L’imprenditore che fattura operazioni inesistenti o che annota costi mai sostenuti non risponde di bancarotta fraudolenta distrattiva

In caso di fatturazione di operazioni inesistenti o di annotazione di costi mai realmente sostenuti, se non v’è prova specifica di un incremento – anche solo momentaneo – del patrimonio dell’imprenditore fallito, non può ritenersi integrata la condotta distrattiva necessaria per la configurazione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 51248, depositata il 10 dicembre 2014, è stata chiamata a giudicare sulla legittimità di una sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale Collegiale – confermata dalla Corte territoriale - nei confronti di un imprenditore, amministratore di tre società dichiarate fallite, per più fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il delitto in commento presenta diversi profili di interesse, soprattutto in virtù del crescente numero di procedure fallimentari che colpiscono negli ultimi anni numerose aziende appartenenti ai più disparati settori del mondo commerciale. La fattispecie. Il reato di bancarotta, che si atteggia nella forma semplice o fraudolenta in base all’elemento psicologico che lo caratterizza, è disciplinato dal r.d. n. 267/1942 Legge Fallimentare . La dichiarazione di fallimento è certamente prodromico alla configurabilità del delitto de quo . Tuttavia, la sentenza dichiarativa del fallimento, se in materia di bancarotta postfallimentare è pacifico che sia un presupposto della condotta, è ancora fatto controverso se in caso di bancarotta semplice costituisca una condizione obiettiva di punibilità o un elemento del reato. Sul punto, infatti, mentre la dottrina sembra privilegiare la prima soluzione, la Suprema Corte è di tutt’altro avviso . Senonché, sebbene non può non riconoscersi autorevolezza ai diktat della Corte di legittimità con cui la sentenza di fallimento è individuata quale elemento intrinseco del reato, è pur vero che destano particolari perplessità gli effetti di tale convinzione. Invero, la qualificazione della declaratoria fallimentare quale elemento costitutivo del reato ben non combacia con l’impossibilità di estendere ad essa stessa il dolo che nella specie deve limitarsi al dissesto conseguente alla condotta e non al fallimento , nonché con la prescrizione che decorre dalla pronuncia della sentenza connotato peculiare delle condizioni obiettive di punibilità . Tanto premesso, è doveroso porre in evidenza che la bancarotta fraudolenta, fattispecie prevista dall’art. 216 r.d. n. 267/1942, reato proprio per eccellenza, punisce l’imprenditore che, dolosamente, prima o durante il fallimento, abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato i suoi beni, o che abbia distrutto, falsificato od occultato i libri e le scritture contabili o che li abbia tenuti in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, o che abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione al fine di ledere la par condicio creditorum le prime due ipotesi sono punite con la reclusione dai tre ai dieci anni, mentre l’ultima prevede la sanzione della reclusione da uno a cinque anni . Il caso in esame, connotato da particolari profili di complessità anche in ragione dei plurimi capi d’imputazione contestati all’imprenditore, sorprende la Corte di legittimità ad accogliere uno dei sette motivi di doglianza lamentati dal ricorrente, che con il gravame opposto tenta di inficiare il provvedimento della Corte territoriale sotto più aspetti. L’illogicità della motivazione in relazione alla condotta distrattiva. Per ragioni espositive, si preferisce in questa sede concentrare l’attenzione sul motivo di gravame con cui la difesa dell’imputato rileva la contraddittorietà della motivazione, in ordine alla individuazione della condotta e dell’oggetto materiale della condotta di bancarotta distrattiva contestata prima ipotesi criminosa contemplata dall’art. 216 l.f. . Più segnatamente, il ricorrente contesta il riconoscimento dell’addebito di aver distratto o dissipato somme di denaro costituenti l’attivo delle tre società fallite che, tuttavia, nello stesso capo d’imputazione venivano evidenziate come relative all’annotazione di costi mai sostenuti o di ricavi solo fittiziamente conseguiti. Dunque, a parere della difesa, sarebbe manifestamente illogica l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per aver distratto somme di denaro che, al contempo, vengono identificate dall’accusa stessa come prodotto di fatture di operazioni inesistenti o di costi in realtà mai sostenuti. L’accoglimento parziale della corte non si può distrarre ciò che non c’è. In effetti la difesa coglie nel segno. La Suprema Corte, pronunciando la sentenza in commento, accoglie il ricorso ed annulla la sentenza con rinvio degli atti ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano. I Giudici di legittimità rilevano, infatti, che nel capo d’imputazione con cui è contestata la bancarotta fraudolenta all’imputato viene rimproverata, in modo precipuo, la distrazione di ricavi solo fittiziamente fatti figurare nella contabilità a seguito di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di costi mai sostenuti. Non è dunque possibile distrarre da un patrimonio beni o liquidità che materialmente non esistono. Pertanto - pontificano i Giudici di Piazza Cavour - la Corte territoriale, per ritenere colpevole l’imputato anche di tale specifica condotta, avrebbe dovuto quantomeno determinare quali fatti - seppur connessi ad operazioni fittizie – avessero realmente procurato un effettivo incremento del patrimonio delle società fallite. Mentre, i Giudici di seconda istanza - essendosi limitati a confermare il giudizio di colpevolezza sulla condotta distrattiva solo con un mero rinvio alle fatture indicate nei capi d’imputazione relativi ai reati tributari – hanno fornito una motivazione contradditoria, insufficiente ed apodittica che merita censura. Situazione differente – secondo la Suprema Corte – si verifica in caso di sovraffatturazione con restituzione all’utilizzatore di parte del prezzo pagato. In tal caso, infatti, anche il momentaneo ingresso nel patrimonio del fallito di beni che – in forza di un patto illecito – vengano restituiti al presunto alienante determina un incremento dello stesso che espande la garanzia dei creditori, poi frustrata dalla restituzione” che ben integra la condotta della distrazione. Conclusioni. Alla luce delle dinamiche economiche degli ultimi anni, a parere di chi scrive il quadro normativo e dogmatico su cui poggia il sistema fallimentare è obsoleto, ma soprattutto inadeguato a fronteggiare le reali problematiche con cui gli imprenditori devono confrontarsi ogni giorno. Sebbene con il provvedimento in oggetto la Suprema Corte abbia, in un certo senso, richiesto maggior rigore ai Giudici di merito nella valutazione degli elementi posti a carico dell’imprenditore accusato di reati fallimentari, si ritiene che non sia abbastanza. L’auspicio, infatti, è quello di un intervento legislativo diretto a punire le condotte dei lestofanti che intenzionalmente lucrano mediante il dissesto, nonché volto, al contempo, ad attenuare, i risvolti penali per gli imprenditori onesti, che già devono affrontare, a causa della crisi economica, i profili civilistici di della procedura fallimentare, già da sola idonea ad annientare anni di sogni, lavoro e sacrifici.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 novembre – 10 dicembre 2014, n. 51248 Presidente Lombardi – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata ha confermato la condanna di C.P. per più fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale commessi nella gestione della Progetto Immagine s.r.l., della V.I.C. International s.r.l. e della Hyde Park Group s.r.l., tutte fallite tra il omissis e il omissis , nei quali già il Tribunale aveva ritenuto assorbiti quelli di bancarotta impropria da reato societario pure originariamente contestati all'imputato. 2. Avverso la sentenza ricorre il C. a mezzo dei propri difensori articolando sette motivi. 2.1 Con il primo ripropone l'eccezione, già rigettata nei gradi di merito, di nullità del decreto che dispone il giudizio per l'indeterminatezza del capo d'imputazione con riguardo all'indicazione delle poste fittizie riportate nei bilanci di cui viene contestata la falsità, nonché di alcuni dati necessari all'identificazione delle operazioni cui si riferirebbero le fatture per operazioni inesistenti la cui emissione o utilizzazione costituirebbe il presupposto delle distrazioni o irregolarità contabili contestate a titolo di bancarotta fraudolenta. Non di meno la Corte territoriale, oltre a non aver sostanzialmente motivato sulle puntuali obiezioni sollevate sul punto con il gravame di merito, avrebbe altresì omesso di pronunziarsi sul lamentato difetto di motivazione dell'ordinanza dibattimentale con la quale il Tribunale aveva a sua volta rigettato la medesima eccezione. 2.2 Con il secondo motivo viene eccepita invece la nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. in conseguenza dell'irritualità della modifica dell'imputazione svolta dal pubblico ministero all'udienza del 28 ottobre 2002 e dunque prima dell'apertura del dibattimento. Modifica che avrebbe prodotto una vera e propria novazione della contestazione lesiva del diritto di difesa dell'imputato, avendo comportato una riquantificazione dei valori delle singole fatture asseritamente relative ad operazioni inesistenti da cui discenderebbe la definizione dell'oggetto delle condotte dei reati di bancarotta per cui è intervenuta condanna. 2.3 Con il terzo motivo reitera l'eccezione - anch'essa già rigettata nel giudizio d'appello - di nullità della sentenza di primo grado derivata da quella dell'ordinanza con cui il Tribunale, a seguito della modifica dell'imputazione operata dal pubblico ministero, ha respinto la richiesta dell'imputato di accedere al rito abbreviato, rilevando in proposito come - contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale - le modifiche apportate alle imputazioni relative ai reati tributari per i quali l'imputato è stato prosciolto già in primo grado per la rilevata prescrizione dei medesimi hanno automaticamente inciso sul profilo della contestazione concernente i reati fallimentari espandendo l'oggetto delle condotte di bancarotta imputate al C. . 2.4 Con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 526 c.p.p. conseguente all'inutilizzabilità delle prove dichiarative assunte in prime cure dinanzi ad un collegio diverso da quello che ha successivamente pronunziato la sentenza di primo grado e di cui era stata richiesta la rinnovazione dalla difesa dell'imputato. In proposito il ricorrente precisa che - contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata - solo alcune delle prove in questione erano state effettivamente riassunte dopo la mutata composizione del collegio giudicante, senza che la difesa comunque avesse mai prestato il consenso all'utilizzazione delle altre. Con lo stesso motivo viene poi eccepita l'inutilizzabilità degli interrogatori resi dall'imputato il 3 e 4 aprile 1997, mai invero formalmente acquisiti al fascicolo del dibattimento, atteso che tale acquisizione era stata effettivamente richiesta dal pubblico ministero in ragione della contumacia del C. , ma il Tribunale mai avrebbe sciolto la riserva assunta in merito alla stessa. 2.5 Con il quinto motivo si lamentano vizi della motivazione in ordine all'individuazione della condotta e dell'oggetto materiale della condotta di bancarotta distrattiva attribuita all'imputato. In particolare osserva il ricorrente come nel capo C § b era stato contestato al C. di aver distratto o dissipato somme di danaro costituenti l'attivo delle tre società fallite come indicate ai punti da 1 a 5 del p.a dello stesso capo, dove però venivano evidenziate come relative all'annotazione di costi mai sostenuti o di ricavi solo fittiziamente conseguiti dalle stesse. Manifestamente illogica sarebbe dunque l'affermazione della responsabilità dell'imputato per aver distratto somme di danaro che in realtà vengono al contempo contraddittoriamente assunte come mai entrate nel patrimonio delle fallite, né la Corte territoriale avrebbe spiegato come sia stato possibile realizzare tale distrazione addirittura attraverso prelievi o emissione di assegni, come ritenuto, ovvero quale sarebbe stato l'effettivo oggetto alternativo della suddetta distrazione. Né tale spiegazione potrebbe esaurirsi nel laconico rinvio operato in sentenza alle fatture per operazioni inesistenti elencate nei capi relativi ai reati tributari, i quali riguardavano anche condotte commesse nella gestione di società diverse da quelle fallite. Non di meno la Corte territoriale non ha in alcun modo verificato a quali tra le fatture riferibili a queste ultime effettivamente sia seguito un flusso monetario in entrata idoneo a costituire attivo suscettibile di distrazione. Ancora, secondo il ricorrente la tenuta argomentativa della sentenza sul punto non sarebbe garantita nemmeno qualora volesse ritenersi che i giudici del merito abbiano voluto riferirsi al meccanismo di sovrafatturazione cui le tre società si sarebbero dedicate, per come, peraltro genericamente, evocato dall'imputato e da alcuni testimoni. Ed infatti, anche in tal caso la restituzione in nero all'acquirente della parte del prezzo sovraffatturata realizzerebbe al più una distrazione dal patrimonio di quest'ultimo, ma non da quello del soggetto emittente, atteso che la medesima somma non potrebbe essere contestualmente distratta da due distinti patrimoni. 2.6 Con il sesto motivo il ricorrente contesta la motivazione con cui la Corte territoriale ha rigettato l'istanza proposta con motivo aggiunto di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ad oggetto l'audizione del consulente di parte che in altro procedimento, successivamente alla pronunzia della sentenza di primo grado, aveva diagnosticato a carico del C. un vizio mentale disturbo narcisistico della personalità idoneo ad incidere sulla sua imputabilità, nonché la disposizione di una perizia psichiatrica tesa a valutare la sussistenza del suddetto vizio. In proposito viene sottolineato come l'obiezione mossa dai giudici d'appello - per cui non sarebbe stato allegato se la prospettazione del consulente sia stata accolta dal giudice dell'altro procedimento - sarebbe del tutto irrilevante, mentre del tutto apodittica risulterebbe l'affermazione degli stessi per cui apparirebbe eziologicamente inconferente il vizio mentale dedotto rispetto alla tipologia di reati contestati all'imputato, tanto più che oggetto dell'altro procedimento sarebbero contestazioni analoghe. 2.7 Il difetto assoluto di motivazione viene infine dedotto con il settimo ed ultimo motivo in relazione alla richiesta subordinata avanzata con i motivi aggiunti e cioè quella di valutare la consulenza psichiatrica prodotta a sostegno dell'istanza di rinnovazione ai fini della dosimetria della pena. 3. Con memoria depositata il 20 ottobre 2014 la difesa dell'imputato ha poi ulteriormente ribadito ed approfondito le argomentazioni poste a fondamento dei motivi secondo, quinto e sesto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito verranno illustrati. 2. Preliminare è l'esame delle eccezioni processuali sollevate dal ricorrente con i primi quattro motivi. 2.1 In tal senso infondata è quella di indeterminatezza dell'imputazione sollevata con il primo motivo. 2.1.1 In proposito va innanzi tutto ricordato come non sia ravvisabile alcuna incertezza sulla imputazione, quando il fatto sia stato contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali, in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa. La contestazione poi non va riferita soltanto al capo d'imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti, che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito Sez. F, n. 43481 del 7 agosto 2012, Ecelestino e altri, Rv. 253582 . In tal senso, dunque, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi, mentre ^non è necessaria un'indicazione assolutamente dettagliata dell'oggetto della contestazione ex multis Sez. 5, n. 6335/14 del 18 ottobre 2013, Morante, Rv. 258948 Sez. 2, n. 16817 del 27 marzo 2008, Muro e altri, Rv. 239758 . 2.1.2 L'imputazione in relazione alla quale è intervenuta condanna è quella modificata dal pubblico ministero all'udienza del 28 ottobre 2002. La tecnica utilizzata nella redazione della suddetta imputazione può non apparire del tutto lineare, ma è indubbio che siano chiaramente descritte le condotte in contestazione e il loro oggetto. In particolare, attraverso il rinvio compiuto nel punto b ai sottoparagrafi del punto a , l'oggetto delle condotte distrattive è stato individuato nelle somme falsamente imputate a costi mai sostenuti dalle società fallite, nonché in quelle oggetto delle sovraffatturazioni operate nei confronti di clienti e di altre società del gruppo. È si vero che il rinvio riguarda anche i ricavi di cui è stata contestata invece la fittizia esposizione in contabilità e nei bilanci, ma tale circostanza non incide sulla determinatezza dell'atto imputativo, atteso che la configurabilità del delitto di bancarotta patrimoniale in riferimento a tali importi non è profilo che attiene alla validità della contestazione, quanto alla sua fondatezza. 2.1.3 Del tutto irrilevante, ai fini della valutazione richiesta e alla luce dei principi richiamati in precedenza, è invece che non siano indicate nel dettaglio nell'imputazione le fatture relative alle operazioni che hanno costituito la provvista oggetto delle contestate distrazioni, giacché le stesse sono agevolmente identificabili attraverso il richiamo a categorie omogenee che ne rendono comunque possibile la individuazione. Né in tal senso è corretto quanto sostenuto dal ricorrente e cioè che inevitabilmente il capo C si completi solo attraverso l'eterointegrazione con quanto descritto nei precedenti capi relativi ai reati tributari dichiarati prescritti. In tal senso le modifiche apportate ai suddetti capi non interferiscono automaticamente con la definizione dell'oggetto dell'imputazione di bancarotta, autonomamente definito attraverso l'indicazione degli ammontari complessivi delle annotazioni contabili a cui le distrazioni si riferiscono. 2.1.4 Insussistente è infine il lamentato difetto di motivazione sull'analoga eccezione sollevata con il gravame di merito, atteso che la Corte territoriale ha puntualmente replicato sul punto, rimanendo irrilevante il difetto di motivazione da parte del Tribunale sulla stessa eccezione, trattandosi di questione di diritto correttamente risolta, atteso che anche per l'originaria imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio valgono le considerazioni svolte in precedenza. 2.2 Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, atteso che alcuna violazione del diritto di difesa è prospettabile in ragione dell'avvenuta modifica dell'imputazione da parte del pubblico ministero prima della formale apertura del dibattimento una volta ricordato come, per consolidata giurisprudenza, questa non deve necessariamente fondarsi sugli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Quanto invece alla presunta novazione delle imputazioni di bancarotta a seguito delle modifiche apportate a quelle relative ai reati tributari la doglianza si rivela generica, non avendo precisato il ricorrente in che modo gli importi indicati nel capo C siano stati effettivamente variati a seguito delle modifiche apportate ai capi A e B . In definitiva l'affermazione per cui la modifica dei capi tributari abbia espanso l'oggetto della bancarotta è apodittica, non avendo il ricorrente specificato in che termini sarebbe stata espansa tale ultima imputazione una volta ammesso nello stesso ricorso che non sussisteva già in origine assoluta coincidenza tra le diverse contestazioni. 2.3 Da quanto osservato al punto precedente discende altresì la manifesta infondatezza dell'eccezione sollevata con il terzo motivo, non avendo il ricorrente saputo precisare quali sarebbero le modifiche effettivamente apportate all'imputazione di cui al capo C idonee a giustificare l'ammissione tardiva dell'imputato al rito abbreviato ai sensi del disposto della sentenza n. 333/2009 della Corte Costituzionale. 2.4 Inammissibile in quanto generico è infine il quarto motivo nella parte relativa alla mancata riassunzione di alcune, non avendo il ricorrente precisato quali sarebbero le prove non effettivamente riassunte a seguito del mutamento del collegio, né la loro decisività o effettiva utilizzazione ai fini della decisione non di meno non risulta che la difesa si sia opposta alla chiusura dell'istruzione dibattimentale eccependo l'eventuale mancata assunzione delle medesime, il che vale, per il costante insegnamento di questa Corte, all'implicita rinunzia alle medesime ex multis Sez. 3, n. 9135 del 24 gennaio 2008, Fontolan, Rv. 239054 . Quanto invece all'interrogatorio dell'imputato è si vero che il Tribunale non ha formalmente sciolto in udienza la riserva sulla sua acquisizione assunta all'udienza del 21 marzo 2005, ma lo ha implicitamente fatto in sentenza utilizzando l'atto, a nulla rilevando che in proposito non abbia reso specifica motivazione sulle eventuali eccezioni processuali sollevate dalla difesa laddove la soluzione adottata debba ritenersi corretta in diritto ed in tal senso è appena il caso di sottolineare come il ricorrente non abbia precisato quali sarebbero state le ragioni ostative all'acquisizione delle dichiarazioni rese dal C. , né ha eccepito alcunché in proposito se non in relazione al presunto difetto di acquisizione di cui si è detto . In definitiva ciò che può imputarsi al Tribunale è una mera irregolarità priva di sanzione processuale e conseguentemente la doglianza del ricorrente sul punto deve ritenersi infondata. 3. Colgono invece nel segno le censure svolte con il quinto motivo di ricorso. 3.1 Dal capo d'imputazione relativo alla bancarotta emerge come sia stata contestata al C. anche la distrazione di ricavi solo fittiziamente fatti figurare nella contabilità della fallita a seguito dell'emissione di fatture per operazioni in realtà inesistenti ed altresì di costi asseritamente invero mai sostenuti. 3.2 Nel primo caso è evidente come non sia possibile distrarre somme di danaro mai invero entrate nel patrimonio delle fallite, quali sono di regola quelle oggetto di f.o.i. a meno che non si dimostri che le stesse siano state effettivamente pagate dall'utilizzatore della fattura e poi allo stesso restituite nel qual caso vi sarebbe un effettivo incremento patrimoniale dell'emittente, a nulla rilevando che lo stesso consegua ad un accordo illecito che preveda la loro restituzione ovvero che alla falsa fatturazione si sia ricorso a posteriori per fornire un'apparente giustificazione ad una entrata di cui non si è voluto rivelare l'effettiva fonte. 3.2 Posto che è stato accertato per come emerge dal testo della sentenza e dal tenore complessivo delle imputazioni che le società del C. sono state impegnate sia nell'emissione di f.o.i., che nella mera sovrafatturazione alla quale invece certamente corrispondevano flussi monetari in entrata , era dunque compito della Corte territoriale - specificamente investita della questione con il gravame di merito - determinare quali tra i fatti contestati possano aver effettivamente dato luogo ad una distrazione ovvero precisare in che modo anche le operazioni totalmente inesistenti abbiano determinato un arricchimento delle fallite. Né tale compito può ritenersi assolto mediante il generico riferimento a quanto riferito dalla P. circa il fatto che le fatture venivano regolarmente pagate o al rinvio operato alle fatture indicate nei capi d'imputazione relativi ai reati tributari, atteso che, nel primo caso, non viene spiegato se la teste si sia riferita esclusivamente alle sovrafatturazioni e nel secondo il rinvio è palesemente inidoneo attesa la già segnalata non assoluta coincidenza tra l'oggetto dei reati tributari e quello delle bancarotte e comunque alla luce del fatto che le contestazioni tributarie riguardano per l'appunto anche le fatture relative alle operazioni totalmente inesistenti. 3.3 Non è invece fondata l'ulteriore doglianza del ricorrente circa l'inconfigurabilità della fattispecie distrattiva nel caso della sovrafatturazione con restituzione all'utilizzatore di parte del prezzo pagato. Va infatti ribadito che anche il temporaneo ingresso nel patrimonio della fallita di beni che in forza di un patto illecito vengano restituiti al dante causa determina un incremento dello stesso che espande la garanzia dei creditori, talché la restituzione è invero un atto ingiustificato idoneo ad integrare la condotta di distrazione. Né rileva in senso contrario la pronunzia di questa Corte citata nel ricorso, per cui sarebbe configurabile il reato di bancarotta per distrazione nella condotta dell'amministratore il quale, convenendo con ditte Tornitrici di beni l'indicazione in fattura di un prezzo superiore a quello effettivamente concordato, trattenga per sé la differenza tra la somma fatta figurare come pagata corrispondente a quella fatturata e l'importo effettivamente dovuto, atteso che tale differenza viene a risultare in tal modo costituita da danaro dell'impresa acquirente e non di quella tornitrice Sez. 5, n. 27513 del 3 febbraio 2004, Della Valle, Rv. 228699 . Ed infatti la fattispecie oggetto di tale pronunzia riguarda l'ipotesi in cui l'utilizzatore paghi all'emittente soltanto il prezzo effettivo del bene o del servizio e non anche quello gonfiato , occultando successivamente la differenza tra i due valori, e non già quella ritenuta in sentenza in cui l'utilizzatore paghi l'intero prezzo, ricevendo poi e per l'appunto in restituzione quanto oggetto di sovrafatturazione. 4. L'accoglimento parziale del quinto motivo comporta l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Milano sui punti indicati, nonché l'assorbimento delle ulteriori doglianze avanzate con il sesto ed il settimo motivo. Va infine rilevato come per alcuno dei reati contestati sia allo stato maturata la prescrizione. Posto infatti che all'imputato devono applicarsi i più favorevoli termini previsti dall'art. 157 c.p. nel testo introdotto dalla L. n. 251/2005 e cioè, tenuto conto della contestata aggravante di cui all'art. 219 comma 1 legge fall., quello di anni 18 e mesi 9 atteso che la sentenza di primo grado è intervenuta successivamente all'entrata in vigore della menzionata legge, deve rilevarsi che il reato più prossimo alla prescrizione è quello relativo alle distrazioni compiute nella gestione della Hyde Park Group s.r.l., il cui termine, salva la rilevazione di eventuali sospensioni, si compirà al più presto soltanto il 6 marzo 2015. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo giudizio.