specie. Infatti, nel caso di specie, la ricorrente era stata ritenuta responsabile penalmente del reato di inottemperanza del foglio di via obbligatorio emesso dal Questore. Il giudice di primo grado aveva ritenuto integrata la fattispecie in forza della constatazione obiettiva del rientro della donna nel comune e della legittimità del provvedimento amministrativo posto a monte. Inoltre, la pericolosità della donna era stata ritenuta sussistere in quanto era stata più volte controllata mentre esercitava nel territorio la prostituzione in atteggiamenti definiti adescatori e scandalosi, nonostante la presenza in loco di civili abitazioni. La Corte di Appello territoriale confermava quanto rilevato in precedenza, affermando che l’atto amministrativo posto a monte non poteva essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice penale in quanto non si limitava a parificare l’esercizio dell’attività di prostituzione ad una condotta in sé pericolosa per la pubblica sicurezza o tranquillità, ma evidenziava specifiche modalità del fatto tali da far presumere ragionevolmente la violazione di norme penali o comunque idonee a sostenere la valutazione di pericolosità, così come individuata dalle norme. Tuttavia, in sede di ricorso, la Cassazione rileva l’impossibilità di sussumere in quelle condizioni di pericolosità la condotta della donna ritenendo meramente ipotetica nel caso in esame la commissione di reati correlati all’attività esercitata e posti in essere dall’imputata, come poteva essere nel coinvolgimento di minori o nella realizzazione di atti osceni in luogo pubblico. Ciò che rende carente il giudizio di merito – chiosano i giudici della Corte di Cassazione – è che affronta il tema muovendosi sul terreno delle probabilità, valorizzando indicatori generici e non soggettivizzati, posto che dagli atti non era possibile scorgere alcuna condotta diversa dall’ordinaria attività di offerta delle prestazioni sessuali. Da qui l’accoglimento del ricorso con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto di reato non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 dicembre 2014 – 8 gennaio 2015, numero 302 Presidente Chieffi – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 25 febbraio 2013 la Corte d'Appello di Ancona confermava i contenuti della decisione di primo grado, emessa in data 3 aprile 2012 dal G.M. presso la Sezione Distaccata di S. Elpidio a Mare del Tribunale di Fermo, nei confronti di D.A.I. . Con tali conformi decisioni di merito è stata dunque affermata la penale responsabilità dell'imputata per il reato di cui all'art. 2 legge numero 1423 del 1956 - inottemperanza al foglio di via obbligatorio emesso dal Questore di Ascoli Piceno e notificatole il 23 luglio 2009 - per fatto avvenuto il 18 giugno 2010 in Porto Sant'Elpidio con condanna a giorni venti di arresto . Il giudice di primo grado ritiene integrata la fattispecie in virtù della constatazione obiettiva del rientro nel comune e della legittimità del provvedimento amministrativo posto a monte. La pericolosità della D. era stata ritenuta sussistente in virtù del fatto che costei era stata più volte controllata in località omissis , mentre esercitava la prostituzione in atteggiamenti definiti adescatori e scandalosi”, nonostante la presenza in loco di civili abitazioni. Tale motivazione dell'atto amministrativo viene ritenuta fondata in fatto e comunque insindacabile in punto di valenza del giudizio di pericolosità. La Corte d'Appello, nel valutare i contenuti a lei offerti, affermava, in sintesi, che l'atto amministrativo posto a monte non poteva essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice penale in quanto non si limitava a parificare l'esercizio dell'attività di prostituzione ad una condotta in sé pericolosa per la pubblica sicurezza o tranquillità, ma evidenziava specifiche modalità del fatto ora, forme e luogo dell'offerta sessuale tali da far ragionevolmente presumere la violazione di norme penali o comunque idonee a sostenere la valutazione di pericolosità di cui alle norme regolatrici. Si riteneva altresì adeguata l'entità della sanzione. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - D.A.I. , deducendo erronea applicazione delle norme regolatrici e vizio di motivazione. Nel ricorso si ribadisce che in realtà il provvedimento amministrativo violato era illegittimo e il giudice penale avrebbe dovuto disapplicarlo. Ciò perché l'esercizio della prostituzione non è di per sé un reato e dunque non può dar luogo alla emissione - da parte dell'autorità amministrativa - del foglio di via obbligatorio. Né risultano - in concreto - indicate condotte tali da integrare una o più ipotesi di reato commesse durante l'esercizio di detta attività dall'imputata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. Questa Corte, con orientamento cui il Collegio presta adesione da ultimo sent. numero 41738 del 16.9.2014, rv 260515 ha affermato che lì dove il provvedimento amministrativo di cui all'art. 2 legge numero 1423 del 1956 foglio di via obbligatorio sia motivato con esclusivo riferimento all'attività di prostituzione - esercitata dall'imputata - è doverosa la sua disapplicazione da parte del giudice penale chiamato a pronunziarsi sulla ricorrenza dell'ipotesi di reato di cui all'art. 2 co. 2 l. 1423/'56 v. anche Sez. I numero 4426 del 5.12.2013, rv 259015 . Ciò perché la stessa norma dell'art. 2 pone come presupposto dell'ordine di allontanamento non un qualsivoglia comportamento pericoloso per la sicurezza pubblica” nozione che aprirebbe il varco a forme incontrollabili di discrezionalità ma una condotta pericolosa che sia espressione delle riconosciute categorie criminologiche di cui al precedente articolo 1 numero 1 soggetti abitualmente dediti, sulla base di elementi di fatto, a traffici delittuosi/ numero 2 soggetti che per condotta e tenore di vita debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, produttori di proventi derivanti da attività delittuose con cui si sostengono, almeno in parte /numero 3 soggetti dediti, sulla base di elementi di fatto, alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica . Ora, come è stato già ritenuto nelle precedenti decisioni sul tema, è del tutto pacifico che l'esercizio della prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa già in base alla L. numero 327 del 1988 che ebbe ad eliminare il riferimento a coloro che svolgono abitualmente attività contrarie alla morale pubblica ed al buon costume . Né può ritenersi condotta di reato quella consistente in fatti di adescamento”, stante la depenalizzazione operata con art. 81 della legge numero 689 del 1981 della fattispecie originariamente prevista dall'art. 5 co. 1 legge numero 75 del 1958. Va poi rilevato come sia anche del tutto certo che, pur nell'ambito delle categorie contemplate dalla legge, il provvedimento amministrativo non possa essere motivato con indicazione generica della categoria di pericolosità ritenuta presente nel caso specifico, ma debba indicare gli elementi concreti in fatto, riferibili al soggetto interessato, sui quali il provvedimento è fondato. Non può ritenersi, dunque, che l'esercizio della prostituzione - in sé attività non costituente reato - possa fondare l'emissione di un provvedimento di allontanamento basato sulle ipotesi di cui al numero 1 dell'art. 1 traffici delittuosi o numero 2 vivere con provento di attività delittuose . Ma neanche tale attività può dar luogo alla iscrizione” del soggetto nella categoria di cui all'art. 1 numero 3 della legge in parola, evocato nel provvedimento posto a base della successiva condotta illecita in termini di inottemperanza . È del tutto evidente, sul punto, che l'offesa o la messa in pericolo dei beni indicati in detta norma l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica , per essere rilevante ai fini in parola, deve discendere da veri e propri reati ascrivibili al soggetto, e non da condotta in sé non costituente reato. Ritenere diversamente finirebbe invero, in modo del tutto inammissibile, per ripristinare surrettiziamente, a questi fini, la categoria già soppressa dalla L. numero 327 del 1988. Dal chiarissimo testo di legge è poi rilevabile, in modo del tutto piano, che eventuali reati, o comportamenti pericolosi, commessi da terze persone, sia pur occasionati dall'offerta prostitutoria, non possono ricadere ai sensi di legge sul soggetto che si prostituisce, a meno che l'offerta stessa non si concretizzi in condotte di reato. Ciò posto, meramente ipotetica risulta essere - nel caso in esame – la commissione di reati correlati” all'attività esercitata e posti in essere dall'imputata coinvolgimento di minori o realizzazione di atti osceni in luogo pubblico . Sul punto, la motivazione della decisione impugnata risulta del tutto carente e inadeguata proprio perché affronta il tema muovendosi sul terreno della probabilità”, e dunque valorizzando indicatori generici e non soggettivizzati, posto che dagli atti non era dato scorgere alcuna condotta diversa dalla ordinaria attività di offerta delle prestazioni sessuali. In ciò le critiche mosse nel ricorso risultano fondate, posto che l'illegittima emissione del provvedimento amministrativo - disapplicabile per violazione di legge e vizio di motivazione - rende insussistente la fattispecie di reato oggetto di contestazione. Da ciò deriva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto di reato non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.