È la complessiva condotta persecutoria ad integrare la soglia della tipicità del reato

Nel delitto di stalking ex art. 612-bis c.p. è lo stillicidio persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla campagna persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato.

Lo ha stabilito la sez. V Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 51718, depositata l’11 dicembre 2014, che pone l’accento alla stretta connessione della fattispecie penale di atti persecutori, descritta dall’art. 612- bis c.p., con la repressione del fenomeno criminologico stalking. Il caso di specie e i motivi di ricorso in Cassazione. Un uomo veniva condannato in primo e in secondo grado per i reati di atti persecutori, lesioni aggravate, porto ingiustificato di coltello e diffamazione continuata ai danni della ex. Proponeva ricorso in Cassazione assumendo l’erronea qualificazione dei fatti contestati nel capo relativo al delitto di stalking in quanto l’evento lesivo dovrebbe imputarsi ad una singola azione, in particolare quella del ferimento della persona offesa con un coltello inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata dimostrazione della configurabilità del reato di cui all’art. 612- bis c.p. in una ipotesi di accertata litigiosità tra i due protagonisti della vicenda, nonché a fronte di risultanze processuali che evidenziavano che la vittima avesse continuato a contattare l’imputato nel corso della presunta campagna persecutoria. Infine, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del concorso apparente di norme tra il reato di atti persecutori e quello di diffamazione, che secondo il ricorrente dovrebbe ritenersi assorbito nel primo atteso che le condotte diffamatorie sono state contestate tra gli atti costitutivi dello stillicidio persecutorio posto in essere dall’imputato. Sull’alveo delle tipicità del delitto di stalking. La Suprema Corte, nel ritenere infondato il primo motivo del ricorso, ricorda che i giudici di seconde cure hanno ampiamente evidenziato che la condotta dell’imputato si sia sviluppata lungo una linea di progressiva maggiore intensità, culminata nell’aggressione fisica della vittima, episodio che non aveva comunque esaurito la campagna persecutoria essendosi registrato almeno un’altra molestia qualche mese dopo. Ciò basterebbe per gli Ermellini – anche a restare nell’ottica proposta dal ricorrente – per dimostrare l’inconsistenza delle censure mosse con il ricorso in quanto è pacifico che almeno due condotte sono riconducibili nell’alveo della tipicità ed il consolidato indirizzo della Suprema Corte è nel senso che anche due sole condotte descritte dall’art. 612- bis c.p. sono idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice Cass. n. 5206/14 Cass. n. 4568/13 . Per gli Ermellini, tuttavia, è l’impostazione del ricorso a risultare destituito di fondamento laddove assumerebbe erroneamente che i singoli atti persecutori debbano essere autonomamente produttivi di uno degli eventi alternativamente previsti nel delitto in questione. Trattandosi di reato abituale, però, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza penale ed in tal senso lo spettro dell’incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici di per sé già rilevanti penalmente , bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo su piano oggettivo. È dunque lo stillicidio persecutorio ad assurgere a specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla campagna persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio – magari più eclatante dei precedente, com’è nel caso di specie – e non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è dedicata, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612- bis c.p A tale riguardo, si è in precedenza affermato che la frantumazione delle condotte persecutorie precedenti all’entrata in vigore dell’art. 612-bis c.p. ad opera del d.l. n. 23.2.2009, convertito in l. n. 38/2009 in distinte ipotesi di reato – molestie, minacce, violenza privata – dimostra come con l’introduzione della fattispecie il legislatore abbia voluto colmare un vuoto di tutela rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. Si è preso atto che la violenza declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria, per cui mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità psico-fisica, attraverso la punizione di condotte che precedentemente apparivano inoffensive e, dunque, non sussumibile in alcuna fattispecie criminale o di figure di reato minori, quali a minaccia o la molestia alle persone Cass., n. 18999/14 . Che il comportamento dell’imputato rispecchiasse il normale andamento del fenomeno criminologico dello stalking è dimostrato dal fatto che, dopo la ricezione della diffida, l’imputato per alcune settimane abbia interrotto la sua campagna, l’ha poi ripresa con maggiore virulenza, dimostrando così di non aver in alcun modo desistito dalle sue originarie intenzioni, ma solo di aver temporaneamente ceduto alla prudenza, accumulando la frustrazione che ha accentuato le successive manifestazioni di aggressività. Peraltro, i giudici d’appello hanno evidenziato come lo stato di alterazione psicologica della persona offesa si fosse realizzato prima del segmento persecutorio più violento quello dell’aggressione con il coltello , ma già attraverso la prima serie di condotte moleste poste in essere dall’imputato. Sulla sussistenza del delitto di atti persecutori in caso di reciprocità delle molestie. La sentenza in commento rigetta il ricorso anche al supposto e non dimostrato rapporto dialogante” tra i due protagonisti della vicenda, in ragione della presunta reciprocità dei contatti. Anche in questo caso si ricorda che l’immagine del fatto tipico che il ricorrente ha inteso proiettare – quella in cui la vittima è a tal punto prostrata dalla campagna persecutoria da non essere in grado di reagire – è un mero stereotipo che non ha addentellato alcuno nel testo normativo. Invero la soglia di offensività della fattispecie è assai più arretrata di quanto il ricorrente stesso dimostri di voler credere in quanto, per giurisprudenza di legittimità costante, la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Cass. n. 17698/2010, Cass. n. 4568/13 Cass. n. 36737/2012 . Sul mancato assorbimento degli episodi di diffamazione negli atti persecutori. La Cassazione ritiene infine che il delitto di atti persecutori e quello di diffamazione sono affatto diversi essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle fattispecie incriminatrici e dunque possono concorrere, anche qualora le condotte diffamatorie siano state considerate integrative di una delle molestie costitutive della campagna persecutoria. Invero, vi è la tendenza giurisprudenziale di ampliare il ventaglio delle condotte moleste ricadenti nell’ombrello della punibilità dell’art. 612- bis c.p. includendovi qualunque azione molesta che anche indirettamente possa nuocere la serenità e tranquillità della vittima, quali appunto le diffamazione. Si è previsto, in particolare, che il comportamento di chi, oltre a reiterate molestie telefoniche in danno dell’ex compagna, porti avanti aggressioni verbali alla presenza di testimoni e iniziative gravemente diffamatorie presso i suoi datori di lavoro per indurli a licenziarla, integra il reato di atti persecutori Cass. n. 34015/2010 . Invece, nello stesso procedimento, il Tribunale del riesame aveva annullato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ex art. 282- ter c.p.p., ritenendo di non ravvisare il necessario compendio indiziario in materia di stalking, distinguendo gli atti persecutori dall’altro caso, consistente in un fatto di diffamazione, escludendo quest’ultimo dal novero degli atti di minaccia o molestie rilavanti ex art. 612- bis c.p., anche ai fini dell’applicazione della misura cautelare. In definitiva delle due l’una o si contesta al soggetto, oltre che il reato di atti persecutori anche la diffamazione ex art. 595 c.p. laddove i fatti lesivi dell’onore e della reputazione assumono carattere autonomo e non si inquadrino all’interno del disegno persecutorio portato avanti dallo stalker. Oppure si considera la diffamazione quale tratto degli atti persecutori ricompreso nel ventaglio delle condotte moleste che integrano l’abitualità del delitto di stalking. Ma in quest’ultimo caso non si può, come invece ritiene la sentenza in commento, imputare al ricorrente anche il reato di diffamazione altrimenti per lo stesso fatto diffamatorio il soggetto finisce per essere condannato due volte, sia pure una volta attraverso la sua ricomprensione della specifica offensività della campagna persecutoria nel suo complesso. L’autonoma valutazione del raggiungimento della soglia della tipicità del delitto di atti persecutori, attraverso l’esame complessivo delle singole condotte stalkizzanti, non può portare, attraverso il ritenuto concorso con quello di diffamazione, alla sostanziale elusione del ne bi in idem .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 novembre – 11 dicembre 2014, n. 51718 Presidente Lombardi – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Brescia confermava la condanna di T. M. per i reati di atti persecutori, lesioni aggravate, porto ingiustificato di coltello e diffamazione continuata, tutti commessi ai danni di P.M. dopo l'interruzione di una relazione sentimentale intrattenuta con la medesima. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi. 2.1 Con il primo deduce l'errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione, rilevando innanzi tutto l'erronea qualificazione dei fatti contestati al capo a come atti persecutori, nonostante l'evento lesivo tipico di tale reato dovrebbe imputarsi, secondo le stesse dichiarazioni della persona offesa, ad una singola azione e in particolare a quella del ferimento con un coltello della P. contestata al capo b . In tal senso la Corte territoriale avrebbe infatti omesso di considerare che la prima serie di molestie attribuite all'imputato, sempre secondo quanto dichiarato dalla vittima, si era interrotta dopo che il medesimo aveva ricevuto una diffida da parte di un legale su iniziativa della stessa P Sotto altro profilo il ricorrente lamenta la genericità della motivazione del provvedimento impugnato, che si sarebbe limitato a riproporre le argomentazioni di quello appellato, senza confutare specificamente le doglianze proposte con il gravame di merito e senza fornire adeguata dimostrazione della configurabilità del reato in una ipotesi di accertata litigiosità tra i due protagonisti della vicenda, nonché a fronte di emergenze processuali che evidenziavano come la persona offesa avesse continuato a contattare l'imputato nel corso della presunta campagna persecutoria. 2.2. Analoghi vizi vengono denunciati con il secondo motivo in relazione al ritenuto concorso tra il reato di atti persecutori e quello di diffamazione, che secondo il ricorrente dovrebbe invece ritenersi assorbito nel primo atteso che le condotte diffamatorie sono state contestate tra gli atti costitutivi della campagna persecutoria di cui l'imputato si sarebbe reso protagonista. 2.3 Con il terzo ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta ulteriori vizi della motivazione della sentenza impugnata in merito al rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale proposta con il gravame di merito e ad oggetto l'acquisizione dei tabulati telefonici dell'imputato e della persona offesa ed alla disposizione di una perizia al fine di determinare l'esatto numero delle presunte molestie telefoniche che la seconda avrebbe subito. Accertamento che sarebbe decisivo sia ai fini dell'esatta ricostruzione del fatto, sia della valutazione della sua gravità in funzione della determinazione della pena e che invece la Corte territoriale avrebbe negato sulla base di una motivazione generica ed apodittica. Considerato in diritto 1.Pregiudiziale è l'esame del terzo motivo relativo al rigetto delle istanze istruttorie proposte ex art. 603 c.p.p., il quale è peraltro inammissibile sotto diversi profili. 1.1 In proposito va evidenziato che la Corte territoriale ha innanzi tutto dichiarato inammissibili le richieste istruttorie del ricorrente, in quanto proposte non già con il gravame di merito - come affermato nel ricorso - bensì con motivi nuovi intempestivamente presentati per il mancato rispetto del termine di cui all'art. 585 comma 4 c.p.p. Tale statuizione non ha costituito oggetto di specifica doglianza, avendo concentrato il ricorrente le proprie censure sull'ulteriore motivazione resa dai giudici d'appello per completezza e al solo fine di evidenziare come in ogni caso tali richieste non avrebbero potuto essere accolte. In tal senso il motivo di ricorso si rivela dunque generico non risultando correlato all'effettivo contenuto della decisione impugnata. 1.2 Ad ogni buon conto - e per analogo desiderio di completezza - va sottolineato come la sentenza abbia precisato che i tabulati di cui si chiedeva l'acquisizione già erano presenti agli atti - affermazione che il ricorrente ha confutato in maniera soltanto generica - e che gli invocati accertamenti peritali dovevano ritenersi innanzi tutto superflui proprio perché l'acquisizione dei tabulati consentiva al giudicante una diretta verifica dei flussi telefonici. L'apparato giustificativo con cui la Corte territoriale ha dunque giustificato la propria decisione è ben più ampia ed articolata di quella cui si riferisce la censura del ricorrente, la quale dunque sarebbe comunque inammissibile per difetto di specificità, limitandosi alla critica di una sola delle rationes decidendi autonome ed autosufficienti poste a fondamento della decisione Sez. 3, n. 30021 dei 14 luglio 2011, F., Rv. 250972 . 2. Venendo agli altri motivi di ricorso, manifestamente infondato risulta il primo. 2.1 La Corte territoriale ha infatti ampiamente evidenziato come la condotta dell'imputato si sia sviluppata lungo una linea di progressiva maggiore intensità, culminata nell'aggressione fisica della vittima consumatasi il 27 luglio 2012, episodio che non aveva esaurito comunque la campagna persecutoria essendosi registrato almeno un'altra molestia nel novembre dello stesso anno. 2.2 Già tale ricostruzione dei fatti invero incontestata dal ricorrente sarebbe sufficiente per dimostrare l'inconsistenza delle censure mosse con il ricorso. Ed infatti anche a volerne per il momento seguire l'impostazione, è pacifico che almeno due condotte riconducibili all'alveo di tipicità del delitto contestato sono state consumate successivamente alla diffida inviata all'imputato dalla vittima per mezzo di un legale. E' allora sufficiente ricordare come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall'art. 612-bis c.p., come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice ex multis Sez. 5, n. 46331 del 5 giugno 2013, D. V., Rv. 257560 . 2.3 In realtà è proprio l'impostazione che ispira il motivo di ricorso a risultare destituita di qualsiasi fondamento. Ed infatti ciò che il ricorrente erroneamente assume è sostanzialmente che i singoli atti persecutori debbano autonomamente essere produttivi di uno degli eventi tipici del delitto in questione. Trattandosi di reato abituale, però, è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l'essenza dell'incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici di per sé già rilevanti penalmente , bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo. 2.4 E' dunque lo stillicidio persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla campagna persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza dei reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio - magari più eclatante dei precedenti com'è nel caso di specie - è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è dedicata, giacchè alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell'art. 612-bis citato. 2.5 II fatto dunque che dopo la ricezione della diffida l'imputato abbia per alcune settimane interrotto la sua campagna, per poi riprenderla con maggior virulenza dimostrando così di non aver in alcun modo desistito dalle sue intenzioni originarie, ma solo di aver temporaneamente ceduto alla prudenza, accumulando una frustrazione che ha accentuato le successive manifestazioni di aggressività , non è in alcun modo interpretabile come una cesura nella continuità della sua condotta, esattamente come ritenuto dalla sentenza impugnata. 2.6 Peraltro, ad ulteriore conferma della manifesta infondatezza della censura, deve evidenziarsi che in realtà i giudici d'appello hanno altresì evidenziato p. 15 della sentenza che lo stato di alterazione psicologica della persona offesa si fosse manifestato ancor prima dell'aggressione del 27 luglio, cosicchè, ancora una volta, qualora volesse in ipotesi accogliere l'impostazione difensiva dovrebbe comunque riconoscersi che la fattispecie è stata realizzata già attraverso la prima serie di condotte poste in essere dall'imputato. 2.7 Quanto infine all'asserita atipicità della condotta in ragione della presunta reciprocità dei contatti, tale da evocare, nella prospettazione dei ricorso, una sorta di rapporto dialogante tra i due protagonisti della vicenda, la doglianza si rivela meramente ripropositiva di una censura che la Corte territoriale - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - ha esaurientemente confutato con motivazione logica e coerente all'evidenza acquisita. Del resto che le interlocuzioni della vittima con l'imputato debbano interpretarsi come la manifestazione di un contegno ambiguo della prima idoneo a spiegare l'insistenza del secondo è una mera asserzione, che non tiene conto di quanto illustrato alle p. 20 e 21 della motivazione della sentenza sull'inattendibilità del T. - che sembrerebbe capire essere la fonte di tale fantasiosa interpretazione - e sul tenore delle risposte della P. alle sue assillanti molestie. 2.8 Più in generale deve osservarsi come l'immagine del fatto tipico che il ricorrente ha inteso in tal modo proiettare - e cioè quella in cui la vittima è a tal punto prostrata dalla campagna persecutoria da non essere in grado di reagire - è un mero stereotipo che non ha addentellato alcuno nel testo normativo. Invero la soglia di offensività della fattispecie è assai più arretrata di quanto il ricorrente stesso dimostri di voler credere, tanto che questa Corte ha avuto modo di precisare come addirittura - e non è questo il caso per quanto si è detto - la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori Sez. 5, n. 17698 del 5 febbraio 2010, Marchino Camillo, rv. 247226 . 3. Infondato è invece il secondo motivo di ricorso. Ed infatti l'oggetto giuridico dJ delitto di atti persecutori e di quello di diffamazione sono affatto diversi e dunque correttamente la Corte territoriale ha ritenuto la possibilità che gli stessi concorrano, anche qualora le condotte diffamatorie siano state considerate integrative di una delle molestie costitutive della campagna persecutoria. 4. II ricorso deve in definitiva essere rigettato e il ricorrente condannato, oltre che al pagamento delle spese processuali, anche alla refusione di quelle sostenute dalla parte civile nel grado che si liquidano in complessivi euro 2.500, oltre accessori come per legge, e di cui si dispone il pagamento a favore dello Stato, atteso che la stessa parte civile è ammessa di diritto al patrocinio a spese del medesimo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi euro 2.500, oltre accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d. Igs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.