Stato d’ansia: per dimostrarlo non è necessaria l’esistenza di cure farmacologiche

In tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia e paura, può essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 52260, depositata il 16 dicembre 2014. Il fatto. Con ordinanza il Tribunale di Bologna rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’indagato avverso l’ordinanza con la quale il gip del Tribunale di Ferrara aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale, dopo aver confermato la sussistenza di un grave quadro indiziario idoneo a ricondurre all’indagato le condotte di reiterate molestie nei confronti delle persone offese, aveva ritenuto che tali comportamenti avessero generato nei destinatari uno stato d’ansia e di depressione, confermato da referto medico. L’indagato ha proposto ricorso in Cassazione contro tale decisione, lamentando vizi motivazionali e violazione dell’art. 612 bis c.p., per non avere il Tribunale ritenuto l’insussistenza della gravità del quadro indiziario, pur in assenza di una prova concreta dell’esistenza di un grave stato d’ansia prodotto dalle condotte a lui attribuite. La prova dell’evento del delitto. Il Collegio ritiene tale motivo di ricorso infondato, infatti, tali critiche del ricorrente muovono dall’erroneo presupposto che la dimostrazione dell’evento di danno del reato di cui all’art. 612 bis c.p. possa trarsi solo dall’esistenza di cure farmacologiche o di altro tipo. Al contrario, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia e paura, può essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Sulla questione, poi, dell’esistenza dei limiti all’applicabilità della custodia cautelare, il Tribunale ha deciso per la sua applicazione avendo come punto di riferimento il testo dell’art. 275, comma 2bis, c.p.p., così come non ancora modificato dalla legge di conversione del decreto – legge n. 92/2014, osservando che la pena ragionevolmente irrogata sarebbe stata superiore a 3 anni e 6 mesi di reclusione. La S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 novembre – 16 dicembre 2014, n. 52260 Presidente Savani – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31/07/2014 il Tribunale di Bologna ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell'interesse di Stefano Ferranti avverso l'ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Ferrara aveva applicato nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale, dopo avere confermato la sussistenza di un grave quadro indiziario idoneo a ricondurre al Ferranti condotte di reiterate molestie nei confronti di A.G.M., con la quale in precedenza era stato legato da relazione affettiva, e dell'attuale compagno di quest'ultima, G.G., ha ritenuto che tali comportamenti avessero generato nei destinatari uno stato di ansia e di depressione, confermato dal referto medico del 18/02/2014. L'ordinanza impugnata ha sottolineato che il pericolo di reiterazione era desumibile dal fatto che le molteplici condotte, protrattesi per circa cinque mesi, avevano fatto seguito a quattro precedenti penali per atti persecutori nei confronti delle medesime persone offese, aggiungendo che la pena irrogabile sarebbe stata prevedibilmente superiore ad anni tre e mesi sei di reclusione, tenuto conto del fatto che la pervicacia delinquenziale del Ferranti avrebbe giustificato una determinazione della pena in una fascia mediana della fattispecie aggravata contestata art. 612-bis, comma secondo, cod. pen. , cui era da aggiungersi l'aumento previsto per la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 2. II Ferranti ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione dell'art. 612-bis cod. pen., per non avere il Tribunale ritenuto l'insussistenza della gravità del quadro indiziario, pur in assenza di una prova concreta dell'esistenza di un grave stato d'ansia prodotto dalle condotte attribuite all'indagato. 2.2. Con il secondo motivo, si lamenta erronea applicazione degli artt. 275, comma 5-bis rectius 2-bis e 284, comma 5-bis, cod. proc. pen., sottolineando che quest'ultima previsione è destinata ad operare solo nel caso che il giudice ritenga applicabile una pena superiore ai tre anni di pena detentiva. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso è infondato. Ed, infatti, le critiche indirizzate dal ricorrente agli elementi valorizzati per ritenere la sussistenza dell'evento di danno del reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. muovono dall'erroneo presupposto che la dimostrazione di quest'ultimo possa trarsi solo dall'esistenza di cure farmacologiche o di altro tipo, laddove, al contrario, in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, può essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 6, n. 20038 del 19/03/2014, T, Rv. 259458 sulla rilevanza dei comportamenti dell'agente, v. anche, Sez. 5, n. 24135 del 09/05/2012, G., Rv. 253764 . Inoltre, il capo di imputazione provvisorio riportato all'inizio dell'ordinanza impugnata circoscrive temporalmente i fatti attribuiti al Ferranti facendo riferimento al periodo dal 09/12/2013 al 25/05/2014 e tuttora in atto . Ciò posto, non s'intende la rilevanza della critica secondo cui, a parte il referto del 18/02/2014 redatto dal medico che ha in cura le due persone offese, mancherebbe la documentazione attestante cure dal 28/08/2012 sino al 18/02/2014, l'assenza di qualsivoglia ricevuta di pagamento nello stesso periodo, l'esistenza di un'unica ricevuta d'acquisto di farmaci risalenti al 22/12/2011 o ancora la mancata prescrizione, nell'ultima certificazione, di farmaci per la Mera. D'altra parte, posto che lo stato di ansia si identifica in un destabilizzante turbamento psicologico provocato dalla condotta dell'agente Sez. 5, n. 11945 dei 12/01/2010, G., Rv. 246545 diviene, del pari, arduo cogliere la distinzione che il ricorrente pretende di individuare tra l'elemento oggettivo del reato del quale si discute e la situazione descritta dal datore di lavoro del Giorgi che, secondo quanto il medesimo Ferranti riporta in ricorso, ha visto il suo dipendente, in dipendenza delle vicissitudini delle quali di discute, molto turbato e preoccupato, anche perché ormai si verificano con una preoccupante abitudinarietà . 2. II secondo motivo è inammissibile per l'assorbente ragione che, non cogliendo il significato del riferimento operato dall'ordinanza impugnata alla pregressa evasione della quale l'indagato si è reso responsabile, non si confronta con la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Il Tribunale di Bologna, infatti, ha tratto dalla condanna del ricorrente per evasione solo l'argomento per escludere l'applicabilità della custodia domestica. Esclusa l'adeguatezza di misure meno afflitive, in ragione della particolare pericolosità del Ferranti, sulla quale l'ordinanza resa all'esito del riesame si diffonde senza incontrare alcuna censura, il Tribunale si è impegnato, con autonomo segmento motivazionale, sulla diversa questione dell'esistenza dei limiti all'applicabilità della custodia cautelare, avendo come punto di riferimento il testo del comma 2-bis dell'art. 275 del codice di rito, così come non ancora modificato dalla legge di conversione del decreto - legge n. 92 del 2014, che oggi espressamente esclude, nel suo terzo periodo, il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. dall'ambito operativo della previsione di cui al secondo periodo dello stesso comma 2-bis. E in piena coerenza con il dettato normativo vigente ratione temporis, l'ordinanza impugnata ha osservato, con argomenti che non palesano alcuna manifesta illogicità, che la pena ragionevolmente irrogata sarebbe stata superiore a tre anni e sei mesi di reclusione, per la ricorrenza delle due aggravanti sopra ricordate. 3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma l-ter, disp. att. cod. proc. pen.