Triplice omicidio: fase rescindente e fase rescissoria del giudizio

Il giudice di seconda istanza, che riforma la sentenza sulla base di dichiarazioni rese nel corso del giudizio di primo grado, delle quali è necessario vagliare l’attendibilità, ha l’obbligo di disporre la riassunzione della prova.

Con la complessa pronuncia n. 52208, depositata il 16 dicembre 2014, la Corte di legittimità enuclea principi di diritto squisitamente processualpenalistici, alla luce dell’evoluzione normativa europea attuata in materia, tanto per mezzo dell’emanazione di atti legislativi, quanto con la produzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, soprattutto, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In effetti, con l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Strasburgo, ratificata con l. n. 848/1955, vige ormai per lo Stato italiano l’obbligo di conformarsi ai principi espressi dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nell’ambito delle controversie di cui l’Italia è parte processuale. D’altronde, a seguito della novella intervenuta sull’articolo 117 Cost., è principio di rango costituzionale che il diritto europeo assurga, oramai, al ruolo di fonte primaria del diritto italiano. Tanto premesso, si rileva che con il decisum in commento la Suprema Corte, in fase rescindente, invita gli organi giudicanti a conformarsi non solo alle norme scritte europee – contenute in Trattati, Direttive o Regolamenti efficaci in Italia - bensì di attenersi anche ai dettati giurisprudenziali della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dotati di evidente efficacia autoritativa. Assolti per triplice omicidio la necessità di riassumere le testimonianze in appello ai fini della condanna. Nel caso de quo la Corte d’Assise d’Appello di Milano, già in fase rescissoria, riformava totalmente la sentenza pronunciata dalla locale Corte d’Assise, pronunciando la condanna all’ergastolo per due imputati, accusati di triplice omicidio continuato ed aggravato e per la detenzione e porto abusivo dell’arma utilizzata per il delitto. Nella specie, all’interno di una villetta furono rinvenuti i cadaveri di due coniugi e del loro figlio, con la gola squarciata ed i proiettili in testa. A seguito delle indagini di p.g., venivano sottoposte a procedimento penale per tali fatti omicidiari tre soggetti che furono visti, da alcuni testimoni, entrare nella villetta delle vittime il giorno dell’assassinio. Uno dei tre imputati, giudicato separatamente con rito abbreviato, asseriva di aver assistito personalmente al massacro della famiglia da parte degli altri due imputati, senza prenderne parte. Ebbene, la Corte d’Assise d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado con cui i due imputati venivano assolti ex articolo 530, comma 2, c.p.p., condannava gli stessi, mediante una rivalutazione delle dichiarazioni testimoniali rese in dibattimento da alcuni testi, nonché di un diverso inquadramento, seppur frazionato, delle affermazioni del coimputato giudicato in separato giudizio. La difesa, avverso tale provvedimento, propone ricorso per cassazione, mediante la presentazione di plurimi ed articolati motivi di doglianza. articolo 6 CEDU la necessità della riassunzione della prova in secondo grado. In prima battuta, la difesa lamenta il vizio di motivazione in relazione alla violazione degli artt. 603,624, 627 c.p.p. e dell’articolo 6 CEDU, in quanto il Giudice rescissorio, male interpretando il dictum del giudice rescindente, ha condannato gli imputati solo sulla base dei racconti del coimputato resi in primo grado, senza procedere alla riassunzione della prova sebbene la difesa ne avesse espressamente formulato richiesta. Il giudice del rinvio è libero nel convincimento, ma la motivazione deve fondarsi su punti diversi rispetto a quelli rescissi. Con ulteriore motivo di ricorso, gli appellanti contestano alla Corte d’Assise d’Appello, già giudice del rinvio, di aver emesso la sentenza di condanna sulla base di elementi già posti a fondamento della sentenza annullata, privi tra l’altro di quello spessore ed univocità necessari per un giudizio di colpevolezza nei confronti degli imputati. I Giudici di Piazza Cavour accolgono il ricorso degli imputati, avallando i due motivi di doglianza testé riportati, ritenuti fondati. Osserva, infatti, la Suprema Corte che, in ragione degli obblighi gravanti sull’Italia quale membro dell’Unione Europea, è necessario che tutte le articolazioni dello Stato, tra cui l’Autorità Giudiziaria, debbano applicare e far rispettare i principi normativi derivanti dal diritto europeo. Nella specie, sui motivi di censura addotti dagli imputati, la Corte E.D.U. si è già espressa con il provvedimento del 5 luglio 2011 nell’ambito della causa Dan c. Romania. In effetto, secondo i Giudici europei, l’organo giudicante – anche in sede d’appello – che è chiamato a decidere sulla colpevolezza dell’imputato dovrebbe, quando possibile, udire personalmente i testimoni e vagliarne l’attendibilità non solo su base cartolare. Tale assunto è contenuto nell’articolo 6 CEDU, in ossequio all’equità processuale, ed è già stato oggetto di numerose sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Dunque, la Suprema Corte, rilevando che, effettivamente, la Corte d’Assise territoriale aveva fondato la sua decisione su prove dichiarative acquisite in dibattimento e rivalutate in senso diametralmente opposto, ha ritenuto di censurare il provvedimento impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano. Infine, gli Ermellini, con la sentenza in parola, evidenziano che il giudice del rinvio resta libero nel suo convincimento, sebbene sia vincolato all’obbligo di dare una motivazione adeguata e non fondata sugli stessi argomenti che hanno condotto alla censura dell’originario provvedimento. Tuttavia – viene precisato - posto che la Corte di Cassazione risolve sempre una questione di diritto, benché l’organo giudicante del rinvio resti libero nell’adottare il suo prudente apprezzamento, è comunque necessario che tale convincimento sia poi motivato secondo lo schema enunciato nella sentenza di annullamento. Dunque, nel caso di specie, secondo la Corte di legittimità è dato incontrovertibile la presenza del coimputato nell’azione delittuosa. Allora, ne deriva che l’unico fatto liberamente giudicabile dalla Corte d’Assise d’Appello resterà la colpevolezza o l’innocenza degli imputati, da decidere sulla base delle dichiarazioni del predetto impumone”, di cui si rende necessaria la riassunzione, e di un’attenta rivalutazione alla luce di altri riscontri probatori. Il diritto comunitario apre la via alla riforma del giudizio di secondo grado. Come noto, il rito penale, così come quello civile, è oggetto, già da circa due anni, di profonde riforme strutturali. L’impellente necessità di cambiamento deriva, in modo particolare, dall’obbligatorio adeguamento della disciplina processualpenalistica italiana ai principi riconosciuti in materia nell’ambito europeo. A breve, come già anticipato dal Governo, lo sforzo evolutivo interesserà il campo dell’impugnazione, proprio sulla scorta delle continue spinte della Corte E.D.U. e dei capisaldi sul giusto processo contenuti nella CEDU. Pertanto, così come correttamente deciso dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, l’Organo legislativo italiano dovrà riformare il c.p.p. nella prospettiva di un regime di impugnazioni meno cartolare, dunque più concreto, certamente più garantista nei confronti dell’imputato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 settembre – 16 dicembre 2014, n. 52208 Presidente Bevere – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte di Assise di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte, con sentenza del 25/6/2013, in riforma totale di quella emessa dalla locale Corte di assise, ha condannato M.V. e M.S. alla pena dell'ergastolo per omicidio continuato ed aggravato e per la detenzione e il porto in luogo pubblico dell'arma una pistola calibro 22 usata per il delitto. 1.1. La vicenda è quella dell'assassinio dei coniugi C.A. e T.M. , nonché del figlio C.L. , trovati legati - all'interno della loro abitazione - nella mattinata del omissis , con proiettili in testa e la gola squarciata. C.A. era ancora in vita, ma sarebbe morto subito dopo senza essere stato in grado di fornire alcuna indicazione intorno agli autori del massacro. 1.2. Le indagini presero subito dure direzioni una, volta ad identificare tre uomini che, quella mattina, di buon ora, erano stati visti scendere da una Fiat Grande Punto di colore grigio metallizzato ed entrare nella villetta dei C. , la cui porta venne aperta dallo stesso C.A. l'altra, volta ad identificare l'usuario di una utenza telefonica cellulare intestata ad un fantomatico cittadino inglese tale R.D. , che la sera precedente, mentre si trovava nella zona abitata da C.A. , aveva cercato di contattare quest'ultimo presso la sede della sua società la Immobiliare Nuvolera , il cui numero si era fatto fornire da un informatore telefonico. Il tentativo fu poi ripetuto più volte mentre l'utenza si trovava nei pressi della società suddetta. 