Il giudice ordina, l’uomo rifiuta, ma per una condanna ci vuole qualcosa in più

Nell’ipotesi in cui, per la natura stessa del provvedimento giudiziale, la sua esecuzione non dipenda necessariamente dal comportamento dell’obbligato, la mera inerzia o il rifiuto da quest’ultimo opposto non sono di per sé idonei a realizzare alcuna forma di elusione, occorrendo, al riguardo, una condotta ulteriore appositamente posta in essere, volta ad impedire la realizzazione del risultato concreto cui tende il comando giudiziale.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 51668, depositata l’11 dicembre 2014. Il caso. In primo e secondo grado gli imputati venivano condannati in concorso per il reato di cui all’art. 388 c.p., per avere eluso un provvedimento del giudice civile, dotato di efficacia esecutiva, che autorizzava la proprietaria dell’immobile loro locato, anche attraverso la forzatura della porta ed il cambio di serratura, ad entrare nell’abitazione al fine di effettuare delle riparazioni in seguito ad una infiltrazione di acqua proveniente dal tetto, ordinando agli stessi di consentire l’accesso. Gli imputati, che fino a quel momento si erano opposti, alla fine cedevano dopo l’intervento delle forze dell’ordine. La fattispecie incriminatrice. La norma di cui all’art. 388 c.p. così come sostituita dall’art. 3, comma 21, l. n. 94/2009, dispone che chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi l'Autorità giudiziaria, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi alla ingiunzione di eseguire la sentenza, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro. La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito . Come è noto, per la configurabilità del reato di cui all’art. 388 c.p. è sufficiente un solo atto che riveli la consapevole volontà di eludere il dovere di rispettare le decisioni del giudice. La norma, invero, come peraltro ricordato dalla sentenza in commento, tutela l’esigenza costituzionale all’effettività della giurisdizione. In altri termini, dunque, la ratio legis è quella di tutelare l'esigenza che i provvedimenti giudiziari trovino concreta esecuzione. L’elusione della esecuzione di un provvedimento è condotta, secondo la Corte, diversa e più trasgressiva rispetto alla mera inottemperanza. Se così non fosse, il legislatore avrebbe richiesto, per la configurabilità del reato in questione, una semplice inosservanza, così come prescritto da altre norme art. 389 c.p., art. 650 c.p. . I ricorrenti rilevavano, nel proprio atto d’impugnazione la violazione dell’art. 388 c.p., stante la insussistenza del reato, in quanto il rifiuto, peraltro temporaneo, di consentire l’accesso della proprietaria all’abitazione non poteva essere inteso come condotta fraudolenta nel senso indicato dalla norma. La Corte accoglie il ricorso. Il contributo alla esecuzione del provvedimento. Nel corpo della propria decisione, rammenta come secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite sentenza n. 36692/2007 il mero rifiuto di ottemperare un provvedimento giudiziale non costituisce un comportamento elusivo penalmente rilevante ai sensi dell’art. 388 c.p. e ciò a meno che la natura personale delle prestazioni imposte, ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento, esigano per l’esecuzione il contributo dell’obbligato . Nel caso di specie, il provvedimento cautelare emesso dal giudice civile, era immediatamente esecutivo e consentiva, pertanto, alla proprietaria l’accesso senza alcun permesso o contributo del locatario. Per questi motivi, affermano i giudici di legittimità, il ritardo dovuto al rifiuto degli imputati di consentire l’accesso, non può essere ritenuto un comportamento fraudolento tale da integrare la condotta prevista dalla norma. Invero, si sarebbe potuti arrivare al medesimo risultato - quello di entrare nell’abitazione e procedere ai lavori manutentivi - a prescindere dall’apporto collaborativo dei locatari, stante l’immediata esecutività del provvedimento. Tale comportamento, dunque, consistente nell’inottemperanza all’obbligo di facere imposto dal giudice non integra il reato di cui all’art. 388 c.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 novembre – 11 dicembre 2014, n. 51668 Presidente Ippolito – Relatore de Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 11 marzo 2014 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ferrara in data 14 dicembre 2010, che dichiarava I.R.S. e S.S. colpevoli del reato di cui agli artt. 110, 388, comma 2, c.p., e, concesse le attenuanti generiche, li condannava ciascuno alla pena di euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 2. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità degli imputati per avere eluso un provvedimento del giudice civile che disponeva misure cautelare in difesa della proprietà, ed in particolare il provvedimento emesso l'8 maggio 2007 ai sensi dell'art. 700 c.p.c., dotato di efficacia esecutiva, che autorizzava Luciana Zen, anche con la forzatura della porta ed il cambio della serratura, ad entrare nell'immobile di sua proprietà, detenuto in locazione dagli imputati, al fine di effettuare delle riparazioni in seguito ad una infiltrazione di acqua proveniente dal tetto, ordinando agli stessi di consentire l'accesso all'appartamento. Il provvedimento era stato notificato preventivamente agli imputati, che si erano rifiutati di prendere visione e contezza dell'atto loro mostrato e spiegato dall'Avv. Marina Gionchetti, inveendo pesantemente contro i presenti e manifestando in tal modo la loro volontà di non consentirne l'esecuzione. Soltanto dopo l'intervento delle forze dell'ordine, richiesto dal predetto Avvocato, gli imputati - che peraltro avevano fatto ritorno in Ferrara nonostante si fossero trasferiti altrove - si decisero, dopo che l'ordine del Giudice era stato illustrato anche alla pattuglia intervenuta nell'occasione, a far entrare nell'appartamento prima l'agente della Polizia di Stato e, subito dopo, tutti gli altri. 3. Avverso la su indicata decisione della Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, deducendo la violazione dell'art. 388 c.p. ed il relativo vizio di motivazione, sul rilievo che il ritardo, anche se apprezzabile, con il quale si è consentito l'accesso all'unità abitativa non deve intendersi come una condotta fraudolenta. Si evidenzia, al riguardo, che, sebbene i ricorrenti abbiano tenuto un comportamento forse eccessivo e polemico, spiegabile con la drammatica situazione della persona che teme di perdere il godimento di un bene fondamentale, il mero rifiuto, peraltro temporaneo, dì consentire l'accesso al bene non può configurare il reato in esame. 3.1. Con memoria difensiva pervenuta in Cancelleria il 4 novembre 2014 sono stati ribaditi gli argomenti già esposti in ricorso, evidenziando come, anche alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale verificatasi riguardo alla norma incriminatrice in oggetto - che non sanziona il rifiuto o la disobbedienza, ma la condotta fraudolenta del destinatario del dictum del giudice civile - il provvedimento giudiziario, pur con un certo ritardo, sia stato posto in esecuzione, mentre non è facilmente intuibile la ragione per la quale il ritardo sia stato poi inteso come condotta elusiva del provvedimento del giudice civile. 4. Con memoria depositata in Cancelleria il 6 novembre 2014 nell'interesse della parte civile, Luciana Zen, il difensore ha illustrato ex art. 121 c.p.p. una serie di argomentazioni a sostegno della declaratoria di manifesta infondatezza dei ricorso, muovendo da una puntuale ricostruzione dei fatti accertati in giudizio e replicando alle obiezioni poste dalla difesa degli imputati con il richiamo ai principali passaggi motivazionali che hanno dato corretta applicazione ai relativi principii di diritto in entrambe le decisioni di merito. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e va pertanto accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. Come è stato precisato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte Sez. U., n. 36692 del 27/09/2007, dep. 05/10/2007, Rv. 236937 v., inoltre, Sez. 6, n. 6863 del 15/01/2009, dep. 17/02/2009, Rv. 243530 Sez. 5, n. 49476 del 09/10/2013, dep. 09/12/2013, Rv. 257567 , il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'art. 388, comma secondo, cod. pen., non costituisce un comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che la natura personale delle prestazioni imposte, ovvero la natura interdittiva dello stesso provvedimento, esigano per l'esecuzione il contributo dell'obbligato. L'interesse tutelato dalla su citata disposizione incriminatrice, infatti, non è l'autorità in sè delle decisioni giurisdizionali, bensì l'esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione. 3. Nel caso in esame, come risulta dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, non è revocabile in dubbio che l'obbligo giudizialmente imposto a carico degli attuali ricorrenti per effetto del provvedimento cautelare emesso in data 8 maggio 2007 poteva essere eseguito coattivamente senza la collaborazione attiva dei soggetti obbligati, tanto che la Corte di Appello ha dato atto che il provvedimento del Giudice civile era immediatamente esecutivo, sicchè la proprietaria e le persone che la rappresentavano ben avrebbero potuto entrare nell'unità abitativa mediante la forzatura della porta ed il successivo cambio della serratura. In applicazione dell'enunciato principio di diritto, pertanto, deve escludersi che il ritardo dovuto al rifiuto di collaborazione opposto dagli imputati all'esecuzione del provvedimento d'urgenza adottato dal Giudice civile, pur manifestato in forme sgradevoli ed inurbane per non aver consentito l'immediato accesso nell'unità abitativa dei proprietari, possa valere ad integrare gli estremi del reato contestato, a nulla rilevando, in contrario, il fatto che, come evidenziato nell'impugnata sentenza, gli imputati abbiano fatto ritorno nel condominio proprio quando le operazioni di accesso forzato stavano per compiersi e, incuranti della presenza sia degli incaricati dalla proprietaria che di ben tre avvocati, si siano chiusi all'interno senza voler sentire ragioni. Oggetto della tutela giuridica apprestata dalla norma incriminatrice in esame, infatti, come osservato nella su citata pronunzia delle Sezioni Unite, non è il mancato rispetto del provvedimento giudiziale in sè, bensì la elusione della sua esecuzione, termine che evoca una condotta ben più trasgressiva della mera inottemperanza, in quanto, in caso contrario, il legislatore avrebbe definito la condotta delittuosa in termini di inosservanza , come ha fatto nell'art. 389 c.p., che sanziona la inosservanza di pene accessorie , ovvero nell'art. 509 c.p., che sanziona la inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro , o, ancora, nell'art. 650 c.p., che sanziona la inosservanza dei provvedimenti dell'autorità . Del tutto estraneo alla fattispecie in questione, sotto altro ma connesso profilo, risulta, secondo la giurisprudenza sopra citata, la considerazione di eventuali pregiudizi arrecati al beneficiario del provvedimento interinale non rispettato. Ne discende, conclusivamente, che nell'ipotesi in cui, per la natura stessa del provvedimento giudiziale, la sua esecuzione non dipenda necessariamente dal comportamento dell'obbligato, la mera inerzia, o il rifiuto da quest'ultimo opposto, non sono per sè idonei a realizzare alcuna forma di elusione, occorrendo, al riguardo, una condotta ulteriore appositamente posta in essere, volta ad impedire la realizzazione del risultato concreto cui tende ìl comando giudiziale in tal senso v., già prima dell'intervento regolatore delle Sezioni Unite, Sez. 6, n. 1054 del 12/11/1998, dep. 26/01/1999, Rv. 213909 . Nel caso in esame è evidente, per quanto si è già avuto modo di rilevare, che il comportamento dei locatari, consistente nell'inottemperanza all'obbligo di facere derivante dall'ordine giudiziale di consentire l'accesso all'appartamento della proprietaria, non integra il reato oggetto del tema d'accusa poiché allo stesso risultato poteva pervenirsi legalmente a prescindere dalla loro collaborazione. 4. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, di conseguenza, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso in Roma, lì, 25 novembre 2014.