Il limite della “bancarotta riparata” è l’inizio della procedura fallimentare

Si configura la c.d. bancarotta riparata” quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio dei creditori. Non hanno dunque alcuna rilevanza eventuali condotte riparatorie poste in essere dopo l’avvio della procedura fallimentare.

E’ stato così deciso nella sentenza n. 52077, della Corte di Cassazione, depositata il 15 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’appello riteneva responsabile del reato di cui all’art. 216, comma 1, n. 1, l.f. bancarotta fraudolenta un uomo, per aver concorso con gli amministratori di una società, dichiarata fallita, nella distrazione di una somma di denaro, costituente la caparra confirmatoria prevista nel preliminare di vendita di un immobile dei coniugi titolari della società predetta. In particolare i coniugi avevano deciso di vendere l’immobile per metterlo al riparo delle esecuzioni, tramite la stipula del preliminare con una società, che aveva poi simulato il versamento della caparra. Il tutto, secondo la ricostruzione dei Giudici, era stato ideato dal legale dei coniugi, che era inoltre socio ed amministratore della società finta acquirente. In sostanza, secondo la Corte di merito, la condotta posta in essere aveva avuto come unica finalità quella di anticipare e depotenziare i creditori della società, non essendo rilevabile la volontà di procurarsi liquidità per salvare l’azienda. Il soccombente ricorreva allora per cassazione, lamentando la violazione della legge fallimentare e della legge penale, oltre al vizio di motivazione. Bancarotta riparata se La Cassazione si trova ad affrontare la questione della configurabilità della c.d. bancarotta riparata”. E’ pacifico in sede di legittimità che essa si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio dei creditori Cass., n. 39043/2007 o anche la sola potenzialità di una danno per le ragioni creditorie, i quali integrano l’offesa tipica della bancarotta fraudolenta patrimoniale che è reato di pericolo Cass., n. 12897/1999 . Le operazioni erano tutte posteriori alla procedura di fallimento. Tuttavia, le circostanze che il ricorrente vuol far passare come atti idonei a riparare la soluzione, ovvero il fatto che il curatore avesse optato per l’esecuzione del preliminare ritenendo tale operazione più conveniente per i creditori e la mancata insinuazione della società acquirente al passivo per il credito nascente dall’apparente versamento della caparra, sono, come rileva la Suprema Corte, tutte posteriori all’assoggettamento della società venditrice, alla procedura fallimentare. In conclusione, la finalità di procurarsi liquidità per salvare l’azienda è smentita dal fatto che l’operazione non aveva comportato alcun ritorno economico per la società dichiarata fallita. Sicchè, l'ideatore dell’operazione, legale di fiducia dei coniugi, nonché socio e amministratore della società finta acquirente dell’immobile, è da ritenersi penalmente responsabile. Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 novembre – 15 dicembre 2014, numero 52077 Presidente Ferrua – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. P.P.L. è stato ritenuto responsabile, con sentenza della Corte di Appello di Bologna del 29-1-2013, in riforma -su appello dei PM dì quella dei Gip Tribunale di Ravenna in data 10-2-2010 di assoluzione 'perché il fatto non costituisce reato' , del reato di cui all'art. 216, comma 1 numero 1 legge fall. per aver concorso con altri, e in particolare con N.T. e A.R., amministratori della Tierre di T. e R. snc, dichiarata fallita il 9-8-2002, nella distrazione della somma di 500 milioni di lire, costituente la caparra confirmatoria prevista nel preliminare di vendita di un immobile dei coniugi T. alla Master Consulting srl della quale L. è socio e amministratore, o, in alternativa, per aver distratto il suddetto immobile promettendone la vendita con simulazione del pagamento della caparra. 2. In sostanza, premessa la finalità dei coniugi T. di mettere l'immobile al riparo dalle esecuzioni tramite la stipula del preliminare -operazione ideata dai L., legale dei coniugi stessi-, la Master Consulting, promissario acquirente per sé o per persona da nominare, aveva simulato -com'è pacifico il versamento della caparra in forma di assegni circolari, che erano stati estinti dai beneficiari T. e R. e versati su un libretto di risparmio a nome dei soci ed amministratori della Master, con un passaggio dunque solo fittizio della caparra stessa dal compratore ai venditori. 3. Con la conseguenza non solo della distrazione delle relativa somma, ma della distrazione in senso giuridico, come contestato dal PM all'udienza del 5-10-2009, dell'immobile, nel senso che questo era stato almeno in parte, nella misura della caparra solo apparentemente corrisposta, distolto dalla garanzia patrimoniale dei creditori, in quanto il curatore, se non avesse scelto di dar corso alla vendita, avrebbe dovuto restituire alla Master Consulting la caparra di 500 milioni di lire. 4. La corte territoriale, dopo aver ricordato che il primo giudice aveva affermato, da un lato, che l'immobile non era stato distratto dall'attivo fallimentare, dall'altro che l'operazione era stata valutata come vantaggiosa dalla curatela che aveva deciso di dar corso alla vendita, osservava che il Gup non aveva però tenuto conto che, in esito agli accertamenti investigativi, la somma di 500 milioni era risultata versata al fallimento dalla Master Consulting, il resto del prezzo dagli acquirenti nominati. Concludeva quindi che, solo grazie al duplice versamento, l'operazione era risultata positiva e più vantaggiosa della vendita dell'immobile all'asta, mentre, se l'operazione non fosse stata scoperta, la somma di 500 milioni, solo apparentemente versata, sarebbe rimasta nelle casse della Master Consulting con danno dei creditori della Tierre snc, in quanto il fallimento di quest'ultima società avrebbe conseguito soltanto il prezzo residuo. 5. In ordine alle finalità dell'operazione, la corte bolognese osservava che esse erano, come prospettato dal PM appellante, di 'anticipare e depotenziare i creditori' non essendovi prova di quella di impedire iscrizioni di ulteriori ipoteche, di fatto comunque accese, né di quella di procurarsi liquidità per salvare l'azienda, mentre il fine di tutelare i potenziali acquirenti da possibili revocatorie fallimentari mascherava comunque la volontà di indebolire la posizione dei creditori pregressi rispetto ai promissari acquirenti. Sul dolo era pure richiamato per relationem l'appello dei PM pagg. da 3 a 7 . 6. Il ricorso a firma dell'avv. M.M. è affidato ad un unico motivo articolato nelle censure di violazione di legge in relazione agli artt. 216, comma 1 numero 1, 232, 72 e 108 legge fall., 56 e 157 cod. penumero , e di vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo. 7. Il ricorrente premette che l'intero prezzo dell'immobile era stato versato dagli acquirenti nominati e che il curatore aveva dato atto in una missiva alla Master Consulting che questa aveva lasciato al fallimento l'intero prezzo non essendo mai stata acquisita al patrimonio della fallita la caparra di 500 milioni di lire. 8. Ciò posto l'impugnante rileva come la sentenza impugnata si risolva in sostanza nella trascrizione dell'appello del PM, tale da determinare vizio di motivazione e deduce violazione di legge in punto di sussistenza della distrazione che esige un pregiudizio per i creditori al momento della dichiarazione di fallimento, nella specie non ricorrente. 9. Infatti, da un lato, Master Consulting non si era insinuata al passivo per la restituzione della caparra per l'ipotesi dello scioglimento del contratto, dall'altro nulla aveva opposto all'acquisizione da parte del curatore dell'intero prezzo corrisposto dagli acquirenti, comportamenti concludenti che deponevano per l'irrilevanza penale delle condotte contestate in assenza di un pregiudizio concreto per la garanzia dei creditori, o quanto meno per la configurazione del tentativo, prescritto, così come prescritto sarebbe il reato di cui all'art. 216, comma 3, legge fall. simulazione in funzione di futura prelazione , essendo da escludere l'ipotesi, costituente bancarotta, della restituzione all'attivo fallimentare del bene distratto dopo il fallimento per iniziativa del curatore. 10. Sulla sussistenza del dolo il ricorrente deduce errore di diritto in quanto la circostanza che la trascrizione dei preliminare non avesse scoraggiato i creditori dall'iscrizione di ipoteche sul bene poteva non essere stata prevista al momento dell'operazione e comunque non eliminava l'effetto di salvaguardia della par condicio creditorum della trascrizione stessa. D'altro canto la volontà di frustrare possibili revocatorie era smentita dalla scelta del curatore di mantenere in vita il contratto. 11. La richiesta era quindi di annullamento della sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita rigetto. 2. Esso, come la sentenza assolutoria di primo grado, valorizza, a ben vedere, circostanze successive al fallimento, inidonee, quindi, a dar luogo alla figura della c.d. 'bancarotta riparata'. 3. Questa, come ricordato in Cass. Sez. 5, numero 28514 del 23/4/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255576 che richiama Sez. 5, numero 3622 del 19/12/2006, Morra, Rv. 236051 e Sez. 5, numero 8402 dei 03/02/2011, Cannavale, Rv. 249721 , si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori Sez. 5, numero 39043 del 21/09/2007, Spitoni, Rv. 238212 , o anche la sola potenzialità di un danno per le ragioni creditorie, i quali integrano l'offesa tipica della bancarotta fraudolenta patrimoniale che è reato di pericolo Sez. 5, numero 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214860 sez. 5, numero 11633 dell'08/02/2012, Lombardi Stronati, Rv, 252307 Sez. 5, numero 3229 dei 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932 . 4. Orbene va osservato che le circostanze dalle quali nella specie si vorrebbe far discendere la prova dell'irrilevanza penale della condotta rappresentata dalla simulazione del versamento della caparra per I' `inconsistenza di un pregiudizio concreto per il patrimonio e quindi per le garanzie creditorie' così il ricorso a pag. 4 , e cioè da un lato il fatto che il curatore avesse optato per l'esecuzione del preliminare reputando tale soluzione più conveniente per il ceto creditorio, dall'altro la mancata insinuazione di Master Consulting al passivo per il credito nascente dall'apparente versamento della caparra e comunque la mancata opposizione all'acquisizione al fallimento dell'intero prezzo dei bene, con rinuncia a far valere l'effettività del pagamento della caparra, mai avvenuto , sono tutte posteriori all'assoggettamento della Tierre snc alla procedura fallimentare. 5. Per contro, al momento della pronuncia del fallimento della società e dei soci, la stipulazione ,J del preliminare, costitutivo di un vincolo per il patrimonio della fallita fonte di obbligazioni ,, inerenti alla destinazione del bene con specifico riferimento alla distrazione realizzata mediante un contratto preliminare di vendita immobiliare si vedano Cass. Sez. 5, Sez. 5, numero 37565 del 04/04/2003, Maggenti, Rv. 228296 e Sez. 5, numero 2057 del 15/12/1993, Lantieri, Rv. 197270 , risultava apparentemente accompagnata dal versamento della caparra, con la conseguenza che, alla stregua di tale situazione, ove il curatore avesse scelto lo scioglimento del contratto, Master Consulting avrebbe avuto il diritto di far valere nel passivo il proprio, peraltro inesistente, credito, assistito dal privilegio speciale sul bene immobile, che riguarda ai sensi dell'art. 2775 bis cod. civ. i crediti del promissario acquirente conseguenti alla mancata esecuzione dei contratto preliminare, mentre, nel caso in cui il curatore avesse optato per l'esecuzione dei contratto, il fallimento avrebbe conseguito soltanto la differenza tra il prezzo totale e l'importo della caparra simulatamente corrisposta. 6. La circostanza che tali effetti negativi per la massa dei creditori non si siano concretamente verificati avendo la procedura di fatto conseguito l'intero prezzo dell'immobile, è frutto, come risulta dalla sentenza impugnata -che ha quindi correttamente escluso la bancarotta 'riparata'non già di un'attività riparatoria anteriore al fallimento, bensì del 'disvelamento dell'operazione da parte delle indagini' in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, quando, dunque, la distrazione della caparra, solo fittiziamente uscita dalle casse di Master Consulting e mai entrata in quelle di Tierre snc, si era già realizzata con conseguente assoggettamento dell'immobile, così in parte distolto dalla garanzia dei creditori, alle opzioni di cui all'art. 72 legge fall., essendo quindi 'riparata', mediante il comportamento remissivo di Master Consulting, soltanto dopo la -e non prima della sottoposizione della società alla procedura concorsuale, a differenza da quanto preteso dal ricorrente. 7. D'altro canto l'operazione, abilmente ideata ed ispirata dal prevenuto, legale di fiducia dei coniugi T. e nel contempo socio ed amministratore di Master Consulting, appare caratterizzata dal dolo generico tipico del reato, per la cui sussistenza non necessitano né la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte Cass. 3229/2012, 11899/2010 , nella specie dimostrata dall'imposizione dei vincolo obbligatorio sull'immobile priva di corrispettivo in quanto la caparra non entrava nelle casse sociali della venditrice. 8. Invano, quindi, il ricorrente si è sforzato di escludere tale consapevole volontà valorizzando i motivi e le finalità della condotta che non influiscono sull'elemento psicologico del reato. 9. Comunque la finalità di procurarsi liquidità per salvare l'azienda è smentita dal fatto che l'operazione non aveva comportato alcun ritorno economico per la Tierre, mentre quella di salvaguardare il bene dall'iscrizione di ulteriori ipoteche e i potenziali acquirenti di esso da possibili azioni revocatorie fallimentari, essendo perseguibile mediante la stipulazione del preliminare di vendita e la trascrizione di esso, non richiedeva la simulazione del versamento della caparra. 10. Al rigetto del ricorso segue il carico delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.