Latitanti e irreperibili: diversi sono i criteri di ricerca

Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 c.p.p. - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità.

Questo è quanto è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 49618, depositata il 28 novembre 2014. Il fatto. Il Tribunale, con sentenza confermata dalla Corte d’appello, condannava l’imputato ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti in famiglia, ingiuria e violenza sessuale. Contro tale decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione. Dichiarazione di latitanza. Con un primo motivo il ricorrente deduce nullità del decreto di latitanza e vizio di motivazione in quanto la Corte d’appello, condividendo il ragionamento del giudice di prime cure, avrebbe illogicamente respinto detta eccezione, fondando la propria decisione sulla differente condizione del latitante rispetto all’irreperibile con conseguente diversità della normativa applicabile. I giudici di primo grado osservavano che il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone il verbale di vane ricerche che la polizia redige indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presume l’imputato possa trovarsi, senza essere vincolata quanto ai luoghi di ricerca dai criteri indicati in materia di irreperibilità. Queste argomentazioni sulla non applicabilità, ai fini della dichiarazione di latitanza, dei criteri di ricerca stabiliti per gli irreperibili, vengono condivise dal Collegio. Quest’ultimo richiama sul punto quanto stabilito dalle Sezioni Unite della S.C. Cass. n. 18822/14 , le quali hanno sancito che ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 c.p.p. - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità. Dichiarazioni della persona offesa. Con l’ulteriore motivo di ricorso, il ricorrente rileva che i giudici di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità attribuendo particolare valenza alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, considerata attendibile e credibile senza fare riferimento a riscontri esterni. La Corte, sul punto, si limita a ribadire quanto dalla stessa più volte affermato, stabilendo che le dichiarazioni della persona offesa vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato non necessitando le stesse di riscontri esterni. Alla luce di questi motivi la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 luglio – 28 novembre 2014, n. 49618 Presidente Fiale – Relatore Savino Ritenuto in fatto F.M. veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia per rispondere dei seguenti capi di imputazione 1 - delitti di cui agli artt. 81 cpv. 372, 605, 609 bis c.p. poiché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, maltrattava e violentava la moglie L.A. , sottoponendola ad atti di umiliazione e vessazioni psicologiche, abitualmente ingiuriandola, percuotendola con pugni, schiaffi, tirandole i capelli e sbattendole la testa contro i mobili di casa, lanciandole addosso bottiglie di vetro, nonché minacciandola abitualmente che se fosse andata via di casa le avrebbe sfregiato il viso con l'acido o con pezzi di vetro rotto o le avrebbe tagliato la gola perché non deve averla nessun altro uomo così imponendole un regime di vita familiare improntato alla violenza ed alla prevaricazione. Inoltre nel 2005, dopo averla già picchiata ed insultata in un locale pubblico, continuava a percuoterla nell'abitazione, l'afferrava per i capelli, la trascinava in camera da letto, le schiacciava la testa contro il cuscino, le strappava i vestiti e la costringeva a subire un rapporto sessuale completo, poi le sputava in faccia e le diceva che così lui tratta le puttane ed infine usciva di casa chiudendola dentro e portandosi via le chiavi di casa in modo che non potesse uscire senza di lui. In omissis . 2- Dei delitti di cui agli artt. 81 cpv, 594 e 609 bis poiché, con una pluralità di azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza e minaccia costringeva L.A. a subire rapporti sessuali e contestualmente la ingiuriava. Il omissis la spingeva sul letto, le impediva di muoversi schiacciandola con il peso della gamba, le bloccava le braccia dietro la schiena, le strappava i vestiti e la costringeva a subire un rapporto sessuale completo. In omissis . 3- Dei delitti di cui all'art. 81 cpv, 635, 612 comma 2, poiché con una pluralità di azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, danneggiava e deteriorava i mobili di casa e minacciava L.A. di sfregiarle il viso e di toglierle i bambini. In omissis . 4- Del delitto di cui all'art. 570 c.p. poiché serbava una condotta contraria all'ordine e alla morale della famiglia sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori e alla qualità di coniuge, dilapidando i beni dei figli minori e della moglie L.A. , andando abitualmente a giocare alle slot machine. In omissis . Il Tribunale di Brescia, con sentenza emessa in data 12.10.2011, assolveva F.M. dai reati di cui ai capi nn. 4, 3 e n. 1, limitatamente ai reati di cui agli artt. 605 e 609bis c.p. per insussistenza del fatto e lo dichiarava responsabile del reato di cui all'art. 572 c.p. e dei reati di cui al capo 2, condannandolo, dopo aver concesso le attenuanti generiche ed aver ritenuto la continuazione, alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza emessa in data 22.5.2012, riformava parzialmente la sentenza di primo grado solo in punto di trattamento sanzionatorio, riducendo la pena ad anni 3, mesi cinque e giorni 15 di reclusione. Avverso la summenzionata sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi di impugnazione 1 Nullità del decreto di latitanza e vizio di motivazione. Sostiene la difesa che l'imputato è stato cercato solamente presso la sua vecchia residenza, pur avendo tranquillamente continuato a vivere nella provincia di Bergamo, ospite nella casa del suocero, ed avendo continuato a svolgere l'attività lavorativa sempre in quel territorio sarebbe bastato chiedere informazioni all'ufficio stranieri della Questura di Bergamo per conoscere il nuovo domicilio. Le ricerche non potevano dunque dirsi esaurienti. La Corte di Appello ha illogicamente respinto detta eccezione, condividendo il ragionamento del giudice di prime cure, che aveva fondato la propria decisione sulla differente condizione del latitante rispetto all'irreperibile con conseguente diversità della normativa applicabile. Il Collegio di merito osservava che il provvedimento che dichiara la latitanza presuppone il verbale di vane ricerche che la polizia redige indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presume l'imputato possa trovarsi senza essere vincolata quanto ai luoghi di ricerca dai criteri indicati in materia di irreperibilità Sez. V sentenza n. 4114 del 2009 e la completezza delle ricerche ai fini della dichiarazione di latitanza va valutata non con riferimento a parametri prefissati ma alla condizione personale del soggetto sez. Ili sentenza n. 46983 del 2009 . 2 Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 572, 605, 609 c.p. e 530 c.p.p. in relazione all'art. 606 comma 1 lett. b c.p.p Rileva la difesa che i giudici di merito fondano il giudizio di responsabilità dell'imputato attribuendo particolare valenza alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, considerata attendibile e credibile. Tuttavia la deposizione della persona offesa, in quanto portatrice di un interesse, dovrebbe essere vagliata con maggior rigore. A fronte della denuncia di un lungo elenco di condotte di maltrattamento avvenute tra il 2000 ed il 2009, non esiste però alcun elemento che funga da riscontro. Anche quei fatti avvenuti alla presenza di terze persone non sono stati suffragati da alcuna testimonianza e non vi è prova della abitualità delle condotte. A dire della persona offesa il marito era solito ubriacarsi ed appropriarsi dei di lei denari per giocare alle macchinette e percuoterla non appena lei lo riprendeva per i suoi comportamenti. Tuttavia è stato documentalmente provato che era il marito a lavorare con continuità, al contrario della moglie che, sulla base degli estratti contributivi, aveva lavorato solo sporadicamente. La persona offesa aveva riferito poi che in un'occasione il marito l'aveva colpita con una bottiglia all'addome mentre era incinta, ma il teste cognato dell'imputato aveva negato tale aggressione sostenendo che lei si era messa nel mezzo per scongiurare una lite insorta tra i due uomini. La persona offesa non doveva essere ritenuta credibile anche alla luce di quanto aveva dichiarato in merito all'assenza di qualsivoglia sua relazione extraconiugale nelle relazioni degli assistenti sociali acquisite agli atti si fa invece esplicito riferimento ad una relazione intrattenuta dalla donna in costanza di matrimonio. Inoltre, tutti i testimoni della persona offesa peraltro suoi parenti ed affini non sono mai stati testimoni oculari di quanto da lei dichiarato e hanno asserito di non aver mai assistito ad episodi di violenza. Quanto al delitto di violenza sessuale di cui al capo 2 dell'imputazione, le dichiarazioni della persona offesa sono prive di attendibilità in quanto non suffragate dalla testimonianze della persona che era in casa quella sera, ospite della donna agli arresti domiciliari. Quanto alla erronea applicazione dell'art. 572 c.p., parte ricorrente asserisce che, sulla base di quanto affermato dalla S.C. nella sentenza n. 14409 del 2009, la pluralità degli episodi vessatori non è sufficiente ad integrare il reato, in assenza di un dolo e che abbracci le diverse azioni e che ricolleghi ad unità i vari episodi di aggressione alla sfera morale e fisica del soggetto passivo. E di ciò non vi è prova in atti. 3 Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p. e vizio di motivazione. La difesa sostanzialmente ritiene che, nell'addivenire alla sentenza di condanna impugnata, per tutte le ragioni suesposte, non sia stata applicata correttamente la regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. Ritenuto in diritto Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato. Quanto al primo motivo di impugnazione, questa Corte condivide le argomentazioni esposte dai giudici di merito con riguardo alla non applicabilità, ai fini della dichiarazione di latitanza, dei criteri di ricerca stabiliti per gli irreperibili. A tal riguardo appare doveroso richiamare quanto statuito sul punto dalle Sezioni Unite di questo Supremo Collegio, le quali hanno sancito che ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 295 c.p.p., pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l'impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell'imputato e la volontaria sottrazione di quest'ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità Cfr. Cass. SS. UU. n. 18822 del 27.3.2014 . Parimenti infondati sono i restanti motivi di ricorso dedotti dalla difesa dell'imputato. Con particolare riferimento alla asserita necessità di riscontri esterni delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, questa Corte, e ciò a maggior ragione in relazione a casi come quello in esame ove la stessa nemmeno si è costituita parte civile, rileva che le dichiarazioni della persona offesa, vittima del reato di violenza sessuale, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell'imputato non necessitando le stesse di riscontri esterni . Le ulteriori doglianze sollevate dall'imputato, a fronte di una motivazione logica, ampia ed immune da vizi logico-giuridici richiamante in più punti le trascrizioni delle deposizioni rese e che si salda all'impianto motivazionale del provvedimento di condanna di primo grado, si risolvono in censure di fatto che mirano ad una diversa lettura delle risultanze istruttorie, che, come noto, non può essere effettuata dinanzi alla giurisdizione di legittimità. Tutto ciò premesso. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.