1.3. Due dei tre soggetti viaggianti a bordo della Fiat Grande Punto furono identificati - secondo l'accusa - in M.V. e S. , che erano giunti a nella mattinata del omissis con la BMW di M.M. , fratello di V. , ed avevano subito noleggiato, a , una Fiat Grande Punto simile a quella utilizzata dagli assassini per recarsi a casa dei C. nella serata del omissis e nella mattinata successiva la vettura fu noleggiata a alle ore 13,35 del omissis e riconsegnata alle ore 11,21 del giorno successivo . L'usuario dell'utenza intestata a R.D. fu identificato, attraverso l'esame del traffico telefonico, in G.D. , il quale, fermato, sostenne di aver assistito personalmente - senza prendere parte allo stesso - al massacro perpetrato da M.V. e S. con la complicità di un quarto uomo di origine pugliese, a suo dire presente al fatto. 1.4. All'esito della disamina degli elementi fattuali emersi dai due filoni di indagine, la Corte di Assise di appello, andando di contrario avviso rispetto a quella di primo grado, ha ravvisato la responsabilità di M.V. e S. G. ha scelto il rito abbreviato attraverso, sostanzialmente 1 una puntuale disamina degli elementi di giudizio provenienti dalle indagini di polizia, relative agli spostamenti di M.V. e S. nelle giornate del omissis e la valorizzazione delle tracce lasciate dagli autori del massacro 2 attraverso una diversa valutazione delle dichiarazioni di G.D. , ritenuto - per effetto di una valutazione frazionata delle sua dichiarazioni - attendibile nella parte in cui afferma di aver partecipato alla ricerca di C.A. il omissis , effettuata insieme ai coimputati, e nella parte in cui sostiene di essersi introdotto a casa dei C. il omissis , insieme a M.V. e S. 3 attraverso una rivisitazione delle dichiarazioni di cinque testi che, abitando nei pressi dei C. , notarono il movimento delle persone intorno alla casa di costoro nel giorno del plurimo omicidio e nella serata precedente 4 attraverso una rivalutazione delle dichiarazioni di Ga.Sa. , a cui M.V. e S. si erano accompagnati il omissis e il omissis nel corso di precedenti viaggi a , alla ricerca di un socio di C.A. tale T. e, secondo la sentenza, dello stesso C. . Sulla base di tanto, e premesso che la Corte di Cassazione non aveva censurato il giudizio anzi, ne aveva rilevato l'intrinseca logicità formulato dal giudice della sentenza annullata sulla presenza, data per certa, di G. nel luogo e nell'ora del delitto, la Corte territoriale ha ritenuto che i riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di quest'ultimo e gli autonomi elementi indiziari desunti dalle dichiarazioni dei testi e dagli accertamenti di polizia fossero sufficienti ad affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che M.V. e S. avevano partecipato, quali protagonisti, al triplice omicidio. 2. Contro la sentenza suddetta hanno proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse degli imputati, gli avvocati Filippo Dinacci, Giovanni Palermo e Giuseppe Pesce, avvalendosi di quattro motivi. 2.1. Col primo censurano la sentenza per violazione degli artt. 546, comma 1, lett. e , 603, 624, 627, comma 2 cod. proc. pen. e 6 della CEDU perché - malamente interpretando il decisum del giudice rescindente - hanno condannato gli imputati sulle base delle dichiarazioni di un coimputato - collaborante il G. senza procedere alla riassunzione della prova, nonostante l'espressa richiesta formulata dalle difese nel giudizio di rinvio vedi pag. 67 di una memoria depositata l'11-6-2013 . Contestano la motivazione addotta dal giudicante - secondo cui alla rinnovazione si oppongono il decisum della Suprema Corte e la natura del giudizio di rinvio -, in quanto, sostengono, l'art. 627, comma 2, pone un automatismo nella rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, subordinato alla sola richiesta delle parti, e nessun giudicato si è formato sulla attendibilità del G. inoltre, perché la parte di sentenza oggetto di annullamento si pone in termini di connessione essenziale con la questione attinente alla credibilità della fonte di accusa. Sostengono, poi, che la rivalutazione complessiva della credibilità del G. è imposta, nella specie, dal mutamento della situazione di fatto tenuta presente - al momento della formulazione del giudizio di sua competenza - dal giudice della sentenza annullata mutazione conseguente alla sottrazione - intervenuta nel frattempo - di G. al programma di protezione. 2.2. Col secondo denunciano violazione degli artt. 192, commi 2 e 3, 546, comma 1, lett. e e 627, comma 3, cod. proc. pen. per essere stata pronunciata condanna degli imputati sulla base di dichiarazioni accusatorie del coimputato G. in assenza di riscontri individualizzanti rafforzati ed in violazione del dictum della Suprema Corte, oltre che una illogicità della motivazione sul punto. I difensori passano in rassegna le deposizioni dei testi che, dalle abitazioni prossime a quella delle vittime, osservarono un terzetto di persone aggirarsi intorno alla villa C. nella serata del 27 agosto e fare ingresso nella villa nella mattinata del 28 agosto, per rilevare che esse sono prive di quel grado di univocità e spessore necessario per funzionare come riscontro rafforzato alle dichiarazioni di G. anzi, sono tali da mettere in discussione la stessa credibilità del dichiarante, che nessun teste ha dato presente sul luogo del delitto le sue caratteristiche fisiche non sono state descritte da nessuno di coloro che osservarono l'arrivo degli assassini nella villetta dei C. . Lamentano che, nonostante ciò, quelle dichiarazioni siano state utilizzate come prova a carico degli imputati e che non sia stato rilevato l'insanabile contrasto delle stesse con l'unica fonte di accusa G. , appunto fonte che, per tale motivo, piuttosto che rafforzarsi ne esce sgretolata . Denunciano come illogico e irrazionale l'opzione interpretativa seguita dal giudice del rinvio, che ha ritenuto il ricordo dei testi oculari più nitido e netto con riferimento alle fattezze e alle caratteristiche proprie dei soggetti rassomiglianti ai M. ed invece assolutamente vago con riferimento a G. . Lamentano, infine, l'utilizzo, in chiave accusatoria, delle dichiarazioni dei testi suddetti da parte del giudice del rinvio senza procedere - previamente - alla loro riassunzione. 2.3. Col terzo formulano un analogo motivo di censura in relazione agli ulteriori elementi indiziari valorizzati dalla Corte di merito. Lamentano, innanzitutto, che la sentenza di condanna si fondi sugli stessi elementi posti a base della pronuncia annullata, senza che siano stati acquisiti elementi ulteriori, idonei a rafforzare il tessuto motivazionale della sentenza già censurata. Contestano, poi, che gli elementi esposti abbiano l'univocità e lo spessore dimostrativo necessari alla tenuta del giudizio di colpevolezza. In relazione a quelli già oggetto di disamina da parte del giudice della sentenza annullata, lamentano che quegli indizi siano stati valorizzati contro gli imputati ignorando le argomentate riflessioni della difesa, che, in relazione ad ognuno di essi, aveva addotto una logica, specifica e più che ragionevole spiegazione alternativa inoltre, che si tratta di indizi inidonei a funzionare da riscontro rinforzato alle dichiarazioni di G. , anche perché valutati in maniera illogica e contraddittoria. In tale ottica i difensori contestano il movente iniziale della visita al C. individuato dai giudicanti nella ricerca di denaro, senza intenzionalità omicida , in quanto inidoneo a spiegare perché M.V. abbia noleggiato un'autovettura fatto che lo rendeva visibile a Milano per l'uso della carta di credito e perché abbia usato gli accorgimenti esposti in sentenza al fine di inabissarsi denunciano un travisamento della prova in relazione alla deposizione di Ga. , che non avrebbe parlato di una richiesta affannosa di denaro da parte dei M. , ma della richiesta di una società che fosse in grado di effettuare fatturazioni per grossi importi, tali da giustificare l'ottenimento di un finanziamento per 4-5 milioni , e che non ricordava di aver usato le espressioni riportate in sentenza questi si fregano i soldi e se ne vanno in vacanza . Poi, aggiungono i difensori, Ga. ha dichiarato che l'espressione era riferita a T. . In ogni caso lamentano che i giudici di secondo grado abbiano effettuato un diverso apprezzamento della deposizione di Ga. senza procedere alla riassunzione della prova. Quanto ai nuovi elementi utilizzati nel provvedimento impugnato, la difesa, riportando le valutazioni effettuate dal giudice di primo grado e da quello della sentenza annullata, sottolinea che già costoro avevano considerato le fascette stringi-tubo rinvenute in un trattore stradale in uso a M.S. e simili a quelle usate per legare le vittime , inidonee a funzionare da prova contro i M. , anche in considerazione del fatto che su una di esse venne rinvenuta una traccia di DNA risultata non appartenente a nessuno degli imputati. Quanto alle tracce di bario e piombo rinvenute sulla BMW di M.M. e sulla Grande Punto noleggiata a , evidenziano che la perizia collegiale disposta dal giudicante aveva concluso per l'impossibilità di riferire alle munizioni adoperate nel crimine cal. 22 LR Winchester le particene repertate dagli investigatori e che anche il consulente del Pubblico Ministero aveva concluso nel senso di non potersi sostenere che le particene esaminate provenissero da una stessa fonte di sparo . Solo travisando la prova il giudice della sentenza impugnata ha potuto affermare, quindi, che vi fosse piena compatibilità ed anzi elevata probabilità di provenienza dalla stessa fonte delle particene di piombo e bario rinvenute sulla Grande Punto e sulla BMW con quelle rinvenute in casa C. in conseguenza dell'esplosione dei colpi di una calibro 22 . 2.4. Col quarto ed ultimo motivo i difensori deducono, ancora una volta, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova della responsabilità di M.S. . Lamentano che la sentenza annullata, disattendendo una specifica indicazione del giudice rescindente, non abbia spiegato quando e come l'imputato sia giunto, nella mattinata del omissis , a casa C. , posto che non conosceva l'ubicazione dell'abitazione, essendo rimasto estraneo - a dire di G. - alla perlustrazione del giorno precedente. Circostanze tanto più importante - affermano i difensori - in quanto vi è insanabile contraddizione tra quanto dichiarato dal collaboratore secondo cui M.S. giunse sul posto in un secondo momento, con la BMW di proprietà del cugino e quanto riferito da alcuni dei testi oculari i quali, con approssimazione del 60%, lo hanno collocato nel terzetto dei visitatori mattutini . Apoditticamente, pertanto, e senza sviluppare alcun discorso congruente, i giudici hanno collocato S. sulla scena del delitto, per la sola ragione che si era accompagnato, in quel viaggio di fine agosto, al cugino V. . Contestano, poi, che abbia valore indiziante la presentazione dell'imputato al commercialista F. come garante di V. per l'ottenimento di finanziamenti e sottolineano la convergenza di versioni tra G. e M.S. in ordine al distacco, avvenuto nella tarda mattinata del omissis , di quest'ultimo dal cugino e dal dichiarante-collaboratore. 3. In data 18/9/014 i difensori degli imputati hanno depositato in cancelleria memoria difensiva, con cui hanno ribadito i motivi di ricorso. Considerato in diritto La sentenza impugnata va annullata perché sono fondate - per quanto si dirà - le doglianze in rito contenute nel primo e nel terzo motivo di ricorso. 1. È noto che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è venuta evolvendo, a partire dal provvedimento del 5 luglio 2011 Dan c. Romania , nel senso che i giudici - anche in sede di appello - chiamati a decidere della colpevolezza o dell'innocenza di un imputato, dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità . Questo perché la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate . La Corte E.D.U. - nell'affermare il principio suddetto - ha anche precisato che si tratta di necessità non assoluta, in quanto vi sono casi in cui è impossibile udire un testimone personalmente durante il processo perché, per esempio, egli o ella è deceduto/a, o per proteggere il diritto del testimone di non auto-accusarsi . Del resto, la convinzione che l'art. 6 della Convenzione che ha dato la stura alla giurisprudenza in commento richieda, di norma, l'esame diretto della prova da parte del giudice d'appello, allorché il giudicante sia chiamato, sulla base del diritto interno, a conoscere di un affare in fatto e in diritto e a esaminare, nel suo complesso, la questione della colpevolezza o dell'innocenza di un accusato, era già stata espressa, ripetutamente, in precedenti sentenze vedi Popovici c. Moldavia, nn. 289/04 e 41194/04, p. 68, 27 novembre 2007 Constantinescu e. Romania, n. 28871/95, p. 55, CEDU 2000-VIII Marcos Barrios c. Spagna, n. 17122/07, p. 32, 21 settembre 2010 ed è stata ribadita nel provvedimento Hanu v. Romania del 4 giugno 2013, dove è stato anche precisato riprendendo, anche in questo caso, un orientamento già contenuto, in nuce, nei casi Dànilà c. Romania, n. 53897/00, p. 41, 8 marzo 2007, e Gàitanaru v. Romania, n. 26082/05, pp. 17-18, 26 giugno 2012 che i tribunali interni hanno l'obbligo di attivarsi nel senso dianzi precisato pure in assenza di una espressa richiesta di parte p. 38 . La sentenza suddetta ha anche illustrato, con precisione maggiore che in passato, le ragioni per cui collega l'equità del processo alla possibilità che l'imputato abbia di confrontarsi con i testimoni alla presenza di un giudice chiamato, alla fine, a decidere la causa in quanto, argomenta, l'osservazione diretta da parte del giudice dell'atteggiamento e della credibilità di un determinato testimone può essere determinante per l'imputato p. 40 . Dal che si arguisce che le ragioni ultime della giurisprudenza in commento stanno nella possibilità, per il giudice, di meglio valutare la credibilità di un testimone attraverso l'ascolto diretto delle sue dichiarazioni e l'osservazione dell'atteggiamento tenuto nel corso dell'audizione. Lettura, questa, già fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, allorché è stato affermato che il giudice di appello per riformare in peius una sentenza assolutoria è obbligato - in base all'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale solo quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile Cass., n. 16566 del 26/2/2013 . 