Lo scudo fiscale è applicabile alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, se…

In tema di delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto e punito dall’art. 3 d. lgs. n. 74/2000, la causa di non punibilità del cosiddetto scudo fiscale” prevista dall’art. 13 bis d.l. n. 78/2009 non opera soltanto per i reati commessi dopo l’esportazione irregolare dei capitali all’estero, aventi ad oggetto la mancata dichiarazione, ai fini fiscali, delle attività possedute all’estero nel periodo intercorrente tra l’esportazione e l’emersione. In favore di tale affermazione, depone la ratio stessa del provvedimento, per cui indebita risulta la limitazione ai soli reati tributari che abbiano, come presupposto, attività rimpatriate”, caratterizzate dalla condizione di illiceità/irregolarità, sanzionata solo amministrativamente per essere state trasferite irregolarmente all’estero.

Lo ha stabilito la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50308/2014, depositata il 2 dicembre, accogliendo il ricorso e disponendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato ad altra Sezione della Corte d’appello di Genova. La dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici L’art. 3 d.lgs. n. 74/2000 delinea un’ipotesi di dichiarazione fraudolenta. Si tratta della seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta contemplata dalla riforma del diritto penale tributario del 2000, configurata quale fattispecie sussidiaria rispetto a quella più grave di cui all’art. 2 del decreto, in virtù della clausola di riserva posta all’inizio della norma. Soggetto attivo del reato può essere unicamente colui a carico del quale grava l’obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o dell’IVA, e che allo stesso tempo sia obbligato alla tenuta delle scritture contabili. Ciò si evince con chiarezza dalla stessa formulazione della norma, ove è richiesto che la frode sia attuata per mezzo di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie. Occorre a questo punto chiedersi quali siano nello specifico i soggetti che, in quanto titolari dell’obbligo di tenere le scritture contabili, possono commettere il reato in esame. Bisogna a tal fine richiamare la normativa di riferimento, tanto civilistica quanto tributaria. Innanzi tutto, per la disciplina civilistica, è obbligato a tenere le scritture contabili l’imprenditore che esercita un’attività commerciale art. 2214 c.c. , ad esclusione del piccolo imprenditore. Dunque, gli imprenditori obbligati alla tenuta delle scritture contabili, che possono essere persone fisiche o società, sono i soggetti iscritti nella Sezione ordinaria del Registro delle Imprese, quali le società di persone s.n.c. e s.a.s. , le società di capitali s.p.a., s.a.p.a. e s.r.l. , i consorzi e le società consortili, le società cooperative, i gruppi europei di interesse economico GEIE e le Aziende speciali. il fatto penalmente rilevante Il delitto de quo si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale, che indichi elementi attivi per un ammontare inferiore, ovvero elementi passivi fittizi, ad esempio attraverso la violazione del principio di competenza. Peraltro, la violazione del predetto principio, tale da cagionare errori di impostazione contabile, non è penalmente rilevante, ogni volta in cui si risolve in incongruenze che, di fatto, non sottraggono materia imponibile alla dichiarazione. Di contro, non sussisterà l’ipotesi dell’art. 3 bensì quella di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 qualora il contribuente provveda prima a presentare la dichiarazione mendace, e solo successivamente a porre in essere falsità nella contabilità obbligatoria, utili a supportare a posteriori la falsa dichiarazione dei redditi. La dottrina si è interrogata sul problema comune a tutti i delitti tributari in materia di dichiarazione della rilevanza penale dell’indicazione di elementi passivi che, seppure effettivamente sostenuti dal contribuente, risultino, però, indeducibili. Ci si è chiesti, in particolare, se anche in tal caso possa parlarsi di elementi passivi fittizi idonei a condurre ad una declaratoria di responsabilità penale del contribuente ai sensi dell’art. 3 in esame. Secondo un rigoroso orientamento, per elementi passivi fittizi dovrebbero intendersi tutti quegli elementi indicati in dichiarazione che, secondo le disposizioni fiscali, divergono per eccesso rispetto a quelli effettivi, così ricomprendendo ogni componente negativa di reddito non vera, non inerente, non spettante, o inesistente nella realtà, che risulti dichiarata in misura superiore a quella effettivamente sostenuta, o a quella detraibile. Tale orientamento trova la propria ratio ispiratrice nella necessità, perseguita dal legislatore della riforma del 2000, di punire tutte le condotte che siano concretamente pregiudizievoli per l’Erario. Tuttavia, autorevole dottrina ha sostenuto che la nozione di fittizietà degli elementi passivi indicati in dichiarazione deve essere il più possibile ricavata in base ai principi fondamentali del diritto penale sostanziale, segnatamente sulla scorta del principio di tassatività art. 25, comma 2, Cost. . ed il relativo dolo di evasione. L’elemento soggettivo richiesto dall’art. 3 consiste nella coscienza e nella volontà di porre in essere ciascuna delle componenti costitutive del reato in esame falsità contabile, impiego di artifici e indicazione di attivi inferiori a quelli reali o di passivi fittizi . Come tutti i delitti tributari disciplinati dal d.lgs. n. 74/2000, anche il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici richiede il dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto. Il contribuente può liberamente decidere, fino al momento di presentazione della dichiarazione, se indicare in essa attivi inferiori a quelli reali o passivi fittizi che risultino essere quantitativamente superiori rispetto a quelli penalmente irrilevanti. In altri termini, sino all’ultimo, anche in considerazione della esclusione della punibilità del tentativo, rimane aperta la possibilità, per il contribuente, di non commettere il reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 ottobre – 2 dicembre 2014, n. 50308 Presidente Squassoni – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 31/03/2014, depositata in data 15/04/2014, la Corte d'appello di GENOVA, in parziale riforma della sentenza del tribunale di GENOVA del 19/10/2012 appellata da C.M.A. , dichiarava non doversi procedere in ordine al reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74/2000 per essere estinto per prescrizione, rideterminando la pena ad anni 1 e mesi 8 di reclusione e confermando nel resto l'impugnata sentenza giova precisare, pertanto, che il reato per cui è stata confermata la sentenza di condanna è quello previsto dagli artt. 110, 48 c.p. e 3, d.lgs. n. 74/2000 fatti contestati come commessi Genova il 27/04/2007 . 2. Ha proposto ricorso la C.M.A. , a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la predetta sentenza e deducendo cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b c.p.p. per erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 3, d.lgs. n. 74/2000, con particolare riferimento all'erronea qualificazione dell'elemento di fattispecie del mezzo fraudolento idoneo ad ostacolarne l'accertamento . In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte d'appello ritenuto configurabile il delitto in esame nonostante fosse emerso dagli atti che la società Sansicario s.r.l., di cui la ricorrente era amministratrice, non avesse mai realizzato una sottofatturazione dei ricavi conseguiti per effetto del rapporto contrattuale con la Jumbo Grandi Eventi S.p.A. ciò sarebbe confermato dalle dichiarazioni testimoniali M. , che avrebbero chiarito come, a fronte dei 5 milioni e mezzo di Euro corrisposti dalla Jumbo, solo 3.700.000 Euro risultavano registrati in contabilità, mentre 1.200.000 Euro non risultavano registrati la Corte d'appello sosterebbe erroneamente quanto all'individuazione del mezzo fraudolento ex art. 3, d.lgs. n. 74/2000 che al dirottamento di parte dei bonifici dal conto della Sansicario al conto fiduciario è corrisposta la creazione di documentazione bancaria alterata, in cui erano sottorappresentati i pagamenti eseguiti dalla Jumbo alla Sansicario, sicché in tale accorgimento bancario consisterebbe il mezzo fraudolento strumentale alla falsa rappresentazione contenuta nelle scritture contabili, a sua volta poste alla base della dichiarazione fraudolenta tale affermazione sarebbe errata in quanto la società Sansicario non ha registrato nelle proprie scritture contabili tutti gli estratti conto, né l'incasso degli importi in realtà bonificati dalla Jumbo, non avendo dichiarato ai fini delle imposte sui redditi i ricavi nella loro integrante la condotta che la Corte d'appello ha ritenuto integrare la fattispecie penale, ossia la destinazione di parte dei ricavi su conto fiduciario riferibile alla ricorrente, non è tale da integrare l'elemento oggettivo richiesto, in quanto la Corte avrebbe confuso l'ostacolo all'accertamento sulla falsa registrazione nelle scritture contabili, con l'ostacolo all'accertamento della destinazione dei ricavi non registrati nelle scritture contabili e, quindi, non dichiarati in realtà, la Sansicario aveva rappresentato fedelmente negli estratti conto trasmessi alla Jumbo l'ammontare dei ricavi pattuiti e corrisposti, sicché il dirottamento di parte dei ricavi in cui consisterebbe l'artificio contestato si collocherebbe in un momento ulteriore rispetto al falso contabile, con la conseguenza che la Corte d'appello avrebbe annullato la differenza tra il delitto di cui all'art. 3 e quello di cui all'art. 4 ne conseguirebbe, dunque, l'insussistenza del fatto, in quanto la fattispecie concreta non sarebbe riportabile al modello astratto, che impone la presenza, accanto al falso contabile, del mezzo fraudolento idoneo ad ostacolare l'accertamento del predetto falso contabile. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e c.p.p. per mancanza della motivazione in merito al motivo II dell'atto di appello, concernente l'inidoneità del mezzo fraudolento, ove ritenuto sussistente. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per non aver la Corte d'appello motivato in ordine al motivo n. 2 dell'atto di appello, in cui veniva dedotta la subordinata questione dell'idoneità del ritenuto mezzo fraudolento, individuato nella parziale destinazione dei ricavi conseguiti dalla Sansicario a conto corrente fiduciario la sentenza della Corte territoriale non tratterebbe minimamente la questione, come del resto sarebbe desumibile agevolmente dalla semplice lettura della pag. 1 della sentenza che, nel riassumere i motivi di impugnazione, trascurerebbe proprio il motivo II dell'appello né potrebbe sostenersi che la Corte abbia rigettato implicitamente tale motivo, non emergendo dalla lettura della sentenza impugnata alcuna indicazione in tal senso, non avendo neppure motivato sulla natura giuridica del reato in questione, ossia se si tratti di reato di pericolo astratto o concreto, con gli inevitabili riflessi in punto di idoneità del mezzo fraudolento all'ostacolo dell'accertamento del falso contabile. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e c.p.p. per illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta esistenza del dolo specifico di evasione. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte d'appello ritenuto che il dolo specifico di evasione si accompagnasse all'intento di tutela patrimoniale della Sansicario, in quanto se la finalità esclusiva della ricorrente fosse stata quella difensiva, avrebbe potuto e dovuto, una volta messe al sicuro le somme dirottate su conto fiduciario, annotare nelle scritture contabili e indicare in dichiarazione la totalità dei ricavi percepiti da Jumbo, così realizzando la fedeltà dichiarativa cui si sostiene che l'imputata non volesse sottrarsi, laddove, invece, le omissioni annotative e dichiarative avrebbero confermato unicamente la finalità di evasione richiesta dalla norma incriminatrice detta motivazione sarebbe illogica in quanto la Corte, ammettendo la finalità di tutela patrimoniale, avrebbe dovuto tener presente che tale finalità sarebbe perdurata anche successivamente alle Olimpiadi del 2006, atteso che gli inadempimenti contrattuali contestati dalla Jumbo non si sarebbero prescritti in così breve tempo inoltre, la sentenza avrebbe fatto leva su presunti doveri dichiarativi ed annotativi dei ricavi celati dalla Sansicario, dimenticando però di considerare che la ricorrente aveva posto in essere la procedura di emersione c.d. scudo fiscale disciplinata dal d.l. n. 78/2009 l'aver quindi, da un lato, censurato la condotta della ricorrente per non aver fatto emergere all'attenzione dell'Erario i ricavi riservati e, dall'altro, affrontato il tema della rilevanza penale della procedura di emersione delle attività finanziarie così riconoscendo che la stessa imputata aveva fatto emergere i ricavi riservati , sarebbe illogico. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b c.p.p. per erronea interpretazione dell'art. 13 bis, d.l. n. 78/2009 c.d. scudo fiscale , con riguardo alla portata ed effetti dell'istituto. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte d'appello escluso l'applicazione della causa di non punibilità prevista dal d.l. n. 78/2009 la Corte d'appello avrebbe frainteso, anzitutto, tra i presupposti di applicazione della procedura ed i suoi effetti l'art. 13 bis, d.l. n. 78/2009 non limiterebbe la regolarizzazione alle attività finanziarie che non siano frutto di reati tributari, ma richiederebbe esclusivamente che il contribuente abbia trasferito all'estero dette attività senza rispettare le norme sul monitoraggio fiscale né avrebbe rilievo che le somme in questione derivino da mero illecito amministrativo ovvero da illecito penale tributario la Corte, inoltre, avrebbe erroneamente affermato che i reati tributari che possono essere non punibili per effetto dell'adesione alla procedura di regolarizzazione, sarebbero esclusivamente quelli aventi ad oggetto la mancata dichiarazione a fini fiscali delle attività possedute all'estero nel periodo intercorrente tra l'esportazione e l'emersione, in sostanza affermando che realizzi un reato tributario in dichiarazione il contribuente che non dichiari le attività finanziarie possedute all'estero tale affermazione sarebbe erronea, in quanto la condotta in esame costituisce un illecito amministrativo, contemplato dal d. lgs. n. 231/2007, sicché sia nel 2009 epoca in cui era possibile aderire allo scudo fiscale sia in precedenza, non realizzava un reato tributario il contribuente che si fosse limitato a non riportare in dichiarazione le attività finanziarie detenute all'estero in violazione delle norme in materia di monitoraggio fiscale in definitiva, quindi, la Corte avrebbe mal interpretato l'art. 13 bis, d.l. n. 78/2009, per aver ritenuto che la causa di non punibilità ivi disciplinata non si applichi mai ai reati commessi prima del trasferimento all'estero del denaro o delle altre attività. La ricorrente, peraltro, prosegue precisando che la stessa avrebbe potuto giovarsi della causa di non punibilità atteso che gli effetti penali dello scudo fiscale sarebbero disciplinati esclusivamente dall'art. 8 della legge n. 289/2002, con conseguente esclusione della punibilità per i reati commessi dal soggetto quale legale rappresentante di una persona giuridica, nella specie di una società commerciale in particolare, si osserva, le norme definitorie concernenti il soggetto che agisca quale rappresentante legale di società, non modificano la struttura della fattispecie incriminatrice, ma hanno la funzione specifica di consentirne l'applicazione anche al fatto commesso dall'amministratore, sicché il reato tributario commesso dalla persona fisica in quanto tale non si differenzierebbe dal reato tributario commesso dalla persona fisica quale legale rappresentante di società tale principio, si osserva in ricorso, sarebbe stato seguito anche da questa stessa Corte, affermando che la causa di non punibilità in questione si applica anche al legale rappresentante di società, qualora questi possa esserne definito il dominus il riferimento, in ricorso è a Cass. Pen., sez. 4, 28 ottobre 2013, n. 44003 sul punto, dalla deposizione di un teste Barre emergerebbe pacificamente che la ricorrente era l'unico soggetto di riferimento della società Sansicario, dunque il dominus . 2.4. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e c.p.p. per travisamento della prova documentale attestante la sopportazione da parte della società Sansicario s.r.l. di costi non documentati. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza per aver la Corte d'appello escluso l'applicazione della causa di non punibilità prevista dal d.l. n. 78/2009 in quanto la ricorrente avrebbe sottoposto a regolarizzazione l'importo di 1.345.000 Euro a fronte di un importo complessivo di ricavi non registrati, pari ad Euro 1.825.061 in particolare, la difesa assumeva nel giudizio di merito, avvalendosi di documenti, che anche l'Agenzia delle Entrate avesse riconosciuto l'esistenza di costi non documentati da parte della società, in particolare all'atto della conciliazione giudiziale dei processi tributari scaturiti dall'impugnazione, ad opera della Sansicario, degli avvisi di accertamento notificati dall'Agenzia delle Entrate per quanto qui di interesse relativi all'esercizio 2005/2006 la Corte d'appello sarebbe incorsa nel vizio di travisamento probatorio nell'affermare che l'ammontare di tali costi non sarebbe stato provato in alcun modo né che sarebbe stato determinato l'ammontare in via conciliativa, asserendo esservi in atti solo una proposta di conciliazione giudiziale proveniente dall'imputata indirizzata alla Direzione provinciale di Genova ma depositata né approvata dall'ufficio Finanziario in realtà, osserva la ricorrente, detta proposta datata 25/01/2012 proviene dalla Direzione provinciale di Genova e non dall'imputata, è stata regolarmente sottoscritta dal direttore provinciale, risulta accettata dalla ricorrente rappresentata dal procuratore speciale, riconosce l'esistenza di costi non documentati per un importo pari ad Euro 326.000 ed, infine, contiene quale allegato il mod. F24 attestante il versamento della prima rata delle imposte dovute per effetto della conciliazione Euro 32.782,21 quanto sostenuto in sentenza, quindi, contrasterebbe con un dato documentale incontrovertibile, dato di assoluto rilievo in quanto se la Corte d'appello avesse tenuto conto di quei costi non documentati, non avrebbe potuto sostenere che la Sansicario non li avesse sostenuti e che non poteva giustificarsi la regolarizzazione di un importo Euro 1.345.000 inferiore rispetto a quello Euro 1.825.061 costituito dall'ammontare dei ricavi non registrati nelle scritture contabili della stessa Sansicario, dovendosi attribuire la differenza tra i due importi al sostenimento di costi non documentati nella gestione dell'impresa ad opera della Sansicario medesima conseguentemente, quindi, la Corte d'appello avrebbe dovuto diversamente decidere in punto di riconoscimento degli effetti penali dello scudo fiscale e, in particolare, della causa di non punibilità prevista dall'art. 13 bis citato. Considerato in diritto 3. Il ricorso dev'essere accolto per le ragioni di seguito esposte. 4. Seguendo la sistematica imposta dalla struttura dell'impugnazione di legittimità, possono essere esaminati congiuntamente i primi tre motivi di ricorso, mediante i quali la ricorrente pone delle censure afferenti la sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74/2000, donde l'opportunità di un loro esame contestuale attesa l'omogeneità dei profili di doglianza mossi con la cesure proposte. Al fine, peraltro, di meglio chiarire le ragioni che hanno condotto questa Corte ad adottare la decisione di annullamento, si palesa necessario un, seppur sintetico, inquadramento fattuale della vicenda che, come premesso, concerne esclusivamente i fatti contestati al capo b della rubrica, attesa l'intervenuta sentenza di proscioglimento quanto ai fatti sub a . 4.1. Nel corso degli anni dal 2004 al 2006 la società SANSICARIO 2006 s.r.l. d'ora in poi SANSICARIO , di cui la ricorrente era amministratrice, riceveva dalla committente JUMBO GRANDI EVENTI d'ora in poi JUMBO pagamenti per circa 5 milioni e mezzo di Euro a titolo di corrispettivo della prestazioni rese dalla SANSICARIO in esecuzione di un accordo contrattuale stipulato tra le parti il 12 luglio 2004 i pagamenti vennero eseguiti dalla JUMBO mediante bonifici bancari disposti sul c/c di SANSICARIO, senza tuttavia che la SANSICARIO avesse preventivamente provveduto all'emissione delle fatture, sul presupposto che sulle prestazioni fornite dalla SANSICARIO non fosse dovute l'IVA. In base ad accordi intervenuti tra la ricorrente e il direttore della filiale di omissis dalla Banca Intesa San Paolo, tale R.M. coimputato nei cui confronti di è proceduto separatamente a seguito della presentazione di istanza di patteggiamento , una parte dei bonifici venne deviata dal c/c della SANSICARIO al c/c acceso presso la stessa filiale ed intestato alla società SAN PAOLO FIDUCIARIA S.p.A., di cui fiduciante era tale Ma.Lu. , figlia dell'attuale ricorrente. La somma complessivamente oggetto della deviazione risultava pari a circa 1.800.00 Euro, corrispondente alla differenza tra l'ammontare dei pagamenti eseguiti dalla JUMBO e l'ammontare dei ricavi che la SANSICARIO aveva annotato nelle proprie scritture contabili e successivamente indicato nelle dichiarazioni annuali delle imposte sui redditi. La stessa ricorrete, in sede di dichiarazioni rese a più riprese nel corso delle attività di verifica, descriveva l'operazione, indicando nel R. , il quale aveva le competenze tecniche necessarie, l'ideatore dell'espediente utilizzato per la deviazione di parte dei bonifici eseguiti dalla JUMBO, attuata in modo tale che non rimanesse alcuna traccia sul c/c della SANSICARIO. 4.2. Premesso in fatto quanto sopra, la Corte territoriale ha ritenuto configurabile nella condotta della ricorrente la fattispecie penale di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74/2000. In particolare, si legge nell'impugnata sentenza, scomponendo la fattispecie penale in esame, ai fini della configurabilità dell'illecito occorrono tre distinti elementi a la falsità della rappresentazione contenuta nelle scritture contabili obbligatorie b l'uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento di detta falsità c la conseguente indicazione nella dichiarazione annuale, per quanto rileva nel caso i esame, di elementi attivi di ammontare inferiore a quello effettivo. Orbene, osservano i giudici liguri, non contestandosi da parte della ricorrente gli elementi sub a e sub c , la stessa sosteneva e sostiene anche davanti a questa Corte che non vi sia stato uso di mezzi fraudolenti perché l'omissione dichiarativa consistette semplicemente nella mancata indicazione della dichiarazione di una parte dei ricavi corrisposti dalla JUMBO a riprova dell'assenza di mezzi fraudolenti, la ricorrente, già in sede di appello, aveva osservato che l'omissione dichiarativa venne scoperta grazie al semplice raffronto tra l'ammontare dei pagamenti eseguiti dalla JUMBO, cui corrispondevano altrettante quietanze rilasciate dalla SANSICARIO, ed il minore importo dei ricavi risultante dalle scritture contabili ed indicato in dichiarazione dalla SANSICARIO medesima. Tale tesi, tuttavia, venne confutata dalla Corte territoriale evidenziando come, diversamente, dagli atti emergeva che in base agli accordi suindicati tra la ricorrente ed il R. , venne creata documentazione bancaria alterata proprio al fine di convalidare le falsità rappresentative contenute nelle scritture contabili della SANSICARIO. Pertanto, si aggiunge in sentenza, nei rapporti tra le parti, a tutti i bonifici emessi dalla JUMBO corrispose l'emissione da parte della SANSICARIO di altrettanti estratti conto di importo corrispondente, aventi la funzione di quietanza. Nelle scritture contabili della SANSICARIO, invece, si sottolinea nell'impugnata sentenza, venne annotata solo una parte dei pagamenti eseguiti mediante i bonifici suddetti e, per fare in modo che la documentazione bancaria convalidasse tali annotazioni, solo una parte dei bonifici della JUMBO venne fatta affluire sul c/c della SANSICARIO, mentre un'altra parte, per un ammontare di circa 1.800.000 Euro venne dirottata sul c/c fiduciario sopra indicato, senza lasciare alcuna traccia sul c/c della SANSICARIO. Al dirottamento di parte dei bonifici dal c/c della SANSICARIO al conto fiduciario corrispose la creazione di documentazione bancaria alterata, nella quale erano sottorappresentati i pagamenti eseguiti dalla JUMBO alla SANSICARIO. In tale accorgimento, in particolare, i giudici d'appello individuano il mezzo fraudolento strumentale alla falsa rappresentazione contenuta nelle scritture contabili, a sua volta posta a base della dichiarazione fraudolenta. Infatti, aggiungono, l'istituto di credito, se richiesto di fornire chiarimenti circa l'ammontare dei ricavi conseguiti dalla SANSICARIO nell'ambito dei rapporti contrattuali con la JUMBO, avrebbe confermato la corrispondenza tra i pagamenti eseguiti dalla JUMBO e le corrispondenti annotazioni eseguite nelle scritture contabili della SANSICARIO. 4.3. La difesa della ricorrente, come anticipato nell'esposizione dei motivi di ricorso, sostiene, da un alto, che la condotta che la Corte d'appello ha ritenuto integrare la fattispecie penale ossia la destinazione di parte dei ricavi su conto fiduciario riferibile alla ricorrente , non è tale da integrare l'elemento oggettivo richiesto, in quanto la Corte avrebbe confuso l'ostacolo all'accertamento sulla falsa registrazione nelle scritture contabili, con l'ostacolo all'accertamento della destinazione dei ricavi non registrati nelle scritture contabili e, quindi, non dichiarati in realtà, si sostiene, la Sansicario aveva rappresentato fedelmente negli estratti conto trasmessi alla Jumbo l'ammontare dei ricavi pattuiti e corrisposti, sicché il dirottamento di parte dei ricavi in cui consisterebbe l'artificio contestato si collocherebbe in un momento ulteriore rispetto al falso contabile dall'altro, poi, censura comunque l'idoneità del mezzo fraudolento all'ostacolo dell'accertamento del falso contabile, questione su cui la Corte territoriale non avrebbe speso alcuna argomentazione. Ritiene il Collegio che entrambe le doglianze, seppur suggestive, debbano essere rigettate. Ed infatti, è emerso che la SANSICARIO non aveva registrato in contabilità la somma di 1.800.00 Euro rispetto alla somma per intero corrispostagli dalla JUMBO pari, come detto, a circa 5 milioni e mezzo di Euro l'accertata evasione venne verificata sulla base di un riscontro contabile, in quanto presso la JUMBO vennero reperiti gli estratti conto emessi dalla SANSICARIO che, come detto, fungevano da quietanze di pagamento, trattandosi di elemento contabile che la JUMBO utilizzava per giustificare le uscite sostenute quale corrispettivo della prestazioni eseguite dalla SANSICARIO, sicché detti estratti conto erano stati regolarmente contabilizzati dalla JUMBO. Non può sostenersi, tuttavia, come invece tenta di fare la difesa, che difetterebbero, nel caso in esame, quegli strumenti fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento del falso cintabile, in quanto il dirottamento di parte dei ricavi in cui la Corte d'appello individua l'artificio , si collocherebbe in un momento successivo al falso medesimo, tant'è che lo stesso sarebbe emerso dal mero raffronto tra la documentazione contabile della SANSICARIO come fedelmente rappresentato negli estratti conto trasmessi alla JUMBO e l'indicazione infedele nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi. Per meglio comprendere la soluzione di questo Collegio, è sufficiente richiamare la previsione sanzionatoria. Dall'esame dell'art. 3, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici , emerge come la condotta che realizza il reato in esame richiede una pluralità di comportamenti, richiedendosi la compresenza dei seguenti componenti 1 indicazione, in una, delle dichiarazioni annuali riguardanti le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, o di dati attivi per un ammontare al di sotto di quello reale, o di elementi passivi fittizi 2 la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie del predetto mendacio 3 l'utilizzo, infine, di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento ad opera degli organi investigativi all'uopo preposti. Esaminando, per quanto di interesse in questa sede, la seconda componente, è indubbio che la mendacità della dichiarazione si manifesta attraverso i dati economici inerenti o gli elementi attivi e passivi che saranno indicati nella denuncia dei redditi, oppure i valori che influiscono sulla determinazione di tali elementi. Questa stessa Sezione, in particolare, ha confermato che la falsa rappresentazione può realizzarsi anche in forma omissiva Sez. 3, n. 1200 del 02/12/2011 dep. 16/01/2012, Ciotti e altro, Rv. 251894 Sez. 3, n. 2292 del 22/11/2012 dep. 16/01/2013, Stecca, Rv. 254136 , dunque rientrandovi anche comportamenti, come quello in esame, in cui la condotta è consistita nella mancata registrazione di ricavi nelle scritture contabili. È certo, comunque, anche ove possibile la realizzazione in forma omissiva della fattispecie penale, che tale condotta deve essere in ogni caso accompagnata da un quid pluris di natura commissiva, grazie al quale si passa dall'area di competenza della dichiarazione infedele a quella della dichiarazione fraudolenta e tale ulteriore elemento si identifica nel terzo componente della catena criminosa, ossia l'utilizzo da parte del contribuente di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento. Trattasi di elemento della condotta penalmente rilevante di difficile definizione, come già accaduto per l'art. 4, comma 1, lett. f , della legge n. 516/1982. Secondo alcuni autori, che si sono pronunciati nella vigenza della disciplina precedente, il reato deve essere costruito a forma libera , poiché è pressoché impossibile definire in un'unica precisa elencazione i comportamenti fraudolenti preordinati all'evasione fiscale. Con il termine mezzi si vuole indicare, non tanto l'oggetto materiale, ma piuttosto una condotta od un insieme di condotte predisposte per uno scopo. Il predicato fraudolenti , invece, richiama una condotta di frode, e non una semplice intenzione soggettiva dell'agente, di modo che il comportamento materiale del contribuente deve essere idoneo a trarre in inganno gli organi competenti, facendo sembrare la realtà difforme da come sarebbe in concreto. Fra i mezzi fraudolenti , rilevanti ai fini dell'applicabilità della norma, rientra l'ipotesi dell'utilizzazione di falsa documentazione, ovviamente diversa dalle fatture od altri documenti per operazioni inesistenti, considerati dall'art. 2 del medesimo decreto. La falsità, che può essere tanto materiale che ideologica, inoltre, deve riguardare documenti aventi direttamente od indirettamente rilevanza fiscale. Orbene, osserva il Collegio, elementi utili al fine di attrarre nella nozione di mezzi fraudolenti anche i comportamenti posti in essere dalla SANSICARIO si traggono dalla Relazione ministeriale al punto 3.1.2 , la quale asserisce che la formula legislativa in parola, senza qualificare tout court come artificio la violazione degli obblighi di fatturazione e registrazione , lascia all'interprete la possibilità di determinare, nel caso concreto, se essa per le sue particolari modalità, connesse anche al carattere di sistematicità, o per le circostanze di contorno quale, ad esempio, la tenuta e l'occultamento di una contabilità nera , che eventualmente le conferiscano una particolare insidiosità rientri nel paradigma punitivo della dichiarazione fraudolenta . Ed allora, osserva questa Corte, che di mezzi fraudolenti si sia trattato non può essere posto in dubbio, atteso che risulta dall'impugnata sentenza che all'omessa annotazione dei ricavi per 1.800.000 Euro da parte della SANSICARIO corrispose sì la redazione degli estratti conto con funzione di quietanza trasmessi alla JUMBO, estratti conto che ovviamente vennero reperiti esclusivamente nella contabilità della JUMBO medesima e non, invece, nella contabilità della SANSICARIO , creando, peraltro, artificiosamente e, dunque, fraudolentemente un'apparente regolarità bancaria con il compiacente concorso del funzionario della banca su cui era acceso il c/c della SANSICARIO e della fiduciaria verso il quale i ricavi occultati vennero deviati atteso che, come la stessa sentenza evidenzia, l'istituto di credito avrebbe confermato, ove richiesto, la corrispondenza delle risultanze contabili della SANSICARIO con le risultanze bancarie. Ed allora, non v'è dubbio che nel caso in esame sussista quel quid pluris rispetto alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligatorie e, cioè, quella condotta connotata da particolare insidiosità derivante dall'impiego di artifici idonei ad ostacolare l'accertamento della falsità contabile Sez. 3, n. 2292 del 22/11/2012 dep. 16/01/2013, Stecca, Rv. 254136 Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013 dep. 06/09/2013, Mainardi e altri, Rv. 258041 , non potendosi quindi sostenere, come invece la difesa della ricorrente ha tentato argutamente di sostenere, che la Corte territoriale abbia fatto confusione tra l'ostacolo all'accertamento del falso contabile e l'accertamento della destinazione di ricavi non dichiarati. 4.4. Perde, quindi, di spessore argomentativo l'ulteriore doglianza difensiva secondo cui la condotta posta in essere dalla SANSICARIO e, per essa, dall'amministratrice C. difetterebbe dell'idoneità dell'atto ad ostacolare l'accertamento. Sul punto, osserva il Collegio è ben vero che i mezzi fraudolenti devono essere idonei ad ostacolare l'accertamento, non rientrandovi solo quelle operazioni che, benché aventi l'obiettivo esclusivo di diminuire la base imponibile, senz'altra giustificazione economica, siano poste in essere in modo totalmente trasparente senza, cioè, che sia esposta una situazione di fatto diversa da quella reale, consentendo così all'Erario di agire secondo gli strumenti dell'ordinamento per eliminare i benefici fiscali che ne derivino art. 7, comma primo, d.lgs. n. 74/2000 . Per accertamento deve comprendersi, sia quello compiuto dall'Erario, sia quello effettuato dai tribunali ai fini penalistici. L'idoneità ad ostacolare l'accertamento non deve consistere necessariamente nella capacità di rendere difficoltosa o impossibile in modo assoluto la ricostruzione dei redditi o del giro d'affari del contribuente, essendo sufficiente che la condotta dell'agente abbia reso necessari, per la scoperta della mendacità dichiarata, accertamenti fiscali ed indagini penali, diversamente non necessari. Non agevole, in linea generale, è la misurazione di una tale idoneità ad ostacolare non ad impedire si badi alla differenza terminologica rispetto, ad esempio, alla fattispecie di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 74/2000 ed all'art. 216, comma 2, della Legge fallimentare l'attività di accertamento ritenendo necessario il frapponimento di un ostacolo assoluto ed insormontabile, infatti, si finirebbe con il limitare di molto le potenzialità della fattispecie, il cui ambito di applicazione risulterebbe circoscritto ai soli casi nei quali gli organi accertatori, nonostante l'impiego di tecniche di ricostruzione contabile anche sofisticate, risultassero in definitiva impotenti al cospetto dell'attività decettiva realizzata. Si è in presenza di una formula alquanto elastica, non infrequente nella tecnica legislativa adottata in materia penale economica e probabilmente ciò rappresenta il punto di maggior duttilità della fattispecie, grazie all'impiego di una formula che, in ogni caso, tocca alla giurisprudenza riempire contenutisticamente, mantenendo fermo quell'orientamento già elaborato in sede di interpretazione delle previgenti fattispecie ed in forza del quale erano ritenute rilevanti quelle condotte di ostacolo tali da complicare in misura tangibile l'ordinaria attività di indagine Cass. 15 febbraio 1991, in Corr. trib., 1991, pag. 1783 Cass., 7 giugno 1988, in Cass. pen., 1990, pag. 1383 Cass. 25 gennaio 1982, in Riv. pen., 1983, pag. 51 Cass., 13 gennaio 1992, in Dir. prat. trib., 1993, II, pag. 756 . Ed allora non v'è dubbio che avuto riguardo al caso in esame l'idoneità della condotta ad ostacolare l'accertamento è agevolmente desumibile dalla stessa struttura complessiva dell'operazione, non rilevando la circostanza che non furono necessari accertamenti complessi per rilevare l'omessa dichiarazione della somma di 1.800.000 Euro sol perché dal riscontro della contabilità della JUMBO in cui vennero trovati i famosi estratti conto emessi dalla SANSICARIO emerse la fraudolenza della dichiarazione della SANSICARIO medesima che aveva occultato parte dei corrispettivi ricevuti dalla JUMBO, in quanto come detto è sufficiente che fossero stati necessari accertamenti fiscali ed indagini penali finalizzate, nella specie, a disvelare l'ingegnoso artificio bancario finalizzato a far risultare corrispondente l'apparenza alla realtà contabile della SANSICARIO in caso di controlli per scoprire il mendacio, che altrimenti non sarebbero stati necessari. Di conseguenza, quindi, la condotta complessivamente posta in essere acquisisce rilievo rappresentando l'organizzazione e la pianificazione complessiva di un'attività con cui si è volutamente creata un'apparenza contabile volta a fare premio sulla realtà. Ne discende, quindi, che contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente la Corte d'appello ha implicitamente disatteso la censura difensiva contenuta nel relativo motivo di appello con cui si contestava l'omessa motivazione in ordine all'idoneità del predetto mezzo fraudolento ad ostacolare l'accertamento, essendo evidente che come si evince dal passaggio argomentativo a pag. 3 dell'impugnata sentenza proprio il riferimento alla circostanza della conferma sulla regolarità dell'operazione che la banca avrebbe potuto fornire in caso di richiesta, era dimostrativa della valutazione, sottintesa dai giudici liguri, dell'idoneità della condotta fraudolenta ad ostacolare l'accertamento. Del resto, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui ove il giudice di merito, tenendo conto degli elementi di prova ritenuti di decisivo rilievo, li sviluppi con iter logico e fondi su di essi il giudizio di responsabilità non ha l'obbligo di indugiare in tutte le particolareggiate argomentazioni difensive svolte dato che, in tal caso, l'indicazione delle fondamentali ragioni sulle quali poggia il suo convincimento chiarisce i dati di fatto valorizzati, le prove ed il ragionamento seguito, implicitamente ma necessariamente così disattendendo tutte le argomentazioni incompatibili con la soluzione adottata v., tra le tante Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012 dep. 28/12/2012, Muià e altri, Rv. 254107 . 4.5. Non miglior sorte merita l'ulteriore doglianza difensiva posta con il terzo motivo con cui si censura il mancato accertamento dell'elemento psicologico del reato. Sul punto, la Corte territoriale nel confutare la richiesta difensiva avente pari tenore fondata sull'assunto per il quale il fine perseguito dalla ricorrente non era quello di evadere le imposte, ma quello di non far affluire sui conti correnti della SANSICARIO somme di denaro che avrebbero potuto essere oggetto di iniziative di sequestro da parte della JUMBO che, a detta della ricorrente, aveva mostrato un atteggiamento fortemente conflittuale nella gestione del rapporto contrattuale con la SANSICARIO -, ebbe a ritenere che, a prescindere dall'esistenza di elementi che confermassero l'esistenza del pericolo prospettato dalla ricorrente medesima, non fosse comunque possibile escludere il dolo specifico. In particolare, si legge in sentenza pag. 3 che, anche ritenendo che la condotta della ricorrente fosse stata ispirata dal predetto intento di autotutela, dovrebbe comunque concludersi che detto intento si accompagnava a quello di evadere le imposte, che, non costituendo il fine esclusivo delle condotte sottoposte a sanzione ex art. 3, d.lgs. n. 74/2000, ben può essere affiancato da una o più finalità concorrenti, siano esse di natura lecita od illecita. A ciò, poi, si aggiungeva, come sottolineato nella motivazione dell'impugnata sentenza, come la circostanza che la ricorrente avesse agito ocn dolo di evasione era desumibile dal fatto che, se la sua finalità esclusiva fosse stata quella sostenuta, la medesima avrebbe potuto e dovuto, una volta messe al sicuro le somme dirottate sul c/c fiduciario, annotare nelle scritture contabile e indicare in dichiarazione la totalità dei ricavi percepiti dalla JUMBO, così realizzando quella fedeltà dichiarativa cui la difesa sostiene che la ricorrente non volesse sottrarsi. Diversamente, concludono i giudici di appello, le omissioni annotative e dichiarative confermerebbero univocamente la finalità di evasione richiesta dalla norma incriminatrice. La difesa della ricorrente, nel terzo motivo dell'impugnazione di legittimità, ha sostenuto che tale motivazione sarebbe affetta da illogicità, nel senso che l'aver da un lato, la Corte d'appello censurato la condotta della ricorrente per non aver fatto emergere all'attenzione dell'Erario i ricavi riservati e, dall'altro, affrontato il tema della rilevanza penale della procedura di emersione delle attività finanziarie così riconoscendo che la stessa imputata aveva fatto emergere i ricavi riservati , sarebbe illogico. Anche tale censura non merita accoglimento. Ed infatti, nessuna manifesta illogicità attesa l'esclusività del motivo di ricorso proposto, con cui non si censura la erronea applicazione dell'art. 3, d.lgs. n. 74/2000, ma soltanto l'illogicità della motivazione della sentenza che lo ha riconosciuto configurabile è ravvisabile nel percorso logico argomentativo che ha condotto i giudici di appello a ritenere sussistente il dolo specifico di evasione nella condotta della ricorrente. Non si vede, infatti, per quale ragione debba essere considerato illogico per dipiù, lo si precisi per completezza, manifestamente illogico , come richiesto dalla lett. e dell'art. 606 cod. proc. pen., ossia in una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 dep. 23/07/1999, Commisso ed altri, Rv. 215132 , l'aver ritenuto configurabile il dolo concorrente di evasione a voler seguire la tesi difensiva e, nel contempo, l'aver affrontato la questione attinente alla procedura di emersione che, peraltro, rileva in termini di non punibilità della condotta, ciò che non esclude la sussistenza del corrispondente elemento soggettivo sotteso alla condotta illecita . Alla stregua di quanto sopra, quindi, la censura difensiva, più che rivolgersi verso la manifesta illogicità della motivazione, si risolve in una critica, benché suggestiva, non alla struttura argomentativa dell'impugnata sentenza, ma al risultato della valutazione con cui la Corte d'appello ha ritenuto di dover confermare la configurabilità del dolo specifico di evasione, operazione, questa, com'è noto non consentita davanti a questa Corte di legittimità. Del resto, il vizio motivazionale denunciato, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta doppia conforme e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774 . Anche tale motivo deve, pertanto, essere rigettato perché infondato. 5. Devono, infine, essere esaminati i residui motivi di ricorso il quarto ed il quinto che, per l'omogeneità dei profili di doglianza mossi, sono suscettibili di una congiunta trattazione. Le censure difensive, in particolare, attengono come ricordato in precedenza in sede di esposizione illustrativa dei motivi in questione da un lato, sull'errore di diritto in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nell'interpretare l'art. 13 bis, d.l. n. 78/2009 in particolare, per aver ritenuto che la causa di non punibilità ivi disciplinata non si applichi mai ai reati commessi prima del trasferimento all'estero del denaro o delle altre attività e, dall'altro, per l'intervenuto travisamento della prova documentale attestante la sopportazione da parte della società Sansicario s.r.l. di costi non documentati. Ritiene il Collegio che entrambe le doglianze siano meritevoli di accoglimento. Al fine di meglio lumeggiare le ragioni che hanno indotto questa Corte all'accoglimento, è utile richiamare il percorso logico argomentativo sviluppato dalla Corte d'appello al fine di escludere l'applicazione della causa di non punibilità costituita dal c.d. scudo fiscale. La Corte conferma, anzitutto, esservi in atti la dichiarazione riservata delle attività emerse presentata dalla ricorrente in data 14 dicembre 2009, nella quale il totale delle attività detenute all'estero e soggette all'imposta straordinaria prevista dal citato art. 13 bis è indicato in Euro 1.345.000 secondo la Corte d'appello che, sul punto, mostra di condividere l'assunto del giudice di prime cure dalla presentazione di tale dichiarazione non potrebbero derivare gli effetti di esclusione della punibilità previsti dall'art. 13 bis del citato d.l., in base al rilievo che nella previsione di detta norma non vi rientrerebbero le attività patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato, ma soli i reati che hanno ad oggetto l'omessa dichiarazione di tali attività nonché i reati di falso a questi ultimi connessi. In altri termini, secondo la Corte d'appello, i reati inclusi nell'area della citata norma sarebbero solo quelli disvelati dalla dichiarazione riservata, consistenti nell'omessa ostensione delle attività possedute all'estero nel periodo antecedente alla dichiarazione, ma non i reati che hanno portato al conseguimento, come prezzo o profitto, di tali attività. In applicazione di tale esegesi, dunque, secondo i giudici di appello, i reati non punibili grazie alla procedura di rimpatrio sarebbero soltanto quelli riguardanti le infedeltà dichiarative commesse negli anni successivi alla commissione dei reati per cui si procede e fino alla dichiarazione riservata, e perciò nel periodo compreso tra il 27 aprile 2007 data di commissione del secondo reato, contestato al capo b e il 14 dicembre 2009 data di presentazione della dichiarazione riservata . La Corte territoriale, dunque, pur ammettendo che la causa di non punibilità di cui all'art. 13 bis sia astrattamente applicabile anche al reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74/00, oggetto di contestazione, ritiene però che l'esclusione della predetta causa di non punibilità discenda dall'individuazione contenuta nel comma primo del predetto articolo delle attività finanziarie e patrimoniali per le quali il perfezionamento della procedura di rimpatrio determina l'esclusione della punibilità penale. Secondo i giudici liguri, la disposizione del comma primo dovrebbe intendersi nel senso che le attività suscettibili di rimpatrio sono soltanto quelle caratterizzate dalla condizione di irregolarità/illiceità sanzionata amministrativamente di essere state trasferite all'estero irregolarmente, ma non quelle di provenienza delittuosa, per le quali non sarebbe neppure ipotizzabile una procedura di regolarizzazione. Ciò, dunque, comporterebbe che i reati tributari inclusi nella previsione dell'art. 13 bis e quelli di falso connessi per i quali opera la causa di non punibilità sarebbero quelli e soltanto quelli -commessi dopo l'esportazione irregolare, che hanno ad oggetto la mancata dichiarazione a fini fiscali delle attività possedute all'estero nel periodo intercorrente tra l'esportazione e l'emersione. 5.1. Così ricostruito il ragionamento della Corte territoriale, ritiene il Collegio che lo stesso, pur espressione di un pregevole sviluppo argomentativo, non possa essere condiviso. Ed invero, una corretta esegesi della norma dell'art. 13 bis del citato d.l. n. 78/2009, non può essere ristretta sino al punto da annullarne l'applicazione -ossia al punto tale da ritenere che la causa di non punibilità in esso prevista non si applichi mai ai reati commessi prima del trasferimento all'estero del denaro o delle altre attività trattandosi di interpretazione contraria alla ratio sottesa all'applicazione della causa di non punibilità in questione. L'esame della disposizione rivela, infatti, l'erroneità della soluzione cui è pervenuto il collegio piemontese. L'art. 13-bis del d.l. 1 luglio 2009, n. 78 Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini , convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ulteriormente modificato dal decreto-legge sempre del 3 agosto 2009, n. 103, a sua volta convertito dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141 -, sotto la rubrica Disposizioni concernenti il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato ha previsto l'istituzione di un'imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali a detenute fuori del territorio dello Stato senza l'osservanza delle disposizioni del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni b a condizione che le stesse siano rimpatriate in Italia da Stati non appartenenti all'Unione Europea, ovvero regolarizzate o rimpatriate perché detenute in Stati dell'Unione Europea e in Stati aderenti allo Spazio economico Europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa. Secondo la previsione del comma terzo della citata disposizione Il rimpatrio ovvero la regolarizzazione si perfezionano con il pagamento dell'imposta e non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria civile, amministrativa ovvero tributaria, in via autonoma o addizionale, con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, né comporta l'obbligo di segnalazione di cui all'articolo 41 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, relativamente ai rimpatri ovvero alle regolarizzazioni per i quali si determinano gli effetti di cui al comma 4, secondo periodo . Per quanto concerne gli effetti conseguenti all'effettivo pagamento dell'imposta, il comma quarto dell'art. 13 bis precisa che detto pagamento comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l'applicazione della disposizione di cui al già vigente articolo 8, comma 6, lettera c , della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni resta ferma l'abrogazione dell'articolo 2623 del codice civile disposta dall'articolo 34 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 . Il comma sesto, infine, precisa ulteriormente che l'imposta straordinaria di cui sopra si applica sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 dunque, senza alcun limite per quelle detenute in data antecedente a tale data, n.d.r. e rimpatriate ovvero regolarizzate a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 30 aprile 2010 . Infine, il richiamato art. 8, comma 6, lettera c , della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in particolare prevede che l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 e 2623 del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria. L'esclusione di cui alla presente lettera non si applica in caso di esercizio dell'azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa . 5.2 . La norma consente, in sintesi, al contribuente che detiene, in violazione alle norme sul monitoraggio fiscale v., in particolare D.L. 28 giugno 1990, n. 167 convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 1990, n. 227 , attività finanziarie e patrimoniali all'estero, da una data precedente al 31 dicembre 2008, di rimpatriare per gli Stati non appartenenti all'Unione Europea o che comunque non garantiscono un adeguato scambio di informazioni fiscali in via amministrativa o di regolarizzare tali attività, attraverso il pagamento di un'imposta straordinaria. Il termine entro cui doveva essere effettuato il rimpatrio o la regolarizzazione era originariamente compreso tra il 15 settembre 2009 ed il 15 dicembre 2009. Successivamente, con il D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 c.d. Milleproroghe , convertito dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25, i termini sono stati prorogati al 30 aprile 2010, sia pur con la previsione di una percentuale diversa d'imposta a per i rimpatri o le regolarizzazioni effettuati entro il 15 dicembre 2010 l'imposta sostitutiva era del 5% b per quelli sino al 28 febbraio 2010 l'imposta è stata elevata al 6% ed al 7% per i rimpatri e le regolarizzazioni tra il 1A marzo ed il 30 aprile 2010. Il comma 4 dell'art. 13-bis richiama, come visto, per gli effetti penali dei capitali detenuti all'estero rimpatriati o regolarizzati, l'art. 8, comma 6, lett. e della L. n. 289/02 che prevede, in favore del contribuente, l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per i reati previsti dagli articoli 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491 bis e 492 del codice penale, nonché dagli articoli 2621, 2622 [e 2623 si noti, a tal proposito, che il reato di falso in prospetto è stato abrogato dall'art. 34 della legge n. 262/2005, v. ora l'art. 173 bis del d.lgs. n. 58/1998] del codice civile, quando tali reati siano stati commessi per eseguire o occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria . In sostanza, chi si è avvalso dello scudo fiscale non è punibile per una serie di reati, compendiabili in due macro-categorie a i delitti tributari di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti art. 2 del d.lgs. n. 74/2000 , dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici art. 3 del citato decreto , dichiarazione infedele art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 , omessa dichiarazione art. 5 del d.lgs. n. 74/2000 e occultamento o distruzione di scritture contabili art. 10 del d.lgs. n. 74/2000 b le condotte di falso punite dal codice penale [ossia a falsità materiale commessa da privato art. 482 c.p. b falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico art. 483 c.p. c falsità in registri e notificazioni art. 484 c.p. d falsità in scrittura privata art. 485 c.p. e uso di atto falso art. 489 c.p. f soppressione, distruzione o occultamento di atti veri art. 490 c.p. g falsità riguardanti documenti informatici, pubblici i privati, aventi efficacia probatoria art. 491 bis c.p. ] e le false comunicazioni sociali di cui agli articoli 2621 e 2622 del codice civile. Solo per i reati codicistici e non, ovviamente, per quelli tributari deve però sussistere un rapporto di connessione teleologica o consequenziale con i reati tributari l'esclusione della punibilità opera solo qualora i primi siano stati commessi per eseguire o occultare i secondi, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria. In sostanza, il contribuente dovrà dimostrare che i delitti di falso o i reati societari sono stati funzionali alla commissione dei reati tributari in quanto prodromici cioè ipotattici oppure volti a mantenere i vantaggi o a nascondere i reati tributari cioè paratattici . È, dunque, evidente, che il rientro dei capitali detenuti all'estero non implica, necessariamente, una pregressa forma di evasione. Ben può verificarsi, invero, che le attività detenute oltre confine siano frutto non solo di redditi ivi prodotti e sottratti a tassazione in Italia ma anche di redditi prodotti in Italia, non assoggettati completamente ad imposizione come avvenuto per la somma di 1.800.00 Euro deviata su conto fiduciario e trasferiti all'estero anche in violazione della normativa antiriciclaggio, come avvenuto nel caso in esame. In tal senso, d'altra parte, sembra indirizzare chiaramente la formulazione dell'art. 13-bis, comma 1, lettera a . Ed allora, non convince la soluzione offerta dalla Corte d'appello secondo cui i reati per cui opererebbe la causa di non punibilità siano solo quelli commessi dopo l'esportazione irregolare dei capitali all'estero aventi ad oggetto la mancata dichiarazione a fini fiscali delle attività possedute all'estero nel periodo intercorrente tra l'esportazione e l'emersione. Il criterio utilizzato dal legislatore, oltre a risultare oggettivo, presenta una logica di tutta evidenza, a prescindere dall'esistenza o meno di una sottostante evasione. Non può e non deve sfuggire che il presupposto normativo è, infatti, costituito dalla mancata dichiarazione delle attività detenute all'estero in violazione delle disposizioni di cui al D.L. 28 giugno 1990, n. 167. La soluzione da scegliersi, dunque, non deve essere improntata ad un eccessivo formalismo e, soprattutto, va coordinata non solo con il dato letterale il che è del tutto ovvio ma anche con la ratio del provvedimento senza scadere né in eccessivi permissivismi nell'ottica dell'incentivazione né in rigidi formalismi che potrebbero determinare ingiustificate sperequazioni. Ne discende, dunque, che, valutate le cause ostative previste dalla normativa sullo scudo fiscale , una causa ostativa discende in forza del disposto di cui al comma 2-bis, art. 17, D.L. 25 settembre 2001, n. 350 cui espressamente rinvia l'art. 13-bis, comma quarto, del d.l. n. 78/2009 , secondo cui gli effetti premiali di cui all'art. 14 del citato D. L. 25 settembre 2001, n. 350, in ogni caso non si produrranno tutte le volte in cui il rimpatrio o la regolarizzazione abbiano ad oggetto attività detenute all'estero derivanti da reati diversi da quelli coperti dallo scudo fiscale peraltro, in tali ipotesi è anche prevista l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 100 per cento del valore corrente delle attività oggetto di dichiarazione riservata , pur dovendosi ricordare che il successivo comma 2-ter del citato art. 17, D.L. 25 settembre 2001, n. 350 dispone che gli effetti premiali dello scudo fiscale trovano comunque applicazione nelle ipotesi in cui i predetti reati siano già estinti, non punibili o non più previsti come tali dall'ordinamento, salvo che si tratti di uno dei delitti, di particolare gravità, ricompreso nell'elencazione ivi indicata. Inoltre, lo scudo fiscale produce regolarmente i suoi effetti premiali con riferimento a tutti i periodi di imposta in cui non vi sia stato un accertamento, purché, ovviamente, le relative violazioni contestate siano correlate alle attività rimpatriate o regolarizzate recte , i relativi imponibili accertati siano astrattamente riconducibili alle attività oggetto di emersione , come avvenuto nel caso in esame. Ed allora, conclusivamente, nulla autorizza ad affermare che l'art. 13 bis citato escluda dalle attività suscettibili di rimpatrio quelle di provenienza delittuosa, per le quali è certamente ipotizzabile una procedura di regolarizzazione, salvo che non ricorra una delle condizioni ostative previste dall'art. 14, comma settimo, D. L. 25 settembre 2001, n. 350 che precludono al contribuente la possibilità di beneficiare degli effetti premiali dello scudo fiscale a l'avvenuta constatazione nei confronti dell'interessato di una delle violazioni di cui all'art. 14, comma primo, D. L. 25 settembre 2001, n. 350 b l'inizio di un accesso, ispezione o verifica a carico dell'interessato c l'inizio nei confronti dell'interessato di altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui lo stesso abbia avuto formale conoscenza. In difetto di ciò, dunque, indebita risulta essere la limitazione operata dalla Corte territoriale ai soli reati tributari tra cui rientra anche l'art. 3, d.lgs. n. 74/2000 che hanno come presupposto attività rimpatriate caratterizzate dalla condizione di irregolarità/illiceità sanzionata solo amministrativamente per essere state trasferite all'estero irregolarmente, laddove, invece, come già detto, le attività rimpatriate detenute oltre confine possono essere frutto non solo di redditi ivi prodotti e sottratti a tassazione in Italia ma anche di redditi prodotti in Italia, assoggettati parzialmente ad imposizione nel caso in esame, infatti, la somma di 1.800.000 Euro è stata deviata su conto fiduciario e sottratta all'imposizione e per di più trasferiti all'estero in violazione della normativa antiriciclaggio. 5.3. Quale necessario corollario dell'applicabilità della causa di non punibilità anche al caso in esame, poi, v'è l'estensibilità soggettiva condizionata dell'art. 13 bis citato anche alle società di capitali, come nel caso in esame. Ed invero, sulla controversa questione dell'applicabilità degli effetti tributari e penali del c.d. scudo fiscale del 2009 si discute da tempo per il fatto che, mentre il precedente analogo istituto, introdotto nel 2002 solo come c.d. scudo persone D.L. 25 settembre 2001, n. 350, convertito dalla L. 23 novembre 2001, n. 409 ed esteso poi nel 2003 anche alle persone giuridiche come c.d. scudo società D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, convertito dalla L. 23 aprile 2002, n. 73 , possedeva ambito applicativo assai più esteso, quello successivo del 2009 non ha più ritenuto di effettuare tale estensione. In base alla normativa di riferimento lo scudo fiscale del 2009 si applica solo alle persone fisiche, agli enti non commerciali, alle società semplici ed alle associazioni equiparate . E questo, appunto, nel dichiarato intendimento di limitare l'applicazione del beneficio a differenza di quanto avvenuto con quello del 2003 solo a determinate categorie di soggetti. In materia, dispone l'art. 11 del D.L. n. 350/2001 che ai fini delle disposizioni di cui al presente capo si intende per interessati le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici e le associazioni equiparate . Tale norma è stata richiamata, per il successivo scudo del 2009 dall'ari. 13-bis, comma 5, del D.L. n. 78/2009 Il rimpatrio o la regolarizzazione operano con le stesse modalità, in quanto applicabili, previste dagli artt. 11 . del D.L. n. 350/2001 convertito della L n. 409/2001 . Dunque, come ribadito anche dalle circolari dell'Agenzia delle Entrate in particolare, vedasi la Circolare 10 ottobre 2009, n. 43/E6 , lo scudo fiscale 2009 riguarda esclusivamente le persone fisiche e gli altri soggetti specificamente indicati, con esclusione altresì delle società di persone. La suddetta circolare, relativamente all'ambito soggettivo, afferma che in tale ambito soggettivo sono ricomprese le persone fisiche titolari di reddito d'impresa o di lavoro autonomo. Restano, invece, esclusi gli enti commerciali, nonché le società, siano esse società di persone o società di capitali, ad eccezione delle società semplici . Cionondimeno nel paragrafo 10 della circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 2009, dedicato agli effetti del rimpatrio e della regolarizzazione si afferma Ai soli fini tributari, si ritiene che tale divieto valga con riferimento non solo ai procedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stesso in qualità di dominus Con riferimento agli effetti penali delle operazioni di emersione, si evidenzia che l'effettivo pagamento dell'imposta straordinaria dovuta sulle attività rimpatriate o regolarizzate rende non punibili i reati indicati nell'art. 8, comma 6, lett. c , della L. n. 289/2002 . Alla luce di tale circolare, una sentenza di questa Corte Sez. 4, n. 44003 del 19/07/2013 dep. 28/10/2013, Lanari, Rv. 257577 in materia cautelare ha osservato che le circolari non hanno una natura normativa e non possono modificare o interpretare in modo autentico le leggi che l'estensione dello scudo alle società predicata dall'Agenzia delle Entrate è limitata ai soli effetti tributari , e quindi anche a voler ritenere giuridicamente operante l'estensione, essa è limitata alle sole operazioni di emersione effettuate dal dominus della società . L'impostazione di tale sentenza è stata richiamata da due successive sentenze Sez. 3, sentenza n. 38695 del 2014, ud. 2/07/2014 dep. 23/09/2014, ric. Seeber Sez. 3, sentenza n. 41947 del 2014, ud. 2/07/2014 dep. 8/10/2014, ric. Società Rentcar Chartering Gmbh, ambedue non massimate . per quanto interessa in punto di diritto, va sottolineato che questa Suprema Corte sostanzialmente aderisce al punto di vista sostenuto dall'Agenzia delle Entrate, ossia che gli effetti dello scudo fiscale possono riguardare, con riferimento alle società di persone o di capitali , anche i casi di ricorso a tale istituto da parte di soggetto ritenuto dominus della società. Sebbene, dunque, la circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 43/E del 2009 limiti gli effetti di tale estensione al campo tributario, per ciò che concerne l'ulteriore estensione al campo penale occorre tener conto di quanto dispone l'art. 13-bis del D.L. n. 78/2009 al comma 4 l'effettivo pagamento dell'imposta comporta, in materia di esclusione della punibilità penale, limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo, l'applicazione della disposizione di cui al già vigente art. 8, comma 6, lett. c , L. 27 dicembre 2002, n. 289 e succ. mod. . Tale richiamata disposizione stabilisce che il perfezionamento della procedura prevista dal presente articolo comporta per ciascuna annualità oggetto di integrazione . c l'esclusione ad ogni effetto della punibilità per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nonché dei reati previsti dagli artt. 482, 483, 484, 485, 489, 490, 491-bis e 492 c.p., nonché dagli artt. 2621, 2622 e 2623 c.c., quando tali reati siano stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria . Alla luce della specifica normativa concernente il vecchio scudo del 2002-2003, espressamente richiamata, per quanto concerne i profili penali, da quella relativa ad analogo istituto del 2009, e tenendo conto altresì dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, si può dunque pervenire alla seguente conclusione sempre che ne sussistano tutti i presupposti richiesti dalla normativa disciplinatrice dell'istituto capienza, date, soggetti, collegamento fra scudo e reati commessi , alla luce del c.d. diritto vivente giurisprudenza e documenti di prassi , anche nell'ambito delle società di persone e di capitali l'istituto può operare, ma solo con riferimento ai soggetti che, all'interno delle società, possiedono i requisiti di diritto e di fatto per essere considerati appartenenti alla categoria del dominus . Ed allora, non v'è motivo di ritenere esclusa dall'applicazione della causa di non punibilità la ricorrente, atteso che, come risulta dall'istruttoria v. deposizione teste B. emerge che la ricorrente era l'unico soggetto di riferimento della società Sansicario, dunque il dominus . 5.4. Ultimo profilo oggetto di esame, infine, concerne il quinto profilo di doglianza, anch'esso meritevole di accoglimento. Ed invero, la Corte d'appello ha escluso l'applicazione della causa di non punibilità prevista dal d.l. n. 78/2009 in quanto la ricorrente avrebbe sottoposto a regolarizzazione l'importo di 1.345.000 Euro a fronte di un importo complessivo di ricavi non registrati, pari ad Euro 1.825.061. Diversamente, come sostenuto dalla difesa già in sede di appello, avvalendosi di documenti, anche l'Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto l'esistenza di costi non documentati da parte della società, in particolare all'atto della conciliazione giudiziale dei processi tributari scaturiti dall'impugnazione, ad opera della Sansicario, degli avvisi di accertamento notificati dall'Agenzia delle Entrate per quanto qui di interesse relativi all'esercizio 2005/2006. Secondo la censura proposta in sede di ricorso per cassazione, la Corte d'appello sarebbe incorsa nel vizio di travisamento probatorio nell'affermare che l'ammontare di tali costi non sarebbe stato provato in alcun modo né che sarebbe stato determinato l'ammontare in via conciliativa, asserendo esservi in atti solo una proposta di conciliazione giudiziale proveniente dalla ricorrente indirizzata alla Direzione provinciale di Genova mai depositata né approvata dall'Ufficio Finanziario. 5.5. Osserva il Collegio come tale affermazione risulta smentita dagli atti. Ed invero, detta proposta, allegata al ricorso per cassazione, datata 25/01/2012, proviene dalla Direzione provinciale di Genova e non dalla ricorrente risulta essere stata regolarmente sottoscritta dal direttore provinciale risulta essere stata accettata dalla ricorrente rappresentata dal procuratore speciale riconosce l'esistenza di costi non documentati per un importo pari ad Euro 326.000 infine, contiene quale allegato il mod. F24 attestante il versamento della prima rata delle imposte dovute per effetto della conciliazione Euro 32.782,21 . Ed allora può convenirsi con la difesa della ricorrente secondo cui quanto sostenuto in sentenza, contrasta con un dato documentale incontrovertibile, così concretizzandosi il vizio di travisamento di un dato probatorio il quale si presenta, peraltro, ravvisabile ed efficace, atteso che l'errore accertato è idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio con riferimento al diniego di operatività della predetta causa di non punibilità di cui all'art. 13 bis citato, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio v., da ultimo Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014 dep. 03/02/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774 , in quanto se la Corte d'appello avesse tenuto conto di quei costi non documentati, non avrebbe potuto sostenere che la Sansicario non li avesse sostenuti e che non poteva giustificarsi la regolarizzazione di un importo Euro 1.345.000 inferiore rispetto a quello Euro 1.825.061 costituito dall'ammontare dei ricavi non registrati nelle scritture contabili della stessa Sansicario, non potendosi escludere che la differenza tra i due importi fosse ascrivibile al sostenimento di costi non documentati nella gestione dell'impresa ad opera della Sansicario medesima operazione, questa, che implicando accertamenti ed apprezzamenti fattuali esula dai poteri di questa Corte, ed impone una verifica in sede di rinvio . Conseguentemente, quindi, la Corte d'appello, ove avesse tenuto conto di tale dato documentale, avrebbe potuto diversamente decidere in punto di riconoscimento degli effetti penali dello scudo fiscale e, in particolare, della causa di non punibilità prevista dall'art. 13 bis citato. 6. Conclusivamente, l'impugnata sentenza dev'essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Genova affinché, rivalutata in base ai principi sopra affermati da questa Corte l'applicazione della causa di non punibilità ex art. 13 bis, d.l. n. 78/2009 alla vicenda in esame, accerti se, tenuto conto del dato documentale costituito dalla proposta datata 25/01/2012 promanante dalla Direzione provinciale di Genova, possano essere riconosciuti gli effetti penali dello scudo fiscale nel caso in esame, e, in particolare, della causa di non punibilità prevista dall'art. 13 bis citato. In altri termini, occorrerà verificare in sede di rinvio se possa giustificarsi la regolarizzazione di un importo Euro 1.345.000 inferiore rispetto a quello Euro 1.825.061 costituito dall'ammontare dei ricavi non registrati nelle scritture contabili della stessa Sansicario, ove si accerti che tale differenza tra i due importi sia attribuibile al sostenimento di costi non documentati nella gestione dell'impresa ad opera della Sansicario medesima. 7. Solo per completezza, precisa questa Corte che, atteso il principio della formazione progressiva del giudicato, l'infondatezza del ricorso quanto ai primi tre motivi, determina l'irrevocabilità della sentenza in punto di affermazione della responsabilità penale atteso che il reato, alla data della decisione di questa Corte, non è ancora prescritto prescrizione che maturerà solo il prossimo 27 ottobre 2014 , dovendo quindi il giudice del rinvio solo verificare in fatto l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 13 bis, d.l. n. 78/2009. Ed invero, qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio la sola questione relativa all'accertamento dell'esistenza di una causa di non punibilità come nel caso in esame si verifica una situazione analoga quella in cui l'annullamento con rinvio venga disposto per la sola determinazione della pena, sicché la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l'accertamento del reato e la responsabilità dell'imputato, essendo quindi impedito al giudice del rinvio di dichiarare ed al ricorrente di eccepire l'avvenuta estinzione del reato per la prescrizione maturata successivamente alla decisione di questa Corte. Né, peraltro, si noti incidenter tantum , rileva ed l'assenza, nel dispositivo della sentenza di annullamento, del dato meramente formale della declaratoria dell'intervenuto passaggio in giudicato della parte non annullata Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999 dep. 20/09/2000, Piconi G, Rv. 217857 . Che, del resto, si tratti di questione analoga a quella dell'annullamento con rinvio per la sola determinazione della pena, si evince agevolmente dalla seguente considerazione. È evidente che la esclusione della punibilità di cui al comma 4 dell'art. 13 bis D.L. n. 78/2009 non può inquadrarsi fra le cause di giustificazione che elidono la illiceità o antigiuridicità, intesa quale contrasto fra il fatto e l'intero ordinamento giuridico, rendendo inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione. E ciò in quanto siamo certamente al di fuori di quel bilanciamento di contrapposti interessi che caratterizza le cause di giustificazione. Analogamente, non sembra si tratti di cause di esclusione della colpevolezza o scusanti che, lasciando integra l'antigiuridicità o illiceità oggettiva del fatto, fanno venir meno solo la possibilità di muovere un rimprovero al suo autore infatti, non sono presenti quei fattori di eccezionale pressione psicologica in grado di elidere la colpevolezza e che caratterizzano le scusanti. Non rimane, quindi, che l'inquadramento fra le cause di esenzione della pena in senso stretto che consistono in quelle circostanze che lasciano inalterata sia l'antigiuridicità che la colpevolezza e che sono il risultato di valutazioni di opportunità circa la necessità o meritevolezza della pena, anche avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare contro-interessi che risulterebbero lesi dall'applicazione della pena nel caso concreto. Infatti, la non punibilità di cui al citato art. 13-bis si inquadra fra le condotte, susseguenti al reato, riparatorie dell'offesa condotte alle quali il legislatore, in via eccezionale, attribuisce efficacia estintiva del reato. Si tratta, quindi, di cause sopravvenute di esclusione della punibilità, autonome rispetto alle consuete cause di estinzione del reato e che, al contrario delle scriminanti, non coesistono con il fatto, ma sono sopravvenute al fatto in quanto presuppongono un reato già consumato, di cui vengono successivamente eliminati gli effetti. L'accertamento della responsabilità penale della ricorrente per il reato di cui all'art. 3, d.lgs. n. 74/00, dunque, è del tutto sganciato rispetto all'operatività di tale causa di esclusione della punibilità ne consegue che la sentenza di annullamento pronunziata da questa Corte esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella impugnata sentenza e non comprese in quelle annullate, né ad esse legate da un rapporto di connessione essenziale Sez. U, n. 373 del 23/11/1990 dep. 16/01/1991, P.G. in proc. Agnese, Rv. 186165 , residuando quindi da esaminare solo la questione, distinta da quella irrevocabilmente decisa, dell'applicabilità della predetta causa di non punibilità. P.Q.M. Annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di GENOVA.