Disarma il suo aggressore e lo pugnala a morte: è omicidio volontario, attenuato dall'eccesso colposo di legittima difesa

In tema di omicidio volontario, legittima difesa ed eccesso colposo, si afferma la tesi secondo cui la reazione legittima dev'essere necessaria per salvaguardare il bene in pericolo, ponendosi in tal caso l'aggressione come unico modo per salvare il diritto minacciato, nel rispetto della proporzionalità dell'offesa nei confronti del bene minacciato. Il requisito della proporzione dev'essere sempre escluso, quindi, nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorché la consistenza dell'interesso leso vita o incolumità fisica sia più rilevante sul piano dei valori costituzionali, rispetto a quello minore difeso.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 51070, depositata il 5 dicembre 2014. Il caso. Con sentenza, il gup del Tribunale, all'esito del giudizio abbreviato, condanna alla pena di 12 anni di reclusione, concesse le attenuanti generiche e di rito, l'imputato per omicidio volontario mediante accoltellamento, a seguito di una colluttazione nel quale quest'ultimo avrebbe disarmato la vittima in stato di ebbrezza, ferendolo mortalmente con diversi colpi all'addome. La sentenza di colpevolezza viene quindi confermata anche dalla Corte d'appello, respingendo ipotesi di legittima difesa od eccesso colposo, in quanto con il disarmo era venuto meno il pericolo e il ripetuto infierire sulla vittima escludeva l'eccessiva colpa nell'evento accaduto. Parimenti, si escludeva l'applicazione dell'attenuante ex art. 62 n. 2 c.p., in quanto la reazione è stata ritenuta abnorme e sproporzionata rispetto al fatto ingiusto provocato dalla vittima. Si ricorre in Cassazione con due distinti atti d'impugnazione, il primo adducendo un motivo di gravame, il secondo adducendone due. Con i seguenti motivi di impugnazione, i difensori del condannato ricorrono in Cassazione per a violazione dell'art. 62 n. 2 c.p., in quanto riconosciuta la provocazione della vittima ai danni dell'imputato, con minacce reiterate e un pugno in viso, prima del disarmo b violazione degli artt. 52 e 55 c.p., in quanto è certo che l'imputato si sia trovato nella situazione di dover fronteggiare un pericolo attuale ed estremo causato dalla condotta della vittima, persona armata e sotto effetto di alcool e cocaina, aggressiva e pericolosa a tal punto da scagliarsi contro l'imputato, colpendolo al volto ed obbligandolo ad una colluttazione c difetto di motivazione dell'art. 62 n. 2 c.p Pericolo attuale ed ingiusto. Chiamata la sez. I Penale, il giudicante rileva la fondatezza dei motivi di ricorso, nei limiti del riconoscimento dell'attenuante della provocazione, riconoscendo l'eccesso colposo di legittima difesa. La tesi del ricorrente è corretta in quanto l'aggressione al suo diritto all'incolumità fisica aveva tutti i connotati per provocare un pericolo attuale ed ingiusto la reazione legittima dev'essere necessaria per salvaguardare il bene in pericolo, nel senso che il soggetto, tenuto conto di tutte le circostanze del concreto caso singolo, trovandosi nell'impossibilità di agire altrimenti, non possa evitare l'offesa se non difendendosi arrecando a sua volta offesa all'aggressore, ponendosi in tal caso l'aggressione come unico modo per salvare il diritto minacciato, purché vi sia il rispetto del principio della proporzionalità della difesa rispetto all'offesa, pena l'applicazione della norma in tema di eccesso colposo ex art. 55 c.p Tale rispetto dev'essere valutato con giudizio ex ante , non fra i mezzi che l'aggredito aveva a disposizione e quelli usati, bensì fra il bene minacciato dall'aggressore ed il bene leso cioè tra i beni e gli interessi in conflitto , non essendo consentito ledere un bene dell'aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall'aggressione illecita. Proporzione Il requisito della proporzione dev'essere sempre escluso, quindi, nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorché la consistenza dell'interesso leso vita o incolumità fisica sia più rilevante sul piano dei valori costituzionali, rispetto a quello minore difeso. Nel caso di specie, sussiste l'applicazione dell'art. 55 c.p. in quanto il bene vita è inferiore rispetto all'incolumità fisica. e provocazione. Rispetto alla configurabilità della provocazione, occorrono invece tre requisiti a lo stato d'ira, costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo b il fatto ingiusto altrui, costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria e civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o inappropriati c un rapporto di causalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse. Nel caso di specie si ritiene piena e condivisa la condotta provocatoria della vittima ai danni dell'imputato. In tal senso, questa Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente all'esimente della legittima difesa e all'attenuante della provocazione, rinviando alla Corte d'Appello per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 novembre – 5 dicembre 2014, n. 51070 Presidente Cortese – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con sentenza del 3 aprile 2012 il GUP del Tribunale di Venezia, all'esito di giudizio abbreviato, condannava alla pena di anni dodici di reclusione, concesse le attenuanti generiche e con la diminuente del rito, C.C. , accusato dell'omicidio volontario, mediante accoltellamento, di N.D. . La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di assise di appello di Venezia con pronuncia del 7 giugno 2013. Sulla base delle dichiarazioni rese dalle numerose persone presenti al momento dei fatti e di quelle del medesimo imputato, sostanzialmente convergenti, i giudici di merito ritenevano accertati i fatti nei termini seguenti nella serata tra il omissis , in , l'imputato percorreva, con amici e conoscenti casualmente incontrati, il passaggio lungo un canale quando si imbatteva nel N. il quale, in evidente stato di ebbrezza, rivolgeva al gruppo frasi aggressive e gratuitamente ingiuriose alla richiesta del C. - i due si conoscevano da tempo ed erano amici - dei perché di quel comportamento, il N. rispondeva con un pugno al volto, al quale seguiva una colluttazione tra i due entrambi cadevano a terra ed in tale frangente si verificava l'accoltellamento del N. da parte dell'imputato l'esame autoptico accertava che la vittima era stata raggiunta da numerosi fendenti alcuni dei quali mortali. I giudici territoriali pervenivano poi alla conclusione che il coltello era inizialmente nella detenzione della vittima, la quale sarebbe stata disarmata nella colluttazione dall'imputato che l'avrebbe poi utilizzato per ferire a morte il rivale. Tanto premesso quanto ai profili fattuali della vicenda e per quanto di interesse nel presente giudizio di legittimità, i giudici di merito negavano ingresso alle tesi difensive della legittima difesa e dell'eccesso colposo in essa e negavano altresì l'applicazione dell'attenuante della provocazione, rilevando, quanto alla esimente, che, al momento dell'impossessamento del coltello, era venuto meno ogni pericolo per l'imputato, circostanza questa che esclude la giustificazione della legittima difesa, mentre il ripetuto infierire sulla vittima con fendenti reiterati esclude altresì l'applicabilità alla fattispecie della disciplina di cui all'art. 55 c.p In riferimento invece all'attenuante di cui all'art. 62 n. 2 c.p., la stessa veniva esclusa dal giudice territoriale giacché non proporzionata ed anzi abnorme la reazione rispetto al fatto ingiusto della vittima. 2. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello l'imputato, con l'assistenza dei difensori di fiducia, i quali, nel suo interesse, hanno depositato distinti atti di impugnazione. 2.1 L'avv. Pietramala, con un unico motivo, lamenta violazione dell'art. 62 n. 2 c.p. e difetto di motivazione sul punto, in particolare osservando ed argomentando hanno ritenuto le istanze di merito, ed in particolare quella di secondo grado, che il coltello utilizzato per l'omicidio fosse inizialmente nella disponibilità della vittima cionondimeno i giudici territoriali escludono la ricorrenza nella fattispecie dell'attenuante della provocazione, nonostante riconoscano che la vittima offese, minacciò con un coltello e poi colpì al volto l'imputato del tutto illogicamente negano pertanto, i giudici di merito, che le esposte circostanze siano idonee a giustificare lo stato di ira del prevenuto e che sia, detto stato, riconducibile alla condotta della vittima quest'ultima tenne un comportamento fortemente ingiusto ed è lo stesso giudice territoriale che esclude l'applicabilità alla fattispecie dell'aggravante dei futili motivi. 2.2 L'avv. Di Stasi, da parte sua, sviluppa due motivi di ricorso. 2.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione degli artt. 52 e 55 c.p. e difetto di motivazione sul punto, in particolare osservando è certo che l'imputato si sia trovato nella situazione di dover fronteggiare un pericolo attuale ed estremo causato dalla condotta ascrivibile al N. , persona armata di coltello e sotto effetto di cocaina, che l'aveva aggredito con pugni in faccia ai fini dell'esimente invocata deve porsi attenzione alla circostanza che la vittima colpì con uno o due pugni al volto l'imputato, di poi ferendolo al polso con una coltellata di qui la reazione del prevenuto, necessitata dalla esigenza di difendersi da un pericolo mortale le coltellate esiziali sono poi scaturite proprio dalla legittima reazione dell'imputato, il quale riuscì a fermare la mano armata dell'aggressore volgendogli contro l'arma solo così si giustificano le ferite riscontrate sul volto e sulla spalla della vittima il N. è stato colpito da una sola coltellata mortale, quella che l'attinse al cuore, inferta all'inizio della colluttazione come provato dall'assenza di sangue dall'addome della vittima di qui la illogicità della sentenza impugnata, la quale da atto che nella fase iniziale della colluttazione l'imputato agì per legittima difesa e non tiene poi conto che l'unica coltellata mortale fu inferta proprio all'inizio dello scontro fisico né la legittima difesa può essere ragionevolmente esclusa dall'impossessamento del coltello, giacché per nulla cessato il pericolo attuale di essere a sua volta disarmato dalla vittima, ubriaca e sotto effetto di cocaina anche per negare l'eccesso colposo nella invocata legittima difesa la corte territoriale ha ignorato gli insegnamenti di legittimità quanto ai requisiti di essa ed all'applicabilità dell'istituto alla fattispecie in esame vittima ed imputato erano amici, non v'era malanimo nel prevenuto ed i colpi furono inferti nel corso di una sanguinosa colluttazione tanto giustifica le conclusioni difensive. 2.2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione dell'art. 62 n. 2 c.p. e difetto di motivazione sul punto, sulla base di ragioni ed argomenti analoghi a quelli già illustrati dal precedente difensore. 3. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre. La diffusa censura difensiva sottopone sostanzialmente alla valutazione di questa istanza di legittimità le seguenti questioni se nella fattispecie ricorra la speciale causa di giustificazione di cui all'art. 52 c.p., ancorché nelle forme dell'eccesso colposo, se debba essere riconosciuto in favore dell'imputato l'attenuante della provocazione, se le decisioni negative su detti punti della corte di merito siano sorrette da logica ed esaustiva motivazione. 3.1.1 Prendendo le mosse dalla complessiva tematica della legittima difesa, appare utile ed opportuno prendere le mosse, dai principi. La legittima difesa, la cui ratio è comunemente individuata nella prevalenza accordata dallo Stato all'interesse del soggetto ingiustamente aggredito rispetto a quello che si è volontariamente posto contro la legge, con conseguente venire meno di quel danno sociale che giustifica l'intervento e la applicazione della sanzione penale, così rendendo lecito un fatto altrimenti vietato perché costituente reato, ruota sui due poli della aggressione ingiusta e della reazione legittima. Secondo la teoria tradizionale, l'aggressione, che deve riguardare un diritto, deve avere provocato un pericolo attuale ed involontario di una sua lesione, il rischio cioè, la elevata probabilità del verificarsi di una lesione ingiusta al momento del fatto, per cui la reazione non può essere né anticipata, né posticipata, in quanto il pericolo futuro e quella passato non scriminano, posto che il primo consente alla parte di rivolgersi alla autorità di polizia ed a quella giudiziaria se vi è la probabilità di una futura situazione pericolosa, mentre il secondo farebbe coincidere la reazione con la vendetta, per cui occorre una situazione di attacco illegittima ed in corso la cui cessazione dipende necessariamente dalla reazione difensiva. La reazione legittima deve essere, inoltre, necessaria per salvaguardare il bene in pericolo nel senso che il soggetto, tenuto conto di tutte le circostanze del concreto caso singolo, trovandosi nella impossibilità di agire altrimenti, non possa evitare l'offesa se non difendendosi arrecando a sua volta offesa all'aggressore, ponendosi in tal caso l'aggressione come unico modo per salvare il diritto minacciato v. per tutte Cass. n. 2554 del 1996, rv. 204065 Cass. n. 9695 del 1999, rv. 214936 Cass. n. 16908 del 2004, rv. 228045 Cass. n. 5697 del 2003 . In tale ambito si colloca l'ulteriore requisito della proporzionalità, il quale è quello più controverso nella interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, anche se la tesi prevalente è sempre stata nel senso che la proporzione deve essere valutata con giudizio svolto ex ante, non fra i mezzi che l'aggredito aveva a disposizione e quelli usati, bensì fra bene minacciato dall'aggressore e bene leso e cioè tra beni e interessi in conflitto, non essendo consentito ledere un bene dell'aggressore marcatamente superiore a quello posto in pericolo dalla aggressione illecita. Non sarà ad esempio consentito ledere la incolumità personale o addirittura la vita per difendere un bene patrimoniale, per cui la morte non è considerata illegittima solo quando derivasse da un ricorso alla forza reso assolutamente necessario per assicurare la difesa di qualsiasi persona da violenza illegale . Il requisito della proporzione è stato quindi sempre escluso nel caso di conflitto fra beni eterogenei allorché la consistenza dell'interesse leso vita o incolumità personale dell'aggressore sia di gran lunga più rilevante, anche sul piano dei valori costituzionali, rispetto a quello minore difeso, come ad esempio il patrimonio v. per tutte Cass. sez. 1, 10 novembre 2004, Podda . Quanto invece all'istituto dell'eccesso per colpa nella legittima difesa si applica altresì la presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, stabilita dall'art. 52, comma 1, c.p., cfr. Cass., Sez. I, 09/02/2011, n. 11610 osserva il Collegio che, ai fini della sua configurabilità, occorre comunque e preliminarmente accertare l'eventuale inadeguatezza della reazione difensiva, per eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito nel particolare contesto spaziale e temporale nel quale si svolsero i fatti, e delibare se legittimamente doveva ritenersi ipotizzabile la situazione di pericolo attuale non diversamente rimediabile. 3.1.2 Orbene, passando ora dai principi, come di necessità, alla concreta fattispecie, osserva la Corte che il ragionamento logico a sostegno delle contrastate decisioni del giudice di appello si articola attraverso i seguenti passaggi il coltello utilizzato come arma del delitto era in possesso del N. l'aggressione iniziale è avvenuta per iniziativa della vittima la quale, in questa prima fase, ha anche ferito l'imputato al braccio il C. è però riuscito ad impossessarsi del coltello, di guisa che ha determinato il venir meno del pericolo al quale si era trovato inizialmente esposto siffatta ultima circostanza priva la sua condotta aggressiva di ogni giustificazione riferibile alla legittima difesa, ancorché nella forma dell'eccesso colposo, giacché venuta meno ogni situazione di pericolo i colpi inferti dall'imputato sono stati pari a dieci e soltanto nella fase iniziale la sua reazione poteva ritenersi legittima giacché giustificata dalla necessità di difendersi il numero dei colpi, in uno con la consapevolezza del cessato pericolo, escludono altresì che il prevenuto abbia agito ritenendo, per colpa, di doversi difendere. Tanto premesso, ritiene la Corte che la rapida motivazione impugnata, tenuto conto dei principi appena richiamati, non sia immune da vizi logici. Ed invero, presuppone come circostanze certe il giudice territoriale che l'imputato, senza averne dato alcuna ragione, venne aggredito dalla vittima, che quest'ultima era armata di coltello e che con esso ferì al braccio il rivale, viceversa disarmato, dopo averlo proditoriamente colpito con un pugno in faccia. Da siffatta ricostruzione correttamente deduce la corte stessa che, nella fase iniziale dello scontro tra vittima ed imputato, questi si trovasse in una situazione che legittimava la sua difesa attiva e giustificasse, pertanto, il danno portato all'avversario. Cionondimeno, come innanzi chiarito, la corte territoriale esclude la esimente anche nella forma dell'eccesso colposo, argomentando nel senso che la situazione di pericolo sarebbe venuta meno al momento in cui l'imputato disarmò la vittima, dappoiché da quel momento era cessato ogni situazione di pericolo. Ebbene, in tale frangente dello sviluppo dialettico della motivazione ravvisa questa corte un salto logico evidente e qualche profilo di apoditticità una situazione certa, e quasi di scuola, di legittima difesa, caratterizzata da una persona ubriaca la quale, armata di coltello, aggredisce il rivale, che si difende disarmando l'aggressore nel corso di una colluttazione che si è protratta anche dopo il disarmo, viene scissa in due momenti, per escludere nella seconda parte dello scontro fisico ciò che viceversa ricorreva nella prima. Osserva criticamente questa Corte che, in primo luogo non è stato affatto chiarito il momento in cui l'imputato riuscì a disarmare la vittima, anzi, il giudice territoriale neppure esclude la possibilità che il C. non sia riuscito affatto ad impossessarsi dell'arma e che abbia colpito a morte il rivale indirizzando il pugnale da questi impugnato contro il suo corpo. Di tutta evidenza, pertanto, la necessità del chiarimento di tale profilo fattuale ai fini in discorso. Ed inoltre non v'è stato alcun approfondimento logico in relazione alla dinamica del fatto, di guisa che, l'affermazione secondo cui il C. , nel corso della convulsa, ma rapida colluttazione, abbia colpito l'avversario nella piena consapevolezza del cessato pericolo per sé e che si debba escludere qualsivoglia profilo di problematica negligenza allo stesso riferibile, appare conclusione immotivata ed apoditticamente sostenuta. La motivazione impugnata, infine, non spiega la ragione per la quale l'imputato, dopo aver disarmato il rivale, aveva ragione di ritenersi al sicuro da un analogo e contrario disarmo, questa volta a vantaggio dell'imputato. Per una esaustiva valutazione dei fatti di causa, infine, non può non tenersi conto, e sul punto v'è una palese omissione della motivazione impugnata, che l'imputato e la vittima colluttarono e che deve essere pertanto dimostrato in modo convincente la ragione per la quale, nella colluttazione in corso, il prevenuto ha percepito con certezza che era venuto meno ogni pericolo per sé a fronte di una persona che l'aveva aggredito con pugni e coltellate senza ragione alcuna. Sul punto, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia affinché, in piena libertà di giudizio, pervenga a conclusioni esaustivamente argomentate. 3.2 Anche in ordine alla denegata attenuante della provocazione, rileva la corte più di un profilo della motivazione impugnata inappagante nell'argomentazione e nell'applicazione dei principi normativi in materia. Anche in questo caso giova richiamare dapprima regole da applicare. Ai fini della configurabilità della provocazione occorrono a lo stato d'ira , costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi b il fatto ingiusto altrui , costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall'inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l'ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati c un rapporto di causalità psicologica tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse lezione interpretativa consolidata, ex plurimis Cass., Sez. I, 08/11/2011, n. 5056 . Orbene, la difesa ritiene di individuare nel caso in esame la ricorrenza degli esposti requisiti nelle circostanze che la vittima ha dapprima insultato l'imputato e gli amici con i quali stava passeggiando, per poi colpirlo, alla richiesta di spiegazioni, con un pugno in faccia e ferendolo al braccio con un coltello del quale era armato. La tesi difensiva è stata contrastata dal giudice territoriale con l'argomento che non sussisterebbe nella fattispecie l'attenuante in discorso perché non ravvisabile alcun nesso causale tra la condotta provocatoria della vittima e la reazione dell'imputato che la provocazione sarebbe infatti da collegarsi allo stato d'ira conseguente alle ingiurie ed alle minacce ricevute che su tali premesse palese risulterebbe pertanto la inadeguatezza tra fatto ingiusto e reazione. La motivazione appena riassunta non tiene conto del fatto accertato nella sua interezza ed omette di considerare ai fini di causa circostanze decisive ai fini del decidere. Il fatto ingiusto della vittima legato da nesso di causalità con l'azione delittuosa non può infatti essere limitato alle sole ingiurie e minacce. L'imputato reagì ad un cazzotto in pieno volto tirato senza ragione alcuna e soltanto perché alla vittima era stato chiesto ragione del suo agire insultante e minaccioso. L'azione delittuosa prende le mosse da tale premessa fattuale e si dipanerà subito dopo con una nuova reazione dell'imputato per evitare il pericolo di vita dato dal coltello impugnato proditoriamente dal N. . Ebbene, ciò che soprattutto rileva nella vicenda considerata è che l'imputato ha dimostrato il fatto ingiusto di controparte e nella prospettiva difensiva, deve osservarsi che la connotazione soggettiva, costituita dallo stato d'ira che muove l'azione offensiva, giustifica il riconoscimento di una minore gravità del fatto in presenza dell'ulteriore connotato tipizzante la circostanza attenuante evocata, costituito appunto da un fatto ingiusto della vittima che abbia dato causa alla reazione. La necessità di un legame in termini di stretta consequenzialità tra fatto ingiusto e condotta dell'agente è dall'altra parte resa manifesta nella formulazione normativa dall'uso rafforzativo dei predicati verbali reagito , riferito all'azione, e determinato , riferito allo stato d'ira. Su queste premesse si fonda il principio di diritto secondo cui la circostanza attenuante della provocazione è configurabile solo in presenza di una situazione iniziale di legittimità o, almeno, di non illiceità dell'offensore, confliggente con una opposta condizione di illiceità dell'offeso e qualificata da un intento reattivo a siffatta situazione di illiceità. Anche su tale punto del ricorso difensivo deve pertanto registrarsi, in conclusione, il corretto richiamo alle norme di riferimento e l'adeguata motivazione della tesi assunta. Residua il punto decisivo, anche nella motivazione, impugnata dell'adeguatezza della reazione. Per il riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, infatti, pur non richiedendosi la proporzione tra reazione ed offesa, occorre tener conto del criterio dell'adeguatezza come parametro utile alla valutazione dello stato d'animo del reo che, nel caso di evidente sproporzione, tradisce sentimenti e stati psicologici diversi dallo stato d'ira Cass., Sez. V, 02/03/2004, n. 24693 Cass. Sez. I Sent., 06/11/2008, n. 1214 Cass. Sez. I, 15/07/2010, n. 30469 . Nel caso di specie pertanto, date le premesse in fatto, il punto in diritto da valutare è se risponda ai requisiti di adeguatezza la reazione di chi, dopo essere stato insultato, insieme agli amici presenti, senza ragione alcuna, risponde ad un cazzotto in faccia proditoriamente infetto venendo a colluttazione con l'aggressore, colluttazione nel corso della quale il provocato si difende disarmando il rivale armato di coltello, uccidendolo. Ebbene, in questi termini ed in relazione alla esposta fattispecie, assai più complessa di quella considerata dal giudice di appello, deve valutarsi la ricorrenza o meno di una reazione adeguata, là dove il fatto ingiusto del provocatore è dato, giova ribadirlo, dagli insulti iniziali proditoriamente indirizzati senza ragione alcuna, ai quali ha fatto seguito un cazzotto in faccia e dove la reazione è stata quella di rispondere al cazzotto ingaggiando una colluttazione, nel cui ambito il provocato si è difeso a mani nude disarmando il rivale che tentava di usare in suo danno un coltello con il quale lo aveva ferito ad un braccio. La sentenza va pertanto annullata anche in relazione a tale profilo, affinché la corte di rinvio, sempre in piena libertà di giudizio, rivaluti i fatti di causa nei termini appena esposti e precisati al fine di delibare la sussistenza o meno della attenuante di cui all'art. 62 c.p., co 1 n. 2. P.Q.M. la Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla esimente della legittima difesa ed all'attenuante della provocazione e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di assise di appello di Venezia.