La coltivazione di una pianta di cannabis è fatto offensivo? Dipende…

Per effetto delle modifiche normative intervenute sulla cornice edittale dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, del T.U. Stupefacenti, la pena deve essere rideterminata in virtù del principio di retroattività della legge più favorevole.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 52664, depositata il 18 dicembre 2014. Il caso. Un giovanissimo era stato scoperto con una pianta di cannabis indica coltivata sul balcone della propria abitazione. Analizzata la pianta oggetto di coltivazione domestica”, si accertava l’idoneità della stessa a produrre effetto drogante. In particolare, la pianta, alta 80 cm, aveva prodotto inflorescenze produttive di principio attivo in quantitativo sufficiente a ricavare 20 dosi medie. Condannato ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/90, vale a dire con l’attenuante speciale della c.d. lieve entità”, in Cassazione si censurava che i giudici non avrebbero considerato la destinazione esclusivamente personale della coltivazione e un sostanziale sistema sanzionatorio configgente con gli imperativi sovranazionali. Il nuovo rectius, vecchio assetto normativo. Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 la disciplina in materia di sostanze stupefacenti oggi attuale è quella già prevista dal d.P.R. n. 309/90 nella sua versione antecedente alle modifiche introdotte con i provvedimenti del biennio 2005-2006 d.l. 272/2005 conv. in l. 49/2006 . Tale novella aveva parificato i delitti riguardanti droghe c.d. pesanti e quelli aventi ad oggetto droghe c.d. leggere, che invece erano ben differenziate nella disciplina precedente. La coltivazione ha rilievo penale anche se per uso personale”. Sempre la Corte Costituzionale, nel 1995, con sentenza n. 360 aveva chiarito che mentre la detenzione, l’acquisto e l’importazione di stupefacenti per uso personale costituiscono condotte direttamente connesse all’uso personale, così che l’atteggiamento meno rigoroso del legislatore si spiega in modo ragionevole, nel caso di chi ponga in essere una condotta antecedente al consumo, qual è la coltivazione, ragionevole è contrastare il fenomeno in modo più rigoroso, cioè con la sanzione penale. Secondo il giudice delle leggi, quindi, rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all’approvvigionamento di stupefacenti e, quindi, di punire la coltivazione tout court . Inoltre, si era posto l’accento sul fatto che, nel caso della coltivazione, non è agevole apprezzare ex ante , con sufficiente grado di certezza, la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo della coltivazione in atto, da cui deriva, altresì, che non è possibile prevedere il quantitativo di sostanza estraibile dalle piante coltivate e, infine, valutare se la sostanza sia – verosimilmente – destinata ad uso personale. Qualsiasi coltivazione non autorizzata è penalmente rilevante. Le Sezioni Unite, nell’alveo di quanto espresso dalla Corte Costituzionale, hanno affermato che qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti costituisce condotta penalmente rilevante, anche quando, in concreto, la coltivazione sia realizzata al fine di farne un uso personale S.U. 28605/2008 . Le modifiche del 2006 non hanno inciso sulla coltivazione”. È bene segnalare che già le Sezioni Unite avevano precisato che la novella del 2005-2006 non aveva inciso sulla rilevanza della coltivazione, sicché, è evidente, che, nel caso di coltivazione, non rileva la recente pronuncia della Corte Costituzionale, in quanto conserva valore l’interpretazione già data dalla giurisprudenza in tema di coltivazione”. Quando la coltivazione non è offensiva? Muovendo sempre dall’insegnamento della sent. cost. n. 360/1995 – con cui si sono circoscritti i confini della rilevanza penale della coltivazione – si ricava che i principi espressi non sono operativi nel caso in cui la condotta difetti di offensività, nel senso che sia assolutamente inidonea a mettere a repentaglio il bene giuridico tutelato. Inoffensiva è, ad esempio, la coltivazione di una sola piantina da cui si estragga un principio attivo in misura talmente esigua” a determinare un apprezzabile stato stupefacente. Se così è in concreto, è la fattispecie astratta che non si configura, perché la norma incriminatrice implica la necessità che vi sia una connotazione di offensività almeno di grado minimo, sicché, in difetto, si è di fronte ad un caso di reato impossibile art. 49 c.p. . Tuttavia, l’offensività non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione delle piante. La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che nel caso in cui gli arbusti siano in grado di rendere, al termine del ciclo produttivo, quantità significative di stupefacente, non può essere esclusa l’offensività della coltivazione, atteso che si tratta di attività che si riferisce all’intero ciclo evolutivo dell’organismo biologico. Le circostanze del caso concreto devono essere valorizzate. La giurisprudenza, infatti, ha ritenuto irrilevante la coltivazione di una singola piantina, contenente esiguo principio attivo, posta in un piccolo vaso sul terrazzo, ai sensi dell’art. 49 comma 2 c.p. che prevede la non punibilità del reato impossibile e che permette di dichiarare non punibili quelle condotte solo apparentemente aderenti al tipo”, ma in realtà deficitarie di lesività. Offensività in concreto! Se manca l’offensività in concreto deve escludersi la punibilità delle condotte che, pur integrando la nozione tipica, si rivelino, in concreto, inoffensive, come nel caso in cui la levità può essere dimostrata da un irrilevante aumento, per effetto della coltivazione di cui trattasi, della disponibilità sul mercato” e, quindi, la non prospettabilità di alcuna diffusione ulteriore della sostanza occasionata dalla coltivazione oggetto di accertamento. Anche se la pianta è una, bisogna verificare la quantità di principio attivo. Nel caso valutato dai giudici di merito, la condotta era offensiva atteso che, pur trattandosi di una sola pianta, la sostanza estratta dalle inflorescenze avrebbe permesso di ricavare plurime dosi droganti, sicché la condotta, oltre ad essere conforme al tipo normativo, era anche concretamente offensiva. Insomma, il dato relativo all’apprezzabile quantitativo di principio attivo estratto da una singola pianta era stato valorizzato dai giudici di merito che erano, correttamente, pervenuti alla dichiarazione di responsabilità dell’imputato. Sul punto, pertanto, la Corte ha dichiarato di rigettare il ricorso, con conseguente dichiarazione di irrevocabilità della sentenza sul punto. La pena però è illegittima. Le modifiche normative sopravvenute hanno però mutato il quadro sanzionatorio. Il caso di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del T.U. Stupefacenti, oggi, è punito con una cornice sanzionatorio che prevede la reclusione da 6 a 4 anni e la multa da euro 1.032 ad euro 10.329. Tale forbice edittale, per vero, corrisponde a quella prevista per le c.d. droghe leggere nella versione antecedente alla novella del 2005-2006 oggi travolta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale . Inoltre, la cornice edittale oggi novellata applicabile anche in ragione del principio della successione di leggi più favorevoli, di cui all’art. 2, comma 4 c.p. che prevede che la legge più favorevole al reo sia applicata anche retroattivamente. Nel caso di specie, pertanto, la pena irrogata non è conferente alla fascia del trattamento sanzionatorio sopravvenuto a seguito delle modifiche normative, per cui la sentenza è stata annullata con rinvio per nuovo esame limitato al trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 novembre – 18 dicembre 2014, numero 52664 Presidente D’Isa – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 2.05.2013, confermava la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Lecco il 7.05.2012, nei confronti di G.M. , chiamato a rispondere della violazione dell'art. 73, comma V, d.P.R. numero 309/1990, in riferimento alla coltivazione, sul balcone della abitazione, di una pianta di cannabis indica. Soffermandosi sulla idoneità della singola pianta, oggetto della coltivazione domestica di cui si tratta, a produrre in concreto l'effetto lesivo sanzionato dalla norma incriminatrice, la Corte territoriale osservava che dalle effettuate analisi chimiche, relative alle infiorescenze prodotte dalla pianta di cui si tratta dell'altezza di cm. 80 , era emersa la presenza di tetraidrocannabinolo nella misura del 2%, pari a gr. 0,176, quantitativo dal quale erano ricavabili 20 dosi medie. 2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione G.M. , a mezzo del difensore avvocato Carlo Alberto Zaina. L'esponente denuncia la violazione di legge, laddove i giudici non hanno riconosciuto l'operatività della causa di giustificazione della destinazione all'uso esclusivamente personale, rispetto alla coltivazione di cui si tratta. La parte eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 73 comma 1, 1-bis e 5, d.P.R. numero 309/990, in relazione agli artt. 24, 27 e 111 della Costituzione. Il ricorrente osserva che la specificità della fattispecie in esame, caratterizzata dalla coltivazione di una singola pianta di cannabis indica, imponeva l'obbligo di soffermarsi sul reale carattere finalistico della condotta. Richiama, quindi, il principio di offensività, come delineato dal Giudice delle Leggi e rileva che le caratteristiche della coltivazione domestica, oggetto di esame, portano ad escludere che la condotta posta in essere dal prevenuto risulti offensiva del bene giuridico tutelato dall'art. 73, d.P.R. numero 309/1990. Il deducente sottolinea che i giudici di merito hanno disatteso i principi di diritto sanciti dalla stessa Corte regolatrice, in riferimento alla coltivazione di una singola pianta di cannabis. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dei principi convenzionali in tema di consumo personale delle sostanze stupefacenti. La parte si sofferma sulle condotte richiamate dall'art. 73 comma 1, d.P.R. numero 309/1990, ponendole in relazione alla destinazione all'uso personale di cui al successivo comma I-bis, dell'art. 73 citato e rileva che le norme interne devono essere interpretate in conformità a quelle sovranazionali. Con il terzo motivo l'esponente rileva che la Corte territoriale non ha risposto alle doglianze che erano state dedotte con l'atto di appello, in riferimento agli esiti della espletata perizia tossicologica, rispetto al numero di dosi droganti ricavabili. Osserva che occorreva riferirsi al parametro della quantità massima detenibile e non a quello della dose media giornaliera. Al quarto motivo sono affidate note esplicative della questione di legittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1-bis e 5, d.P.R. numero 309/1990, sopra richiamata. La parte si sofferma sul disposto dell'art. 2, comma 1, della decisione 2004/757/GAI e quindi sul rapporto tra norma comunitaria e norma interna. Con il quinto motivo l'esponente rileva che l'art. 73, comma 1 e 1-bis, d.P.R. numero 309/1990, come modificato dall'art. 4-bis, d.l. numero 272/2005, convertito dalla legge numero 49/2006, delinea un sistema sanzionatorio configgente con quello sovranazionale. Il ricorrente considera che le norme richiamate sono già oggetto di questione di legittimità rimessa avanti alla Corte Costituzionale integra i denunciati profili di illegittimità, soffermandosi sulla richiamata decisione 2004/757/GAI e chiede che il presente giudizio venga sospeso, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale. Con il sesto motivo vengono articolate note esplicative della questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e seguenti, d.l. numero 272/2005. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ulteriore ricorso per cassazione l'imputato, a ministero dell'avvocato Sergio Colombo. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge penale, osservando che i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta contestata integri la nozione di coltivazione di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. numero 309/1990. La parte richiama la motivazione espressa dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 360 del 1995 ciò posto, rileva che, nel caso che occupa, l'imputato ha posto a dimora una singola pianta, condotta da ritenersi estranea dalla nozione di coltivazione. Con il secondo motivo l'esponente deduce la violazione di legge, laddove non è stata ritenuta la non offensività della condotta contestata, ai sensi dell'art. 49, comma 2, cod. penumero . L'esponente osserva che la Corte di Appello di Milano ha disatteso l'insegnamento espresso dalla Corte regolatrice, sul punto di interesse. E rileva che le dosi ricavabili dalla sostanza estratta dalla pianta erano in realtà sette e non venti, come erroneamente ritenuto dei giudici di merito. Considerato in diritto 1. I ricorsi in esame impongono le considerazioni che seguono. 2. Deve, in primo luogo, considerarsi che le norme oggetto delle eccezioni di illegittimità costituzionale dedotte e richiamate dall'esponente nel ricorso a ministero dell'avvocato Zaina, con il primo, quarto, quinto e sesto motivo, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime della Corte Costituzionale con la sentenza del 12 febbraio 2014 numero 32. Invero, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che oggi viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. numero 309/1990, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, numero 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, numero 49. Come noto, la Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza del 12.02.2014 numero 32 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, numero 272 Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, numero 309 , convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, numero 49. Le disposizioni colpite dalla declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche nell'ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette pesanti e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette leggere , fattispecie differenziate invece dalla precedente disciplina, di cui al d.P.R. numero 309/1990. Sfugge, pertanto, l'attualità dell'interesse rispetto ai motivi di censura ora richiamati. E medesime considerazioni devono svolgersi, in parte qua, in riferimento alle doglianze, affidate al secondo motivo del ricorso dell'avvocato Zaina, relative alla dedotta incompatibilità delle norme interne richiamate dall'esponente, rispetto alla decisione quadro 2004/757/GAI, trattandosi di norme ormai espunte dall'ordinamento. 