Di quale reato risponde il datore che non versa la maternità, ma conguaglia ugualmente tali somme?

Integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno della Stato art. 316 ter c.p. la condotta del datore che esponga fittiziamente somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per maternità, ottenendo così dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni.

E’ stato così deciso nella sentenza numero 51845, della Corte di Cassazione, depositata L’11 dicembre 2014. Il caso. Un datore di lavoro ometteva di corrispondere alla dipendente l’indennità di maternità ad essa dovuta, tuttavia portava a conguaglio le relative somme con quanto da lui dovuto all’INPS per altre ragioni. Il Gup pronunciava sentenza ex art. 425 c.p.p. Sentenza di non luogo a procedere con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Il pm ricorreva allora in Cassazione, lamentando violazione di legge. In particolare, sosteneva che la condotta non risultava inquadrabile come truffa aggravata ai danni dell’INPS art. 10 quater d.l. numero 74/2000 . Truffa aggravata solo per i crediti di natura tributaria. La Cassazione nel decidere la questione in esame ricorda che la condotta del datore, come nel caso di specie, non può rientrare nella norma richiamata dal pm, poiché si tratta di fattispecie criminosa che punisce l’indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti che abbiano natura tributaria Cass., numero 48663/2014 . Nella fattispecie si tratta, invece, di somme portate a conguaglio dal datore, ma non di natura tributaria, corrispondendo a prestazioni di natura previdenziale o assistenziale prevista a vantaggio della lavoratrice. E’ indebita percezione di erogazioni se Nel caso di specie, specifica la Corte Suprema, sussiste il reato di cui all’art. 316 ter c.p., che prescinde dall’esistenza di un danno patrimoniale patito dalla persona offesa. Infatti, è ius receptum in sede di legittimità che l’art. 316 ter c.p. sanziona la percezione di per sé indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali - inoltre - nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità Cass., S.U., numero 7537/2011 . Nel caso di specie, il datore, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per maternità, aveva ottenuto dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali o assistenziali, percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. In conclusione, integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno della Stato art. 316 ter c.p. la condotta del datore che esponga fittiziamente somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per maternità, ottenendo così dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. Sulla base di tali argomenti la Cassazione qualifica il fatto come violazione dell’art. 316 ter c.p. e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 novembre – 12 dicembre 2014, numero 51845 Presidente Fiandanese – Relatore Verga Motivi della decisione In data 7 maggio 2014 il Giudice per l'Udienza Preliminare del Tribunale di Chieti ha pronunciato sentenza ex articolo 425 nei confronti di P.L. , previa riqualificazione del fatto, contestato come truffa aggravata ai danni dell'Inps, come ipotesi di cui all'articolo 10 quater decreto legislativo 74/2000 con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Ricorre per Cassazione il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Chieti deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in violazione di legge. Sostiene che la condotta non risulta inquadrabile nel dettato normativo dell'articolo 10 quater decreto legislativo 74/2000 perché detta norma riguarda solo ed esclusivamente le obbligazioni di natura tributaria tra le quali non sono certamente inquadrabili le indennità a vario titolo dovute al lavoratore per conto dell'Inps. Sostiene la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato contestato. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. La vicenda posta all'esame di questa Corte è quella di un datore di lavoro che, pur avendo omesso di corrispondere alla dipendente V.C. l’indennità di maternità ad essa dovute, ha tuttavia portato le relative somme a conguaglio - negli appositi modelli DM 10 - con quanto da lui dovuto all'istituto previdenziale per altre ragioni. Questa Corte ha già avuto modo di affermare con motivazione che questo Collegio condivide Cass. Sez. 2 numero 48663 del 17.10.2014 che la condotta del datore di lavoro, come sopra configurata, non possa inquadrarsi nel reato di cui all'articolo 10-quater D.lgs. 10 marzo 2000, numero 74 perché si tratta di fattispecie criminosa che punisce l'indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti che abbiano natura tributaria essa non è applicabile, pertanto, al caso sottoposto al giudizio di questa Corte, nel quale le somme portate a conguaglio dal datore di lavoro non hanno natura tributaria, ma corrispondono a prestazioni di natura previdenziale o assistenziale previste a vantaggio del lavoratore. Ciò detto non può non rilevarsi che la falsa rappresentazione riguardava non l'esistenza del debito portato a conguaglio, ma solo l'anticipazione delle relative somme al lavoratore e non può prescindersi dal considerare che le somme dovute per assegni familiari e indennità di maternità o malattia in favore del lavoratore costituiscono un debito dell'I.N.P.S. e non del datore di lavoro che, in forza dell'articolo 1 D.L.numero 633/79, è tenuto ad anticiparle salvo conguaglio. Questa Sezione con la sentenza numero 18762 del 15/01/2013 Rv. 255194 ha già avuto modo di affermare che quando, come nel caso in esame, la discordanza tra la situazione rappresentata all'I.N.P.S. e quella reale riguardi solo l'effettiva erogazione di somme che l'ente previdenziale è tenuto a corrispondere al lavoratore tramite il datore di lavoro e quest'ultimo sostanzialmente riconosca il suo obbligo di corrisponderle pur non avendole di fatto, ancora, corrisposte nei confronti dell'ente previdenziale il datore di lavoro sicuramente realizza - o, quanto meno, pone in essere atti idonei a realizzare - l'ingiusto profitto del conguaglio delle prestazioni che assume di aver anticipato, ma non determina alcun danno. Il lavoratore, infatti, non potrebbe che rivolgersi al datore di lavoro per ottenere quanto gli spetta avendo l'I.N.P.S., attraverso il conguaglio, adempiuto il suo obbligo. È stato così ritenuto che sotto questo profilo il reato di truffa non sussiste perché, mentre il requisito del profitto ingiusto nella truffa può comprendere in sé qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche a carattere non strettamente economico, l'elemento del danno deve avere necessariamente contenuto patrimoniale ed economico, consistendo in una lesione concreta e non soltanto potenziale che abbia l'effetto di produrre - mediante la cooperazione artificiosa della vittima che, indotta in errore dall'inganno ordito dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione - la perdita definitiva del bene da parte della stessa Cass. Sez. Unumero 16 dicembre 1998 numero 1, Cellammare . Nel caso di specie l'I.N.P.S non risulta aver risentito per effetto della condotta dell'imputato uno specifico ed effettivo danno di indole patrimoniale ovvero un reale depauperamento economico, nella forma del danno emergente o del lucro cessante, con conseguente insussistenza del reato di truffa. Secondo il Collegio che fa proprie le argomentazioni della già citata sentenza numero 48663 del 2014 nel caso di specie sussiste però il reato di cui all'articolo 316-ter cod. penumero che prescinde dall'esistenza di un danno patrimoniale patito dalla persona offesa. Secondo l'interpretazione data dalle SSUU di questa Corte l'articolo 316-ter sanziona la percezione di per sé indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali. È stato infatti affermato che nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l'elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell'esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità” Cass SS.UU numero 7537 del 2011 - Rv. 249104 . Nel caso di specie il datore di lavoro, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per maternità ha ottenuto dall'I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all'istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. Non può pertanto che ribadirsi il principio già affermato nella sentenza numero 48663 del 2014 secondo il quale integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all'articolo 316-ter cod. penumero la condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia o maternità o assegni familiari, ottiene dall'I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all'istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, cosi percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni”. Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all'I.N.P.S. sulla base dei dati indicati sui modelli DM10 i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così - tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto - a percepire indebitamente l'erogazione dell'ente pubblico. Alla stregua di quanto si è detto, il fatto contestato va qualificato secondo la fattispecie criminosa di cui all'articolo 316-ter cod. penumero , con conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti. P.Q.M. Qualificato il fatto come violazione dell'articolo 316-ter cod. penumero , annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti.