Processo in sardo? Solo con l’allegazione del provvedimento di riconoscimento

Il diritto all’uso della propria lingua è espressione del principio di tutela delle minoranze etniche ed inerisce i principi di uguaglianza e sviluppo della persona umana. L’uso della lingua madre in un processo inevitabilmente influisce sul diritto di difesa e sul diritto ad un regolare processo. Tuttavia, poiché il riconoscimento della minoranza è posto attraverso un formale provvedimento, questo deve essere allegato alla richiesta per l’uso della propria lingua nel giudizio. Si tratta di atto non generale ed astratto, la cui conoscenza non può essere presunta secondo il principio iura novit curia .

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. Quarta Penale, con la sentenza n. 51812 depositata il 12 dicembre 2014. La tutela delle minoranze linguistiche. La legge n. 482/1999 reca norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche, includendo in quest’ultime le lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e di quelle che parlano il francese, il franco-provenzano, il fruiliano, il ladino, l’occitano e il sardo. Il diritto all’uso della lingua materna nell’ambito della comunità di appartenenza rappresenta un elemento cardine della tutela costituzionale delle minoranze etniche. Essa è espressione del principio di uguaglianza e di pieno sviluppo della personalità umana e del più evidente principio pluralistico espresso all’art. 2 della Costituzione Italiana. Già la Corte Costituzionale nella sentenza n. 62/1992 si è espressa in tal senso, precisando come questa tutela trovi piena affermazione quando si consente di utilizzare agli appartenenti alle minoranze etniche una lingua che non sia diversa da quella materna anche nei rapporti con le autorità pubbliche. Il processo e la lingua. Partendo dalle premesse indicate, i giudici delle leggi nella indicata sentenza evidenziavano come il diritto all’uso della lingua madre fosse ancora più rilevante nel rapporto con le autorità giudiziarie, poiché inerisce il diritto alla difesa e ad un regolare processo. Per tale ragione, anche la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, enuncia il principio, ritenendolo di portata necessariamente generale, per cui il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, nell’ambito di un procedimento pubblico di cui egli sia interessato, ha diritto ad essere interrogato o esaminato nella propria lingua madre. Egli ha inoltre diritto a sua richiesta di veder redigere il verbale e ricevere tradotti gli atti del procedimento nella stessa lingua madre. La prova del riconoscimento di minoranza. La legge n. 482/1999 prevede un complesso iter ai fini dell’applicazione delle norme a tutela delle minoranze linguistiche e dunque ai fini dell’uso della lingua madre in un procedimento giudiziario. L’art. 3 prescrive che la richiesta del riconoscimento della minoranza, indirizzata al Consiglio Provinciale territorialmente competente, provenga da almeno il quindici percento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni interessati o di un terzo dei consiglieri comunali degli stessi comuni. Laddove tale richiesta non pervenga, il riconoscimento della minoranza può avvenire se la maggioranza della popolazione residente nel territorio interessato si esprima favorevolmente a seguito di apposita consultazione. Chi intende avvalersi in un giudizio della propria lingua madre deve allegare all’apposita richiesta la prova dell’inclusione della minoranza linguistica cui appartiene nel territorio in cui lo stesso risiede. Il provvedimento in questione infatti è estraneo dal generale principio iura novit curia poiché espressione di interessi particolari, e non incardinato sui caratteri normativi della generalità ed astrattezza.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 novembre – 12 dicembre 2014, n. 51812 Presidente Brusco – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. M.S. propone, per mezzo del proprio difensore, ricorso avverso l'ordinanza del 28/11/2013 con la quale il Tribunale di Oristano ha respinto l'opposizione presentata contro il decreto con cui in data 1/3/2013 lo stesso Tribunale aveva disposto la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in precedenza disposta su istanza dell'interessato del 16/2/2009. A tale determinazione il primo giudice era giunto, in seguito alla comunicazione, da parte della Guardia di Finanza in precedenza incaricata, dell'esito degli accertamenti condotti, dai quali risultava che l'Agenzia delle Entrate di Oristano aveva emesso nei confronti del M. ben cinque avvisi di accertamento uno per ogni annualità , dal 2006 al 2010, nei quali si evidenziava l'esistenza dei redditi negli anni predetti variabili da un minimo di Euro 13.685,00 per il 2010 a un massimo di Euro 160.400 per il 2006. Era emerso inoltre che il M. fosse titolare di pensione Inps a partire dal 2000, intestatario di vari immobili, due dei quali concessi in locazione. 2. A fondamento del ricorso sono dedotti due motivi. Con il primo si deduce violazione e mancata applicazione degli artt. 122 c.p.c. e 109 c.p.p. in relazione all'art. 2 legge 15 dicembre 1999, n. 482, in materia di tutela delle minoranze linguistiche, a motivo del mancato utilizzo nel processo del dialetto sardo campidanese. Con il secondo si eccepisce l'incompetenza a decidere del giudice che ha provveduto alla revoca, per essere, alla data della sua pronuncia, già transitato alla Corte d'appello il procedimento penale in relazione al quale era stata disposta l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 3. Nella sua requisitoria scritta il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. In punto di competenza, occorre preliminarmente rilevare che, ai sensi dell'art. 112, comma 3, d.P.R. n. 115 del 2002, la competenza a disporre la revoca dell'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato spetta al magistrato che procede al momento della scadenza dei termini previsti per le comunicazioni relative alle eventuali variazioni di reddito dell'interessato ovvero per la produzione delle certificazioni ivi richiamate , ovvero al momento in cui dette comunicazioni sono effettuate. Tali momenti determinativi della competenza funzionale del magistrato che contestualmente procede” appaiono, quindi, identificati dal legislatore in corrispondenza dell'esatto momento in cui devono ritenersi eventualmente venuti meno concorrendone i presupposti in fatto i requisiti sostanziali per il godimento del beneficio cui l'interessato era stato precedentemente ammesso tanto in considerazione della piena idoneità della scadenza dei termini per le ridette comunicazioni, ovvero della relativa effettuazione, a cristallizzare il momento giuridicamente rilevante ai fini della definitiva perdita, da parte dell'interessato, dei requisiti sostanziali per l'ammissione al beneficio de quo. In breve, nel momento stesso in cui l'interessato risulta legalmente non più provvisto dei requisiti per il godimento del beneficio, viene a determinarsi in via automatica anche l'identificazione del magistrato competente a decidere sulla revoca della relativa ammissione, tale essendo il magistrato in tale specifico momento investito del procedimento in corso che procede” . Nel caso di specie, trattandosi di mancanza originaria dei presupposti per l'ammissione al beneficio, sia pure emersa a seguito degli accertamenti operati dalla Guardia di Finanza, deve ritenersi pienamente confermata la competenza funzionale del Tribunale di Oristano a provvedere sulla richiesta di revoca dell'ammissione al beneficio, risalendo per tal motivo i suoi presupposti evidentemente alla stessa data dell'iniziale decreto di ammissione e, comunque, a epoca anteriore al passaggio del giudizio al grado successivo v. Sez. 4, n. 47343 del 10/10/2014, Meta, non massimata Sez. 4, n. 49420 del 07/11/2013, Giglia, Rv. 257904 cfr. anche Sez. 3, n. 2950 del 29/11/2001, dep. 2002, Di Stefano, Rv. 221061, secondo la cui massima il giudice dinanzi al quale pende il procedimento è competente a revocare d'ufficio l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche nell'ipotesi in cui risulti che la mancanza dei requisiti reddituali è originaria, non potendo essere in ciò condizionato dalla richiesta dell'Intendente di finanza ora Direttore regionale delle Entrate , prevista dal secondo comma dell'art. 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217, atteso che tale competenza si configura come esercizio della generale potestà di autotutela della pubblica amministrazione, posto che la decisione in ordine al patrocinio a spese dello Stato a favore dei non abbienti ha sostanzialmente natura amministrativa” - principio che, sebbene affermato in relazione a ricorso in cui si contestava la stessa possibilità di emettere, quale che fosse il giudice procedente, provvedimento di revoca in mancanza di apposita istanza da parte dell'ufficio finanziario, si riverbera anche, alla luce del criterio sopra indicato, sulla individuazione del momento in cui si radica la competenza, da identificare con quello stesso in cui vengono ad esistenza i presupposti della revoca, momento che ben può dunque essere - come nel caso in esame - antecedente e indipendente dal formale impulso dell'amministrazione finanziaria . 5. È anche infondato il motivo inerente il mancato utilizzo nel procedimento della lingua sarda, nella variante campidanese, sebbene per motivi diversi da quelli esposti nell'ordinanza impugnata. Diversamente invero da quanto ivi affermato, la lingua sarda non può considerarsi mero dialetto ma costituisce patrimonio di una minoranza linguistica riconosciuta. Ai sensi, infatti, dell'art. 2 legge 15 dicembre 1999, n. 482 recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche , in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi Europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo”. Con particolare riguardo ai rapporti con l'autorità giudiziaria, il successivo art. 9, comma 3, prevede che nei procedimenti davanti al giudice di pace è consentito l'uso della lingua ammessa a tutela. Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 109 del codice di procedura penale”. Tale disposizione del codice di rito prevede, al comma 2, che davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale [c.p.p. 134] è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta”, precisando infine, al comma 3, che le disposizioni di tale articolo sono osservate a pena di nullità”. Giova ancora rammentare che, nel l'intervenire sulla valutazione della legittimità costituzionale degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 122 cod. proc. civ., la Corte costituzionale ha sottolineato che la lingua propria di ciascun gruppo etnico rappresenta un connotato essenziale della nozione costituzionale di minoranza etnica, al punto da indurre il costituente a definire quest'ultima quale minoranza linguistica. Come elemento fondamentale d'identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori e, quindi, di garanzia dell'esistenza della continuità del patrimonio spirituale proprio di ciascuna minoranza etnica, il diritto all'uso della lingua materna dell'ambito della comunità di appartenenza è un aspetto essenziale della tutela costituzionale delle minoranze etniche, che si collega ai principi supremi della costituzione al principio pluralistico riconosciuto dall'art. 2, al principio di eguaglianza di fronte alla legge, garantito dall'art. 3, primo comma, al principio di giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita comunitaria, assicurato dall'art. 3, secondo comma, Cost. Corte Cost. sent. n. 62 del 24 febbraio 1992 . Sulla base di tali premesse, il giudice delle leggi ha evidenziato come non può esservi dubbio che la tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si realizza pienamente, sotto il profilo dell'uso della lingua materna da parte di ciascun appartenente a tale minoranza, quando si consenta a queste persone, nell'ambito del territorio di insediamento della minoranza cui appartengono, di non essere costrette ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei rapporti con le autorità pubbliche. Questa affermazione assume un valore particolare in riferimento all'uso della lingua materna di fronte all'autorità giudiziaria, poiché in tali rapporti ricorre in ogni caso un'indubbia interferenza di questa tutela con la garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della difesa e, più precisamente, con il diritto a un regolare processo. Interferenza - occorre sottolineare - non coincidenza o sovrapposizione con la tutela comportata dal riconoscimento dei diritti della difesa, poiché, mentre quest'ultima è finalizzata, per il profilo ora rilevante, all'adeguata comprensione degli aspetti processuali e suppone che questa possa mancare quando l'interessato non abbia in concreto una perfetta conoscenza della lingua ufficiale del processo come, ad esempio, nel caso dello straniero , al contrario la garanzia dell'uso della lingua materna a favore dell'appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta è, in ogni caso, la conseguenza di una speciale protezione costituzionale accordata al patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico e, pertanto, prescinde dalla circostanza concreta che l'appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua ufficiale Corte Cost. sent. n. 62/92, cit. . Il diritto all'uso della lingua materna da parte degli appartenenti a minoranze linguistiche nei loro rapporti con le autorità giudiziarie locali, dunque, secondo la coerente argomentazione della Corte costituzionale, ha una generale copertura costituzionale nell'art. 6 della Costituzione, a sua volta idonea a fondare pretese soggettive effettive e azionabili nella misura in cui siano state adottate adeguate norme di attuazione e siano state predisposte le necessarie strutture organizzative istituzionali. Sotto quest'ultimo profilo, tuttavia, non è indispensabile l'emanazione di norme di attuazione specifiche, essendo sufficiente la sussistenza di istituti o strutture organizzative di generale applicazione che possono essere utilizzati anche al fine di rendere effettivo e concretamente fruibile il diritto garantito in via di principio dalla costituzione. Alla stregua di tali argomentazioni, il giudice delle leggi, ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 22 e 23 della legge n. 689/81, in combinato disposto con l'art. 122 c.p.c., nella parte in cui non consentono, ai cittadini appartenenti ad una minoranza linguistica nel caso di specie, quella slovena nel processo di opposizione a ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni amministrative davanti al giudice avente competenza sul territorio dov'è insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua materna nei propri atti, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell'autorità giudiziaria e le risposte della controparte. Il complesso degli elementi di natura normativa d'indole costituzionale e legislativa, riguardati anche alla luce delle argomentazioni della giurisprudenza costituzionale appena richiamate, induce dunque questa Corte di cassazione a ritenere sussistente il principio, avente portata interpretativa di carattere necessariamente generale, secondo cui il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta, nell'ambito di ogni procedimento pubblico cui lo stesso sia interessato sia esso di natura amministrativa o giudiziaria, penale o civile , ha il diritto di essere interrogato o esaminato nella madrelingua e di veder redigere in tale lingua il relativo verbale. Ha altresì il diritto di ricevere tradotti nella predetta lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all'autorità investita del procedimento v., nel senso della necessità della previa richiesta dell'interessato quale strumento condizionante della tutela accordata, l'art. 9, co. 3, della legge n. 482/1999, l'art. 109, c.p.p. e la sentenza n. 62/1992 della Corte costituzionale, ed altresì la recente pronuncia di Sez. 1, n. 12974 del 17/01/2014, Princic, non massimata . 6. Ciò premesso, è necessario tuttavia anche evidenziare che, al fine di determinare l'ambito territoriale di applicazione delle disposizioni a tutela delle minoranze linguistiche storiche, l'art. 3 della legge n. 482/1999 prevede l'instaurazione di un complesso procedimento amministrativo destinato a sfociare in un provvedimento del consiglio provinciale territorialmente competente in particolare, detto consiglio, su richiesta di almeno il quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni”, provvede a delimitare detto ambito territoriale, sentiti i comuni interessati”. Laddove non sussista alcuna delle due condizioni indicate ossia, l'esistenza del quindici per cento dei cittadini o un terzo dei consiglieri comunali , e qualora sul territorio comunale insista comunque una minoranza linguistica ricompresa nell'elenco di cui all'art. 2 della medesima legge, il procedimento amministrativo inizia qualora si pronunci favorevolmente la popolazione residente, attraverso apposita consultazione promossa dai soggetti aventi titolo e con le modalità previste dai rispettivi statuti e regolamenti comunali”. Quando, infine, le minoranze linguistiche di cui all'art. 2 cit. si trovano distribuite su territori provinciali o regionali diversi, esse possono costituire organismi di coordinamento e di proposta, che gli enti locali interessati hanno facoltà di riconoscere” art. 3, legge n. 482/1999 cit. . Si deve pertanto ritenere che, al fine di rivendicare il diritto all'applicazione delle disposizioni dettate a tutela delle minoranze linguistiche storiche, il richiedente abbia a fornire la prova oltre all'appartenenza della lingua dallo stesso parlata a quelle ammesse a tutela della formale inclusione del territorio in cui lo stesso risiede tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi provinciali o comunali di cui al sopra indicato art. 3 prova da fornire mediante l'allegazione in giudizio del corrispondente provvedimento, attesa l'estraneità di quest'ultimo destinato alla realizzazione di interessi d'indole particolare e concreta all'ambito degli atti a valenza normativa generale e astratta , la cui conoscenza deve ritenersi presunta dal giudice, in forza del generale principio iura novit curia. Nel caso di specie, risulta dagli atti del procedimento che l'odierno ricorrente, a mezzo del proprio difensore, abbia espressamente richiesto l'uso della lingua sarda, nella sua variante campidanese, per la prima volta all'udienza del 11/10/2013, destinata alla trattazione dell'opposizione dallo stesso proposta avverso il provvedimento di revoca dell'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato. Non risulta, viceversa, che lo stesso abbia materialmente allegato la deliberazione del Consiglio provinciale di Oristano del 2/2/2001 espressamente menzionata nel ricorso proposto in questa sede al fine di verificare l'effettiva e valida inclusione del comune di Terralba nell'ambito territoriale interessato dalle prerogative di tutela di cui alla legge n. 482/1999. Allegazione, peraltro, mancata anche in questa sede di legittimità, in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso, ai sensi del quale deve disattendersi il ricorso per cassazione il quale, pur richiamando atti specificamente indicati ritenuti indispensabili al fine del controllo della fondatezza dell'impugnazione proposta, non ne contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723 . Tali ultime argomentazioni, nell'attestare l'impossibilità del controllo circa l'eventuale fondatezza dell'odierna impugnazione con particolare riguardo all'effettiva sussistenza di uno dei requisiti costitutivi del diritto rivendicato dal M. , impone il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.