2. L'adesione dell'Italia alla convenzione di Strasburgo, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, comporta l'obbligo di conformarsi alle decisioni definitive della Corte nelle controversie nelle quali il nostro Paese è parte art. 46, p. 1 . A ciò va aggiunto, su un piano più generale, che il rispetto della Convenzione - nella interpretazione che, delle sue norme, da la Corte E.D.U. - rappresenta un obbligo derivante dal principio di leale collaborazione con gli organismi internazionali e dal rispetto delle norme di recepimento degli accordi liberamente sottoscritti dall'Italia. Pertanto, anche le decisioni emesse nei confronti di altri Paesi - palesando la lettura che, secondo l'organismo abilitato, va fatta della Convenzione - rappresentano un importante strumento di guida per i soggetti chiamati a dare attuazione alla Convenzione stessa. Destinatari dell'obbligo di ottemperanza alle decisioni della Corte E.D.U. è lo Stato in tutte le sue articolazioni, nel rispetto delle competenze stabilite dall'ordinamento interno quindi, non soltanto il potere legislativo e quello esecutivo, ma anche quello giudiziario. Spetta pertanto all'Autorità Giudiziaria il compito, in primo luogo, di dare della normativa interna una interpretazione conforme alla Convenzione come letta dalla Corte E.D.U. e, quando ciò non sia possibile - perché si frappongono inderogabili norme precettive - sollevare nella sede opportuna questione di legittimità costituzionale. Nel caso di specie questa necessità non si pone, poiché della normativa procedurale può essere data una interpretazione non contrastante con la Convenzione. L'art. 603 cod. proc. pen. prevede, infatti, la facoltà del giudice di disporre, su richiesta di parte, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, quando ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, e di disporla d'ufficio quando la ritiene assolutamente necessaria . La necessità deriva, in questo caso, dall'obbligo di conformazione alla Convenzione e dalla necessità di evitare l'insorgere di una responsabilità internazionale dello Stato. L'obbligo per il giudice d'appello di riassumere le testimonianze, allorché si tratti di giudicare della loro attendibilità, è, perciò, un principio ormai acquisito nella giurisprudenza di questa Corte Vedi Cass., sez. 2, n. 40254 del 12/6/14 Sez. 2, n. 32619 del 24/4/2014 Sez. 3, 26/1/2014, n. 28530 Cass., sez. 3, 7/1/2014, n. 5907 Sez. 5, n. 47106 del 2013 Rv. 257585 Sez. 2, n. 45971 del 2013 Rv. 257502 Sez. 6, n. 16566 del 2013 Rv. 254623 . 3. L'applicazione di tali principi al caso di specie comporta che la sentenza impugnata non può superare il vaglio di legittimità. M.V. e S. sono stati condannati dalla Corte d'Assise d'appello di Milano perché G.D. li accusa apertamente perché vari testimoni hanno rilevato somiglianze tra gli imputati e le persone che, la sera del 27 agosto 2006, effettuarono una perlustrazione nei dintorni di casa C. e tornarono sul posto nella mattinata successiva perché Ga.Sa. ha riferito che i due imputati effettuarono precedenti perlustrazioni, alla ricerca di C. e di T. , il OMISSIS e il OMISSIS e ha illustrato le finalità della ricerca e l'animosità di M.V. verso i due urgente bisogno di denaro, a pag. 52 rancore per somme che riteneva essergli state sottratte da più persone, da individuare in T. e C. l'intento di cogliere i ricercati di sorpresa, a pag. 54 . Non si fa menzione degli altri indizi, pure passati in rassegna nella parte narrativa, perché non rilevanti nel discorso qui sviluppato. Rilievo determinante hanno avuto, quindi, nella decisione della Corte territoriale, le dichiarazioni di G.D. - apprezzate, secondo le indicazioni del giudice rescindente, in maniera frazionata -, e, in misura meno significativa, quelle di Ga. , dopo che il primo era stato ritenuto completamente inattendibile dal giudice di primo grado e il secondo poco affidabile, per le contraddizioni in cui era caduto e per l'imprecisione del suo racconto, forse originate dalla preoccupazione di allontanare da sé i sospetti di compartecipazione nel delitto. Risulta evidente, quindi, che il convincimento del giudice di secondo grado si è formato, in maniera determinante, su prove dichiarative acquisite nel corso del primo giudizio, senza che il giudice che ha pronunciato la condanna abbia potuto apprezzare direttamente l'atteggiamento del teste e del coimputato - separatamente giudicato con sentenza emessa a conclusione di rito abbreviato - e senza essere stato, per questo, in condizione di valutarne compiutamente la credibilità. L'esigenza del diretto apprezzamento di queste fonti conoscitive emerge dalle stesse valutazioni della corte di merito, laddove a rileva i caratteri enigmatici di Ga. , quale imprenditore coinvolto con i suoi corregionali e con il C. in affari equivoci pag. 54 e quale teste, valutato impreciso e reticente pagg. 53-55 b riconosce che questione centrale del processo è costituita dalla credibilità di G. pag, 30 , di cui è stata accertata in via definitiva la presenza nel luogo e nel tempo del triplice omicidio pagg. 33-34 e di cui è stata dichiarata l'assoluzione per non avere commesso il fatto, ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen., assecondando la richiesta del P.M. in udienza . Per costoro si pone effettivamente, quindi, un problema di compatibilità della decisione con l'art. 6 della Convenzione. 4. Alla stessa conclusione non può pervenirsi, invece, per gli altri testi indicati nel secondo motivo di ricorso L. , Co. , c. , To. , Me. per i quali non si è mai posto un problema di credibilità . Le dichiarazioni dei cinque che, abitando nei pressi delle vittime, notarono alcune persone avvicinarsi o uscire omissis 28 agosto 2006,X mentre nessuna indicazione utile sarebbe venuta da quelle dichiarazioni in ordine alla presenza di G. sul luogo del delitto vedi pag. 166 della sentenza di primo grado . Giudizio non stravolto dal giudice di secondo grado, per il quale le dichiarazioni dei cinque appaiono caratterizzate da margini di incertezza che coinvolgono lo stesso G. pag. 43 . Vero è, poi, che la sentenza d'appello ha dato presente G. sulla scena del delitto, ma ciò ha fatto non per le dichiarazioni dei testi suddetti, bensì - sulla falsariga del giudizio rescindente - per l'ammissione proveniente dallo stesso G. e per il fatto che quest'ultimo non aveva alcun interesse ad ammettere un fatto così compromettente per la presenza del cellulare di G. nella zona in cui si trovava la casa dei C. nella serata antecedente al delitto per l'approfondita conoscenza che G. ha mostrato di avere della casa delle vittime e delle loro abitudini e per il possesso, da parte sua, di informazioni esclusive , dettagliatamente esposte nella sentenza impugnata. La rivalutazione che la Corte d'Assise d'appello ha fatto delle dichiarazioni suddette non è dipesa, quindi, da un diverso apprezzamento della affidabilità dei testimoni, ma dalla lettura di quelle dichiarazioni unitamente agli ulteriori elementi probatori e indiziari aliunde acquisiti al processo, che ne hanno svelato l'intima portata. Trattasi di operazione perfettamente compatibile con i dettami della Convenzione sopra evocata, giacché, per quanto si è detto, l'osservazione diretta del testimone è funzionale, nel giudizio della Corte E.D.U. alla valutazione della intrinseca attendibilità della fonte dichiarativa e non del valore dimostrativo degli elementi di conoscenza di cui questa è portatore, se non nella misura in cui il valore di quegli elementi dipenda dall'affidabilità della fonte. 5. L'annullamento della sentenza impugnata, che va pronunciata, non esime dall'esame di altre doglianze in rito contenute nel primo e nel terzo motivo di ricorso, per la loro idoneità a determinare, se fondate, l'annullamento della sentenza per motivi ulteriori rispetto a quelli passati in rassegna e in maniera più estesa. Il riferimento è all'automatismo nella rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, subordinato alla sola richiesta di parte, che, secondo il ricorrente, caratterizzerebbe il giudizio di rinvio, nonché all'impossibilità, per il giudice d'appello, di pronunciare condanna dell'imputato - dopo l'assoluzione in primo grado - senza l'acquisizione di elementi di prova nuovi e ulteriori rispetto a quelli esaminati dal primo giudice. Nessuna delle due proposizioni è fondata. 5.1. L'art. 627, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge . Da ciò si arguisce l'improponibilità della tesi difensiva, giacché, essendo i poteri del giudice del rinvio identici a quelli della sentenza annullata nel caso di specie, il giudice d'appello , salvo le limitazioni derivanti dalla sentenza di annullamento, è giocoforza ricordare che il giudice d'appello ha un pieno potere di valutazione della rilevanza della prova e della necessità di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria, salvi i casi di prova sopraggiunta. La definizione dei poteri del giudice d'appello, quali stabiliti dall'art. 603 cod. proc. pen. - richiamato implicitamente dall'art. 627 cod. proc. pen. - porta, quindi, già da sola ad escludere un generalizzato obbligo di rinnovazione dell'istruttoria, subordinato alla sola richiesta di parte. Lo stesso articolo aggiunge che, se è annullata una sentenza di appello e le parti ne fanno richiesta, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per l'assunzione delle prove rilevanti per la decisione . L'obbligo di assunzione riguarda, quindi, ancora una volta, le prove rilevanti per la decisione vale a dire, quelle che, sottoposte ad un giudizio di rilevanza, appaiono necessarie alla risoluzione della re iudicanda. E tale giudizio non può che essere rimesso, secondo ogni logica e secondo ogni indicazione dell'ordinamento, al giudice che procede. Deve ribadirsi, quindi, che in tema di giudizio di rinvio, le parti, nel caso di annullamento di una sentenza d'appello, non hanno un diritto incondizionato alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, perché il giudice dispone in merito degli stessi poteri di quello la cui sentenza è stata annullata, e quindi è tenuto alla rinnovazione sempre che la prova sia indispensabile per la decisione, con l'ulteriore condizione che sia anche rilevante Cass., n. 35616 del 13/7/2007. Conformi N. 9533 del 1995 Rv. 202373, N. 16786 del 2004 Rv. 227924, N. 30422 del 2005 Rv. 232020 . 5.2. A seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata poiché egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all'individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell'ambito del capo della sentenza colpito da annullamento Cass., 47060 del 25/9/2013. Conformi N. 5678 del 2005 Rv. 230744, N. 30422 del 2005 Rv. 232019, N. 34016 del 2010 Rv. 248413 . Non ha fondamento logico né normativo il ritenere che il giudice di rinvio debba - per pervenire ad una decisione di condanna - acquisire elementi probatori nuovi e diversi rispetto a quelli posti a fondamento della sentenza annullata, giacché ciò equivarrebbe a negargli il potere di valutazione della prova già acquisita. È stato conseguentemente affermato che la pronuncia di annullamento con rinvio per vizio di motivazione per contraddittorietà e illogicità, vincola il giudice di rinvio per quanto riguarda l'esistenza del vizio, ma non certo per quanto concerne la decisione, che spetta esclusivamente al giudice di merito, che conserva integri i poteri di accertamento e di valutazione C, Sez. V, n. 5539 del 20.1.1992 sez. 6, n. 6004 dell'11/11/1998 sez. 6, n. 5552 del 29/3/2000 sez. 6, n. 46220 del 6/11/2009 sez. 2., n. 47060 del 25/9/2013 . Sicché il giudice di rinvio rimane vincolato soltanto all'obbligo di dare alla sentenza una motivazione adeguata e immune da vizi logici, con il divieto implicito di fondare la decisione sugli stessi argomenti dei quali era stata affermata l'illogicità. Non va dimenticato, però, che la Corte di cassazione risolve una questione di diritto nel qual caso, per giurisprudenza costante, il giudice di rinvio è vincolato al dictum della Suprema Corte anche quando giudica sull'adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un'autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali Cass., n. 7567 del 24/9/2012 . Ciò comporta - nella specie - che la presenza di G. nel corso del delitto - affermata dal giudice della sentenza annullata sulla base di plurimi elementi e non censurata nel giudizio rescindente - non può essere messa più in discussione, discutendosi solamente della credibilità dello stesso allorché chiama in causa M.V. e S. . 6. In definitiva, l'accoglimento - per quanto di ragione - del primo e del terzo motivo di ricorso esime la Corte dall'esaminare gli ulteriori profili di doglianza espressi negli stessi motivi, nonché nei motivi secondo e quarto, attinenti strettamente alla congruenza e logicità della motivazione nonostante la diversa qualificazione ad essi data, in un caso, dai ricorrenti , da ritenersi dunque assorbiti. L'impugnata sentenza dev'essere, conseguentemente, annullata con rinvio al giudice d'appello, altra sezione, che si atterrà a quanto deciso da questa Corte. Ai sensi dell'art. 624-bis cod. proc. pen. deve essere disposta la cessazione delle misure cautelari applicate a M.V. e S. a seguito della sentenza di appello che riformava quella di assoluzione di primo grado, in forza della quale erano stati scarcerati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise d'appello di Milano per nuovo giudizio. Dichiara ex art. 624-bis cod. proc. pen. la cessazione dell'efficacia della misura cautelare applicata agli imputati con provvedimento della Corte d'Assise d'appello di Milano del 25 giugno 2013 e per l'effetto dispone la scarcerazione di M.V. e M.S. se non detenuti per altra causa. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza, ex art. 626 cod. proc. pen