Automobilisti e centauri, occhio: non vi fidate l’uno dell’altro!

L’utente della strada, oltre le norme cautelari specifiche, deve considerare anche l’errore o le infrazioni degli altri utenti. La condotta di guida imprudente e pericolosa di un motociclista non costituisce, quindi, causa da sola sufficiente a determinare il sinistro mortale di cui egli sia rimasto vittima, provocato da un’inversione di marcia imprudentemente operata da un automobilista, rappresentandone, semmai, una mera concausa. Il principio dell’affidamento trova limitata applicazione nell’ambito della circolazione stradale, attesa la indeterminatezza dei contesti fattuali in cui verrebbe ad operare, dovendosi comunque necessariamente tenere conto della prevedibilità ed evitabilità in concreto del sinistro.

Così ha stabilito la Quarta Sezione della Cassazione con la sentenza n. 51737 depositata il 12 dicembre 2014, rigettando il ricorso dell’imputato. L’imprudenza altrui non interrompe il nesso di causalità. La cronaca riporta frequentemente notizia di incidenti stradali tra auto e moto con esiti mortali. In genere, e per ovvie ragioni, hanno la peggio i centauri. Dalle vicende processuali che originano da questi sinistri, emerge altrettanto frequentemente una corresponsabilità – il famoso o famigerato concorso di colpa – di tutti i protagonisti dell’incidente. Nel caso oggetto della sentenza in commento, a fronte di una manovra vietata compiuta dall’automobilista, vi era la velocità eccessiva del motociclista, deceduto a causa delle gravissime lesioni riportate nello scontro. Come valutare il contributo colposo del centauro? Causa concorrente – come tale ininfluente sulla sussistenza del nesso causale – o causa esclusiva dell’incidente? Dicono gli Ermellini che l’utente della strada deve tenere in debito conto anche gli errori o i comportamenti colposi altrui il nesso di causa permane, quindi, fin tanto che sia possibile affermare che un comportamento corretto avrebbe avuto serie e apprezzabili probabilità di scongiurare l’evento. Quando la condotta colposa altrui spezza” il rapporto causa-effetto? Vien fatto di chiederselo, dato che - secondo i principi appena illustrati - la probabilità che la condotta diligente avrebbe determinato l’evitarsi dell’evento consente di muovere un rimprovero penale a colui che non l’ha posta in essere. Per trovare una risposta a questo quesito si può fare riferimento alla giurisprudenza formatasi in tema di responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni occorsi ai lavoratori. In questo specifico microsettore del diritto penale vengono valutati, quali fattori causali sopravvenuti, idonei a determinare da soli l’evento pregiudizievole, soltanto i comportamenti delle vittime di un infortunio talmente arbitrari ed, in definitiva, assurdi da non essere in alcun modo prevedibili. Ed è proprio la prova dell’imprevedibilità di un evento il difficile ostacolo da superare per ottenere il riconoscimento della frattura del nesso causale. Nessun affidamento tra utenti della strada. Il principio dell’affidamento consente a chi esercita un’attività lecita ma rischiosa di poter contare sulla perizia, prudenza e diligenza di chi pone in essere condotte identiche o simili. Se ne parla soprattutto nel contesto dell’attività medica c.d. di équipe, in cui più sanitari agiscono ciascuno nel proprio settore specialistico. In casi del genere, lo si comprenderà bene, i vari medici – che supponiamo impegnati in un delicato intervento chirurgico – devono poter contare l’uno sulle capacità dell’altro, senza dover continuamente dubitare delle rispettive abilità e competenze. Lo riconosce anche la Cassazione senza affidamento reciproco, il risultato sarebbe la paralisi di ogni azione. Se questo è vero nel settore dell’arte medica, nel quale vi è una - talvolta rigida e predefinita - ripartizione di competenze, lo è molto meno in quello della circolazione stradale. Registra, infatti, la Suprema Corte che la tendenza della giurisprudenza è quella di escludere o limitare il più possibile l’affidamento sull’altrui correttezza al volante. La ragione principale è proprio quella della indefinibilità delle condotte, alla quale si accompagna la notevole rigidità delle norme del codice della strada. In conseguenza di questo giudizio, col quale si prende realisticamente atto che mediamente siamo un popolo di guidatori indisciplinati, si esclude la possibilità di far valere la regola dell’affidamento tra gli utenti della strada. Un piccolo spiraglio, però, si intravede tra le pieghe della motivazione v’è una interessantissima apertura ragioni di sensatezza e di equità inducono, afferma la Corte, a riconoscere in qualche misura il principio di affidamento anche nella materia della circolazione stradale. Se non lo si facesse, pretendendo il rispetto di obblighi inesigibili - ammoniscono i giudici di legittimità - si farebbe dell’utente della strada un vero e proprio capro espiatorio, colpevole per definizione d’ogni possibile eventualità. La diffusione di alcune condotte di guida indisciplinate – nella sentenza si cita l’audacia piratesca dei ciclomotoristi che sorpassano a destra” – non può generare un patologico affidamento inverso l’indisciplinato verrebbe, infatti, legittimato a pretendere che gli altri utenti della strada prevedano ogni sua bravata. Il vero baluardo per la individuazione delle condotte colpevoli è la prevedibilità e l’evitabilità in concreto del sinistro. La concretizzazione del giudizio di responsabilità colposa àncora la valutazione della condotta alle effettive circostanze, di tempo e di luogo, in cui è maturata l’azione o l’omissione. Anche nel settore della circolazione stradale, dominato per lo più da norme cautelari rigide, vi devono essere spazi di valutazione delle contingenze del caso singolo. L’altrui comportamento inosservante delle norme cautelari può, quindi, a determinate condizioni da valutare caso per caso, risultare ragionevolmente imprevedibile. Non lo si esclude a priori. E già questo è un principio davvero importante per non automatizzare il giudizio di colpevolezza.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1 ottobre – 12 dicembre 2104, n. 51737 Presidente Brusco – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto 1. S.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna, indicata in epigrafe, che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Ravenna il 15.05.2009, in ordine al delitto di omicidio colposo aggravato dalle violazioni delle norme sulla disciplina stradale, concesse le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena inflitta in primo grado. 1.1 Brevemente il fatto, per una migliore intelligenza dei motivi del ricorso dalla ricostruzione del sinistro ritenuta nelle sentenze di merito, è rimasto accertato che il Sasselli, alla guida della sua autovettura AUDI 80, alle ore 14,30 circa del omissis , ripartendo da una piazzola di sosta, lungo la via del Confine, in un tratto rettilineo con doppia e separata corsia per ogni senso di marcia, con riga di mezzeria continua, aveva compiuto una manovra per dirigersi in direzione contraria a quella di partenza sostanzialmente aveva compiuto un'inversione di marcia , oltrepassando la riga di mezzeria e così impegnando la corsia opposta. Z.A. , sopraggiungendo dalla corsia opposta, a velocità sostenuta alla guida della motocicletta Suzuki, aveva violentemente colliso con la parte laterale destra dell'autovettura il gravissimo politraumatismo contusivo riportato aveva provocato il decesso di Z. . Non erano state rilevate tracce di frenata il perito ing. C. aveva riconosciuto di essere incorso in un errore laddove aveva indicato in 90 Km/h, anziché in 50 km/h, il limite di velocità vigente in quel tratto di strada. Il Tribunale, attesa l'indiscussa efficienza causale della condotta colposa dell'imputato che aveva effettuato un'inversione di marcia, per altro non consentita stante la linea di mezzeria continua, senza dare precedenza ai veicoli sopraggiungenti dalla corsia opposta, riteneva che l'altrettanto indubbia condotta di guida imprudente e pericolosa del motociclista, in ragione della velocità tenuta di circa 120 Km/h, non potesse comunque qualificarsi causa da sola sufficiente a provocare l'evento, tale da elidere il nesso con l'antecedente causale ascrivibile al S. , ravvisando in tale condotta unicamente un concorso di colpa. La Corte d'appello, adita dall'imputato, nel fare proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado, come già evidenziato, ritenuti infondati i motivi di gravame riguardante la ritenuta responsabilità colposa, ha diminuito la pena previo riconoscimento delle attenuanti generiche. 2. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione della perizia richiesta per accertare la effettiva dinamica del sinistro stradale, stante l'errore macroscopico in cui era incorso il perito nel ritenere che il limite di velocità fosse di 90 Km/h e non di 50 km/h. Si argomenta che il fondamento della affermazione della penale responsabilità del ricorrente è frutto di una serie di errori logici e di percezione che traggono la loro origine dalla risultanze della perizia espletata in sede di incidente probatorio. 2.1 Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge ed altro vizio di motivazione. Si ritiene che i giudici del merito non abbiano fatto buon governo del disposto normativo dell'art. 41, comma 1, cod. pen. essendo configurabile nel caso di specie l'ipotesi di cui al 2 comma dello stesso articolo. Si argomenta che l'eccessiva velocità tenuta dal motociclista, rispetto al limite ivi imposto, era circostanza assolutamente imprevedibile per il conducente dell'autovettura di conseguenza non ha consentito al SASSELLI, nel momento in cui compiva la manovra di immissione, di vedere la moto, né di percepirne in qualche modo il sopraggiungere del mezzo. Se la vittima avesse mantenuto la velocità consentita il ricorrente avrebbe sicuramente avvistato la moto, anche se lontana, e l'evento non si sarebbe verificato. L'affermazione della Corte d'appello secondo cui, anche se la vittima avesse osservato il limite di velocità, l'impatto tra i veicoli si sarebbe, comunque, verificato per la conseguenza della repentina e vietata invasione di corsia, è in contraddizione con quanto affermato dal CTU a pag, 20 del suo elaborato i tempi e gli spazi che hanno caratterizzato verosimilmente il sinistro consentono di affermare che il motociclista avrebbe potuto arrestarsi ed evitare l'urto solo se avesse tenuto una velocità consona al limite vigente e avesse iniziato a frenare appena l'auto fosse ripartita dalla piazzola . 2.2 Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge in ordine alla determinazione della pena accessoria della sospensione della patente di guida e correlato vizio di motivazione evidenziandosi che alla concessione delle attenuanti generiche, non è conseguita la diminuzione anche del periodo di sospensione della patente di guida fissata in due anni. Ritenuto in diritto 3. I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto del ricorso. Quanto al primo motivo, si osserva che l'istituto della rinnovazione del dibattimento in appello costituisce istituto eccezionale che deroga al principio di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado, per cui ad esso può e deve farsi ricorso soltanto quando il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile ai fini del decidere nel senso che non sia altrimenti in grado di farlo allo stato degli atti . La determinazione del giudice, in proposito, è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata v. ex pluribus Cass. 4^, 10 giugno 2003, Vassallo . E la Corte di merito ha spiegato che si è convinta della superfluità della assunzione della prova richiesta dalla difesa nuova perizia per accertare la effettiva dinamica del sinistro in ragione del fatto che il perito d'ufficio, in dibattimento, ha spiegato il motivo per cui era incorso nell'errore di ritenere che la velocità consentita in quel tratto di strada fosse di 90 kmh anziché di 50, e tale dato fatuale è stato tenuto in conto sia dal Tribunale che dalla Corte distrettuale nella valutazione della responsabilità dell'imputato. A questo si aggiunga che il sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato su una richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere esercitato sulla concreta rilevanza dell'atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell'ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato v. Cass. S.U. 23 novembre 1995, P.G. in c. Fachini . Ed in ogni caso va per completezza rivelato che il ricorrente, pur deducendo formalmente la mancata assunzione di prove decisive quale effetto di un immotivato diniego opposto alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nella sostanza prospetta - come si diceva sopra - una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza impugnata o, quanto meno, un'interpretazione alternativa dei medesimi, indugiando in considerazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità. 3.1 In ordine al secondo motivo, avente ad oggetto la denuncia di violazione di legge e vizio motivazionale, questa Corte di legittimità ha enunciato, in maniera uniforme il principio, ai sensi del quale, in tema di reati colposi, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma, a contenuto cautelare, violata avrebbe certamente evitato l'evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno Sez. 4, n. 19512/2008, Rv. 240172 . Più in particolare, trattando del tema della c.d. causalità della colpa, questa Corte ha avuto modo di evidenziare come essa si configuri, non solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico, bensì anche quando una condotta appropriata dell'agente avrebbe avuto apprezzabili e significative probabilità di scongiurare il danno. Su tale assunto la riflessione giuridica è sostanzialmente concorde, dovendosi registrare solo differenti sfumature in ordine al livello di probabilità richiesto per ritenere l’evitabilità dell'evento. In ogni caso, non si dubita che sarebbe irrazionale rinunziare a muovere l'addebito colposo nel caso in cui l'agente abbia omesso di tenere una condotta osservante delle prescritte cautele che, sebbene non certamente risolutiva, avrebbe comunque significativamente diminuito il rischio di verificazione dell'evento o per dirla in altri, equivalenti termini avrebbe avuto significative, non trascurabili probabilità di salvare il bene protetto. Su questa scia interpretativa va considerato che l'utente della strada è tenuto, al dita delle norme cautelari specifiche, a considerare anche l'errore o la violazione di norme o comportamenti cautelari degli altri utenti, per cui, come nel caso di specie, laddove la manovra di inversione di marcia era vietata l'imputato avrebbe dovuto considerare che il motociclista, consapevole di avere la via libera, avrebbe potuto violare i limiti di velocità. 3.2. Il caso in esame, sotto tale profilo, in ragione del concomitante comportamento di guida colposo della persona offesa, come ritenuto nella sentenza impugnata, propone una complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative. In breve, si tratta di stabilire se il principio di affidamento trovi applicazione nell'ambito dei reati colposi commessi a seguito di violazione di norme sulla circolazione stradale. Il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del rischio consentito dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l'affidamento è in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste. Nell'ambito della circolazione stradale esso assicura la regolarità della circolazione, evitando l'effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze. Il principio, d'altra parte, si connette pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l'obbligo di rapportarsi alle altrui condotte esso è stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicità colposa. Pacificamente, la possibilità di fare affidamento sull'altrui diligenza viene meno quando l'agente è gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole cautelari che disciplinano la sua attività. La tendenza della giurisprudenza di legittimità è quella di escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza. Si afferma, così, che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente. In conseguenza, è stata confermata l'affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l'auto in prossimità dell'incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l'autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all'obbligo di concedere la precedenza Da ultimo Cass. IV, 28 marzo 1996, Rv. 204451 . Su tali basi si è affermato, ad esempio, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l'automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell'attraversamento Cass. IV, 1.8 ottobre 2000, Rv. 218473 e che l'obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente Cass. IV, 19 giugno 1987, Rv. 176415 . In qualche caso a tale ampia configurazione della responsabilità è stato apposto il limite della imprevedibilità Cass. IV, 24 settembre 2008 Rv. 241476 , che talvolta si richiede sia assoluta Cass. IV, 3 giugno 2008 Rv. 241004 . L'obbligo di moderare adeguatamente la velocità in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella normale prevedibilità degli eventi, oltre il quale non è consentito parlare di colpa Cass. IV, 8 marzo 1983, Rv. 158790 . Si tratta allora di comprendere se l'atteggiamento rigorista abbia una giustificazione o debba essere invece temperato con l'introduzione, entro limiti ben definiti, del principio di affidamento. Senza dubbio quello della circolazione stradale è un contesto meno definito di quello del lavoro in equipe con riferimento alla colpa professionale dei medici , ove il principio in parola trova pacifica applicazione. Si configura, infatti, un'impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza. D'altra parte, il codice della strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l'obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari. Ad esempio, l'art. 141 impone di regolare la velocità in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni ostacolo prevedibile . L'art. 145 pone la regola della massima prudenza nell'impegnare un incrocio. L'art. 191 prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque già iniziato l'attraversamento della carreggiata. Tali norme tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti. D'altra parte, come si è accennato, le condotte imprudenti nell'ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile. Tali norme, tuttavia, non possono essere lette in modo tanto estremo da enucleare l'obbligo generale di prevedere e governare sempre e comunque il rischio da altrui attività illecita, vi sono aspetti della circolazione stradale che per forza implicano un razionale affidamento di fronte ad una strada il cui il senso di circolazione sia regolato non si può pretendere che l'automobilista si paralizzi nel timore che alcuno possa non attenersi a tale disciplina. Insomma, un'istanza di sensatezza del sistema e di equità induce con immediatezza a cogliere che il principio di affidamento debba essere in qualche guisa riconosciuto nell'ambito della circolazione stradale. La soluzione contraria non solo sarebbe irrealistica, ma condurrebbe a risultati non conformi al principio di personalità della responsabilità, prescrivendo obblighi talvolta inesigibili e votando l'utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio. Né può esercitare un'influenza contraria come sembra ritenere il ricorrente il fatto che gli altrui comportamenti imprudenti siano tanto gravi quanto diffusi, come quello di ciclomotoristi che sorpassano sulla destra audacemente veicoli fermi. Un tale approccio condurrebbe, addirittura, ad un effetto paradossale quello di svuotare la forza cogente della disciplina positiva e di generare un patologico affidamento inverso da parte dell'agente indisciplinato sulla altrui attenzione anche nel prevedere le proprie audaci intemperanze comportamentali. Per tentare di definire la concreta portata del principio nell'ambito della circolazione occorre considerare che i contesti fattuali possibili sono assolutamente indeterminati e non è quindi realistico che l'affidamento concorra a definire i modelli di agenti, le sfere di rischio e di responsabilità in modo categoriale, come invece accade nel ben più definito contesto del lavoro in equipe e, entro confini peraltro assai limitati, nell'ambito della sicurezza del lavoro. Anche nell'ambito della circolazione stradale che qui interessa, è stata ripetutamente affermata la necessità di tener conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l'agente abbia avuto qualche possibilità di evitare il sinistro la prevedibilità ed evitabilità vanno cioè valutate in concreto Cass. IV, 25 ottobre 1990, Rv. 185559 Cass. IV, 9 maggio 1983, Rv. 159688 Cass. V, 2 febbraio 1978, Rv. 139204 . Tali enunciazioni generali abbisognano di un ulteriore chiarimento, già del resto ripetutamente proposto di recente da questa Corte Cass. IV, 06 luglio 2007, Rv. 237050 Cass. IV, 7 febbraio 2008, Rv. 239258 l'esigenza della prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiché in tale ambito la prevedibilità dell'evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata ma anche nell'ambito della colpa specifica la prevedibilità vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un'indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto. Certamente tale spazio valutativo è pressoché nullo nell'ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa ma nell'ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi è spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilità ed evitabilità dell'esito antigiuridico da parte dell'agente modello. Non può essere escluso del tutto che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilità della condotta di guida dell'altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione non può essere meramente ipotetica, congetturale, ma deve di necessità fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che l'apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato all'imponderabile soggettivismo del giudice. L'esigenza di una indagine concreta, si è pure affermato dalla giurisprudenza da ultimo indicata, non viene meno neppure quando, come nella circolazione stradale, la condotta inosservante di altri soggetti non costituisce in sé una contingenza imprevedibile si è chiarito che lo spazio per l'apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida inosservante dell'altro conducente è ristretto e va percorso con particolare cautela. Ciò nonostante, l'esigenza di preservare la già evocata dimensione soggettiva della colpa id est la concreta rimproverabilità della condotta ha condotto questa Corte ad enunciare che, come si è prima esposto, le particolarità del caso concreto possono dar corpo ad una condotta realmente imprevedibile. 3.3 A tali principi si ispira la sentenza impugnata quando, nell'esaminare il caso, evoca la ragionevole prevedibilità e la rapporta, con implicita evidenza, alle particolarità del caso concreto. L'imputato aveva avviato la manovra non consentita di svolta per cambiare direzione di marcia, dovendosi, però, rappresentare che avrebbe potuto tagliare la strada ad altro utente sopraggiungente dalla direzione opposta, ancorché a velocità non consentita nel caso di specie, l'accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito non può essere qui posto in discussione. Il S. , già agendo in violazione del codice della strada, non ha ben valutato, negligentemente, il sopravvenire del motociclista e, quindi, anziché desistere dalla manovra ed evitare lo scontro ha fidato nelle sue capacità di prontezza di riflessi di effettuare immediatamente l'inversione di marcia. In tale situazione di fatto appare adeguatamente supportato il giudizio di ragionevole prevedibilità della condotta di guida della vittima. La Corte distrettuale ha ravvisato una situazione di pericolo, determinata dal cambiamento di senso di marcia, manovra che, sebbene vietata, sotto il profilo di colpa generica, esigeva, comunque, da parte del conducente la massima prudenza e l'adozione di tutte cautele, al fine di evitare conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza della circolazione. Il conducente avrebbe dovuto accertarsi con ogni mezzo che non sopraggiungessero altri veicoli e tale ispezione doveva proseguire per tutte le fasi della manovra. 3.4 Quanto al terzo motivo si evidenzia che la misura della durata della sospensione della patente di guida non comporta una valutazione correlata alla quantificazione della pena per il reato base ma va determinata, in via autonoma, dal giudice ai sensi dell'art. 222 del C.d.S. con riferimento a parametri di gravità del fatto contestato, per cui la concessione delle attenuanti generiche ai fini della quantificazione della pena non determina la diminuzione della sanzione amministrativa. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.