2.1 Sul punto, per completezza argomentativa, è poi appena il caso di considerare che la Decisione Quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'Unione Europea, del 25 ottobre 2004, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, richiamata dal ricorrente, all'art. 2 stabilisce che sono escluse dal campo di applicazione della medesima decisione quadro le condotte descritte al paragrafo 1, tra le quali la coltivazione, se tenute dai loro autori soltanto ai fini del loro consumo personale quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali e che la medesima Decisione, nella quarta considerazione, seconda parte, espressamente prevede che l'esclusione di talune condotte relative al consumo personale dal campo di applicazione della presente decisione quadro non rappresenta un orientamento del Consiglio sul modo in cui gli Stati membri dovrebbero trattare questi altri casi nella loro legislazione nazionale . I cenni che precedono inducono pertanto a rilevare che la Decisione quadro ora richiamata rimette alla legislazione dello stato membro la definizione di uso personale ed il relativo eventuale ambito sanzionatorio. Del resto, la Corte Costituzionale, con sentenza numero 28 del 1993 - nel rilevare che anche la depenalizzazione dell'illecito costituito dalla detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope per uso personale, oggetto della iniziativa referendaria nel caso esaminata, non si poneva in contrasto né con la Convenzione di New York del 1961, né con la Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 5 novembre 1990, numero 328 - ha evidenziato che gli strumenti convenzionali lasciano espressamente alla scelta discrezionale degli Stati contraenti la possibilità di prevedere, per i casi in esame, anche misure diverse dalla sanzione penale e che deve salvaguardarsi il principio secondo il quale la determinazione dei reati e dei mezzi giuridici di difesa, è di esclusiva competenza del diritto interno di ciascuna Parte . 2.2 Tanto chiarito, è dato, allora, richiamare le valutazioni espresse dal diritto vivente, sul tema di interesse. Giova prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 360 del 1995, con la quale venne rigettata la questione di legittimità dell'art. 75 del d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, nella parte in cui non prevede che anche la coltivazione di piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, venga punita soltanto con sanzioni amministrative, se finalizzata all'uso personale della sostanza e dell'art. 73 del medesimo d.P.R. numero 309 del 1990 cit., nella parte in cui prevede la illiceità penale della condotta di coltivazione di piante indicate dall'art. 26 del d.P.R. numero 309 del 1990, da cui si estraggono sostanze stupefacenti o psicotrope univocamente destinate all'uso personale, indipendentemente dalla percentuale di principio attivo contenuta nel prodotto della coltivazione stessa. E preme evidenziare che la valutazione espressa dal giudice delle leggi riguarda il Testo unico in materia di sostanze stupefacenti, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dalla novella del 2006, versione oggi nuovamente in vigore, a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale numero 32 del 2014. E bene, la Corte Costituzionale, nella sentenza ora richiamata, ebbe a rilevare che la detenzione, l'acquisto e l'importazione di sostanze stupefacenti per uso personale rappresentano condotte collegate immediatamente e direttamente all'uso stesso, e ciò rende non irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha già operato una scelta che, ancorché valutata sempre in termini di illiceità, l'ordinamento non intende contrastare nella più rigida forma della sanzione penale, venendo in rilievo, in un contesto emergenziale di contingente aggravamento delle conseguenze delle tossicodipendenze, il rischio alla salute dell'assuntore ove ogni condotta immediatamente antecedente al consumo fosse assoggettata a sanzione penale e che, di converso, nel caso della coltivazione manca questo nesso di immediatezza con l'uso personale e ciò giustifica un possibile atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale . La Corte Costituzionale, nella sentenza in commento, ebbe quindi a considerare che la stessa nozione di destinazione ad uso personale si presta ad essere apprezzata in termini diversi nelle situazioni qui comparate. Ciò in quanto nel caso della coltivazione non è apprezzabile ex ante con sufficiente grado di certezza la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo, più o meno ampio, della coltivazione in atto, sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili. Si osserva, poi, che nell'alveo dell'orientamento interpretativo ora richiamato, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno affermato che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando il prodotto sia destinato ad uso personale. Per quanto concerne la fattispecie della coltivazione idonea all'estrazione di sostanza stupefacente, cioè, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno chiarito che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti e ciò anche quando la stessa sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale Cass. Sez. U, sentenza numero 28605, del 24.04.2008, dep. 10.07.2008, Rv. 239920 . Si evidenzia che le Sezioni Unite, nella motivazione della citata sentenza, hanno sottolineato che le modifiche introdotte con l'intervento normativo del 2006 non avevano altrimenti inciso sulla rilevanza penale della coltivazione e che il legislatore, nel caso, aveva inteso attribuire a tale condotta comunque e sempre una rilevanza penale, indipendentemente dalle caratteristiche della coltivazione e dal quantitativo di principio attivo ricavabile dalle delle piante. Pertanto, deve rilevarsi, ai fini di interesse, che la richiamata sentenza della Corte Costituzionale numero 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disciplina introdotta nel 2006, non sortisce ricadute sul percorso interpretativo ora richiamato. Conclusivamente sul punto, si rileva che le considerazioni ora svolte inducono a considerare che la cornice normativa vigente in Italia, come interpretata dal diritto vivente, che pure esclude la non punibilità per uso personale della coltivazione, non risulta in contrasto con la richiamata disciplina convenzionale. 3. Tanto premesso, si vengono ad esaminare le questioni relative alla inoffensività della concreta condotta, oggetto di addebito, pure contenute nel primo e nel secondo motivo del ricorso a ministero dell'avvocato Zaina ed altresì sviluppate nel primo motivo del ricorso sottoscritto dall'avvocato Colombo. Il ragionamento non può che muovere dall'insegnamento espresso dalla Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza numero 360 del 1995, ove la Corte ebbe a chiarire che i principi di diritto sopra evidenziati, afferenti al perimetro della rilevanza penale della coltivazione, non operano nel caso in cui difetti l'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata. Si tratta delle ipotesi, richiamate nella citata sentenza, in cui la condotta risulti assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, quale la coltivazione in atto, senza previsione di ulteriori sviluppi, di un'unica pianta da cui possa estrarsi il principio attivo della sostanza stupefacente in misura talmente esigua da essere insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente. In tali casi, secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima implica la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente e, in difetto di ciò, la fattispecie viene a rifluire nella figura del reato impossibile ex art. 49 cod. penumero . Non sfugge che la risposta offerta dalla giurisprudenza di legittimità, sul tema di interesse, si è attestata pure se posizioni che prescindono dall'ottenimento di sostanza drogante. Si è, infatti, osservato che, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l'assenza di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all'esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare è attività che si riferisce all'intero ciclo evolutivo dell'organismo biologico Cass. Sez. 6, Sentenza numero 6753 del 09/01/2014, dep. 12/02/2014, Rv. 258998 e si è pure rilevato che la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a norma degli artt. 26 e 28 del d.P.R. numero 309 del 1990, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, posto che l'attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga Cass. Sez. 6, Sentenza numero 51497 del 04/12/2013, dep. 19/12/2013, Rv. 258503 . Occorre, peraltro, considerare che si registrano decisioni ove la Corte regolatrice ha affermato l'irrilevanza penale della coltivazione di una singola piantina di cannabis Cass. Sez. 4, Sentenza numero 25674 del 17/02/2011, dep. 28/06/2011, Rv. 250721 . Nella sentenza ora richiamata viene valorizzato il disposto di cui all'art. 49 comma 2, cod. pen, in riferimento alle specifiche circostanze di fatto, come accertate nel caso di specie. Nello specifico, la Corte regolatrice ha rilevato che la coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana, contenente principio attivo pari a mg. 16, posta in un piccolo vaso sul terrazzo di casa, costituisce condotta inoffensiva ex art. 49 cod. penumero , che non integra il reato di cui all'art. 73 d.P.R. numero 309 del 1990. Segnatamente, nella sentenza ora citata viene evidenziato che la necessaria offensività del reato si desume dalla disposizione di cui all'art. 49, comma 2, cod. penumero , che prevede la non punibilità del reato impossibile e che tale norma ha una sua propria autonomia, se interpretata nel senso di ritenere non punibili quelle condotte solo apparentemente consumate e quindi aderenti al tipo, ma in realtà totalmente deficitarie di lesività. Più recentemente, la Corte regolatrice ha ribadito che la punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti deve essere esclusa, allorché il giudice di merito ne abbia accertato l'inoffensività in concreto . Nella sentenza, pur rilevandosi che l'azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all'accertamento della destinazione della sostanza, bastando che sia realizzato il pericolo presunto insito nella coltivazione, si osserva che nella individuazione del compimento della azione tipica, nel singolo caso, deve essere applicata la regola di necessaria sussistenza della offensività in concreto , in base alla quale deve escludersi la punibilità di quelle condotte, che pur integrando la nozione tipica, siano in concreto inoffensive e che tale levità può essere dimostrata da un irrilevante aumento di disponibilità di droga, per effetto della coltivazione, e dalla non prospettabilità di alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Sulla scorta di tali principi, la Suprema Corte ha quindi annullato senza rinvio la sentenza di condanna, per insussistenza del fatto, osservando che il quantitativo di THC ricavabile dalle due piantine in oggetto era inferiore alla quantità massima detenibile e rendeva inconsistente la coltivazione, così da doversi escludere, in concreto, la lesione del bene giuridicamente tutelato Cass. Sez. 6, Sentenza numero 33835 del 08/04/2014, dep. 30/07/2014, Rv. 260170 . Si osserva che l'orientamento da ultimo richiamato, espresso dalla Corte regolatrice, risulta del tutto coerente, rispetto all'indicazione offerta dalla giurisprudenza costituzionale, sopra richiamata, in riferimento alla imprescindibile necessità che, in sede di merito, si proceda alla verifica della concreta offensività della condotta, che pure risulti astrattamente conforme al normotipo. E preme rilevare che alla Corte regolatrice, in tale ambito ricostruttivo, non spetta la selezione di alcun parametro di ordine quantitativo, rispetto alla valutazione di concreta offensività della condotta, trattandosi di questione rimessa al giudice di merito, in sede di accertamento del fatto di reato. 4. In tali termini si introduce l'esame delle questioni affidate al terzo motivo del ricorso proposto dall'avvocato Zaina ed al secondo motivo del ricorso a ministero dell'avvocato Colombo, che involgono il tema dell'accertamento della condotta tipica, come effettuato in sede di merito. Al riguardo, giova considerare che la Corte di Appello ha evidenziato che, nel caso di specie, pure a fronte della coltivazione di una singola pianta, non era revocabile in dubbio la concerta offensività della condotta, atteso che risultava accertato che la sostanza estratta dalle infiorescenze aveva certamente un effetto stupefacente e che dalla stessa erano ricavabili plurime dosi droganti. Ed invero, secondo le conformi indicazioni, in punto di fatto, espresse dai giudici di primo e secondo grado, nel caso di specie risulta accertato che la pianta coltivata dall'imputato aveva raggiunto l'altezza di 80 centimetri che la pianta aveva prodotto infiorescenze, del peso netto complessivo di gr. 8,80, contenenti tetraidrocannabinolo nella misura del 2%, pari a gr. 0,176 e che da tale quantitativo erano complessivamente ricavabili 20 dosi medie, ad effetto drogante. E la Corte di Appello, in particolare, nel confermare l'affermazione di responsabilità penale del prevenuto, ha valorizzato il dato - inequivocamente accertato - relativo alla efficacia drogante derivante dall'apprezzabile quantitativo di principio attivo, estratto dalla singola pianta in sequestro. Il riferito apprezzamento del compendio probatorio risulta conferentemente ancorato alle richiamate circostanze di fatto ed immune da aporie di ordine logico, di talché sfugge al sindacato di legittimità. Non è infatti consentito, alla Corte regolatrice, sostituirsi al giudice di merito all'apprezzamento del materiale probatorio, né dare corso ad una rilettura delle prove, secondo una diversa - ed alternativa - prospettiva motivazionale. Come si vede, l'applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, in ordine alla necessaria verifica della offensività in concreto della condotta, conduce al rigetto del ricorso. Invero, nel caso in esame, secondo l'insindacabile apprezzamento dei giudici di merito, la coltivazione della pianta di cannabis indica, oggetto di sequestro, oltre ad essere in astratto conforme alla condotta tipica richiamata dalla norma incriminatrice, risulta, in concreto, lesiva del bene protetto, per la capacità drogante della sostanza da essa ricavata. E la Corte territoriale, specificamente sollecitata dal contenuto delle doglianze dedotte dalle difese in sede di gravame, ha rilevato che non si profilava l'ipotesi del reato impossibile e che la coltivazione, come realizzata dall'imputato, aveva certamente determinato una effettiva lesione del bene giuridicamente protetto, in ragione della disponibilità di droga, ottenuta dalla coltivazione medesima. Conclusivamente sul punto, deve rilevarsi che l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato ai sensi dell'art. 73, comma V, d.P.R. numero 309/1990, in riferimento alla condotta accertata in corso di giudizio, tenuto conto delle specifiche caratteristiche della pianta oggetto di coltivazione, risulta immune dalle dedotte censure. 5. Tanto ritenuto, osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare l'illegittimità della pena inflitta al prevenuto, in riferimento al reato per cui si procede, tenuto conto delle sopravvenute modifiche normative. Nel caso di specie, è stata riconosciuta l'ipotesi di cui all'art. 73, comma V, d.P.R. numero 309/1990. Si tratta di fattispecie interessata dalle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 numero 146, convertito con modificazioni dall'art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, numero 10. Ai fini di interesse, si rileva, che a seguito della legge numero 10/2014, per l'ipotesi di cui all'art. 73, comma V, cit., la pena prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa, per tutti i tipi di sostanze stupefacenti, senza distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. La materia di interesse è stata peraltro oggetto di un ulteriore intervento correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, numero 79, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, numero 36, recante Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, numero 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale pubblicata in G.U. numero 115 del 20.05.2014 . Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell'art. 73, comma 5, d.P.R. numero 309/1990, è il seguente 5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 10.329 . La cornice sanzionatoria, per la fattispecie di cui al V comma, dell'art. 73, cit., pertanto, risulta compresa - sia per le droghe leggere che per le droghe pesanti - tra il minimo di sei mesi ed il massimo di quattro anni di reclusione, oltre la multa. È poi appena il caso di considerare che la richiamata cornice sanzionatoria corrispondente a quella già prevista per le droghe leggere dall'art. 73, comma V, d.P.R. numero 309/1990, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 30 dicembre 2005, numero 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, numero 49, disciplina che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12 febbraio 2014 numero 32, viene pure ad oggi in rilievo. Come si vede, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del presente giudizio, pure in base al principio di retroattività della legge più favorevole, ex art. 2, comma 4, cod. penumero , prevede limiti di pena sensibilmente inferiori, rispetto a quelli ai quali hanno fatto riferimento le parti nel concludere l'accordo di poi ratificato dal giudice il testo oggetto della declaratoria di incostituzionalità, per effetto della richiamata sentenza della Corte Costituzionale stabiliva, infatti, per l'ipotesi di cui al V comma dell'art. 73, cit., indistintamente il più grave trattamento sanzionatorio, compreso da uno a sei anni di reclusione, oltre la multa. Orbene, nel caso di specie, al prevenuto, per la coltivazione di cui si tratta è stata inflitta la pena di mesi otto di reclusione, oltre la multa, muovendo dalla pena base di un anno di reclusione oltre la multa. La pena irrogata, per effetto delle sopravvenute modifiche normative, si colloca in una diversa fascia del trattamento sanzionatorio relativo al reato in addebito conseguentemente, deve rilevarsi che la valutazione effettuata dai giudici di merito, nell'apprezzare la congruità della pena, non risulta altrimenti conferente, stante l'intervenuta modifica sostanziale del quadro sanzionatorio di riferimento. Si impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, per nuovo esame, limitatamente al trattamento sanzionatorio. Il ricorso nel resto deve essere rigettato. Ai sensi dell'art. 624 cod. proc. penumero si dichiara l'irrevocabilità della sentenza impugnata, con riguardo alla affermazione di penale responsabilità del prevenuto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l'art. 624 cod. proc. penumero dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato.