Padre violento, potestà genitoriale perduta. E dannoso è il continuare a cercare la figlia...

Confermata la condanna per atti persecutori nei confronti della figlia minore, affidata agli zii materni. Decisive la condotta dell’uomo, consistita nel recarsi spesso all’ingresso della scuola della bimba, e l’agitazione manifestata dalla minore a casa e tra i banchi.

Potestà genitoriale perduta fatale il comportamento violento e aggressivo dell’uomo, comportamento difficilmente tollerabile da una bambina. Resta intatto, però, l’istinto paterno, che spinge l’uomo a continuare a cercare la figlia, anche solo per poterla raggiungere, da lontano, con uno sguardo. Comportamento umanamente comprensibile, forse, ma sanzionabile come stalking perché quella ‘ossessione’ è vissuta davvero in malo modo dalla bambina Cassazione, sentenza n. 50331, sez. V Penale, depositata oggi . Padre e figlia Nessun dubbio, nessuna perplessità per i giudici di merito, il comportamento tenuto dall’uomo nei confronti della figlia – cercata, mattina dopo mattina, nelle vicinanze della scuola – è catalogabile come stalking in piena regola, soprattutto considerando le pessime e complicate reazioni – con un evidente stato di agitazione – manifestate a casa e in classe dalla bambina. Consequenziale la condanna per il reato di atti persecutori . Pronta la replica dell’uomo, il quale, ricorrendo in Cassazione, sostiene, tramite il proprio legale, di non aver mai voluto provocare uno stato di ansia nella figlia non a caso, viene ricordato, egli si è sempre tenuto a debita distanza e non si è mai avvicinato alla figlia . Peraltro, viene ancora aggiunto, mai l’uomo ha immaginato che la sua presenza potesse creare danno . Ossessione. Ma tutte le obiezioni mosse dal padre si rivelano assolutamente inutili. Decisiva, e di semplice lettura, difatti, la vicenda, da cui emerge la responsabilità dell’uomo per i comportamenti posti in essere e per il conseguente stato di agitazione provocato nella bimba e testimoniato dai racconti di insegnanti e psicologa. Anche per i giudici della Cassazione, quindi, è lapalissiana la consapevolezza dell’uomo in merito alle conseguenze provocate dalla propria condotta – praticamente una ossessione – sulla figlia minore , soprattutto tenendo presente il fatto che il Tribunale per i minorenni aveva affidato la minore agli zii materni e aveva dichiarato l’uomo decaduto dalla potestà genitoriale proprio perché la minore era spaventata dal comportamento violento e aggressivo del padre . A completare il quadro, infine, anche le parole del fratello della bambina, il quale ha riferito che il padre, pur a conoscenza del fatto che non poteva avvicinarsi alla minore e che ella era terrorizzata dalla sua presenza, si avvicinava al cancello della scuola, in modo da poterla guardare e farsi da lei notare . Evidente, quindi, la colpevolezza dell’uomo confermata, perciò, la condanna per lo stalking perpetrato ai danni della figlia minore.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 settembre – 2 dicembre 2014, n. 50331 Presidente Ferrua – Relatore Caputo Ritenuto in fatto Con sentenza deliberata in data 22/05/2012, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza in data 02/05/2011 con la quale il Tribunale di Torre Annunziata aveva condannato G.A. per il reato di cui all'art. 612 bis, terzo comma, cod. pen. commesso in danno della figlia minorenne A Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, nell'interesse di G.A., l'avv. A. Pentone, denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Ai fini dell'integrazione del reato è necessario che l'agente voglia coscientemente che le proprie condotte provochino uno stato di ansia nella vittima o che, comunque, si sia potuto rappresentare il verificarsi di tali conseguenze. Nel caso di specie, l'imputato si teneva a debita distanza e non si è mai avvicinato alla figlia, il che dimostra l'assenza di volontà molestatrice, né vi è prova che abbia immaginato che la sua presenza potesse creare tale danno in presenza del padre non vi è mai stata alcuna reazione tale da indurlo a non recarsi più dinanzi alla scuola per vedere la figlia, il cui turbamento si è sempre verificato all'interno della scuola o a casa dei parenti. Le accuse provengono da persone che hanno motivi di astio nei confronti dell'imputato, mentre le deposizioni di persone terze quali le insegnanti hanno fatto riferimento a singoli episodi non caratterizzati da ripetizione delle condotte. Manca la prova certa dell'elemento psicologico e la motivazione della Corte di appello sul punto si risolve in una clausola di stile. Considerato in diritto Il ricorso non è fondato. La Corte di merito ha rilevato che l'istruttoria dibattimentale ha consegnato un quadro inequivoco e certo di prove a carico dell'imputato, sicché risulta pienamente provata l'accusa mossa e correttamente la sentenza di primo grado ha ritenuto provata la responsabilità di Avallone sulla base delle testimonianze dei famigliari della piccola A., che hanno riferito in ordine ai comportamenti persecutori posti in essere dall'imputato e allo stato di agitazione provocato nella bimba, nonché dalle deposizioni rese dagli insegnati della minore e dalla psicologa che l'ha esaminata. La sentenza di primo grado - richiamata dalla conforme sentenza di appello e integrantesi con essa Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 - dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145 - ha evidenziato, tra l'altro, che Francesco Avallone, fratello della minore e figlio dell'imputato, ha riferito che questi, pur a conoscenza del fatto che non poteva avvicinarsi alla minore e che la stessa era terrorizzata dalla sua presenza, si avvicinava al cancello della scuola, in modo da poter guardare e farsi notare dalla piccola A. la sentenza di primo grado ha inoltre richiamato il decreto in data 26/01/2010 con il quale il Tribunale per i minorenni di Napoli aveva affidato la minore agli zii materni e aveva dichiarato G.A. decaduto dalla potestà genitoriale, essendo emerso, tra l'altro, che la minore era spaventata dal comportamento violento e aggressivo del padre. Ritiene pertanto il Collegio che le risultanze istruttorie delineate dai giudici di merito rendano congruamente ragione della sussistenza in capo all'imputato della consapevolezza delle conseguenze - concordemente evidenziate dai dati probatori richiamati - sulla figlia minore delle condotte poste in essere l che impone di superare l'erronea affermazione in diritto della sentenza di appello in ordine alla non necessità di tale consapevolezza . Del tutto generiche, oltre che disancorate dalla compiuta disamina della risultanze processuali costituite, come si è visto, non solo dalle testimonianze dei congiunti dell'imputato , sono poi le censure circa l'affidabilità delle deposizioni accusatorie. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali data la minore età della persona offesa, in caso di diffusione della presente sentenza dovranno essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.