Divieto di andare allo stadio: la domanda da porsi è “dove?” non “quando?”

Se il daspo proibisce ad una persona di accedere ai luoghi adiacenti allo stadio durante il transito dei tifosi, non si può dedurre l’illegittimità del provvedimento per eccesiva indeterminatezza temporale del divieto.

Questo è quanto emerso dalla sentenza n. 48986 della Corte di Cassazione, depositata il 25 novembre 2014. Il caso. Divieto disposto dal questore di accedere alle zone limitrofe dello stadio di Roma, ma il tifoso non riesce a resistere e torna sulla scena del crimine” prima dell’inizio di una partita, mentre i tifosi si recavano all’Olimpico. Inevitabile, quindi, la condanna da parte della Corte d’appello di Roma nei confronti dell’uomo, che però decide di giocarsi la sua ultima carta ricorrendo in Cassazione. La contestazione riguarda l’eccessiva genericità del provvedimento del questore, il quale non aveva determinato temporalmente il divieto. Sulla strada dei tifosi. L’uomo si era recato sul posto 10 ore prima dell’inizio della partita, mentre nel provvedimento non erano specificate le ore precedenti l’inizio della manifestazione. La Corte di Cassazione, però, non approva il percorso argomentativo del ricorrente il Daspo inflittogli vietava l’accesso ai luoghi adiacenti allo stadio, in cui transitavano i tifosi in occasione delle partite di calcio. Nel caso di specie, l’imputato si era trovato dove gli era stato vietato di essere e proprio durante il transito dei tifosi. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 ottobre – 25 novembre 2014, n. 48986 Presidente Teresi – Relatore Franco Ritenuto in fatto La corte d'appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza emessa il 25.3.2009 dal giudice del tribunale di Roma, che aveva dichiarato B.S. colpevole del reato di cui all'art. 6, comma 6, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per avere violato il divieto disposto dal questore di Roma in data omissis di accedere alla aree limitrofe allo stadio omissis in occasione di manifestazioni sportive, trovandosi presso detto stadio mentre ivi affluivano i tifosi per assistere all'incontro di calcio omissis , e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione e Euro 6.000 di multa. L'imputato, a mezzo dell'avv. Alberto Tortolano, propone ricorso per cassazione deducendo 1 disapplicazione del provvedimento amministrativo di DASPO emesso dal questore di Roma il 6.8.2007 per difformità rispetto all'art. 1 cod. proc. pen. violazione dell'art. 1 cod. pen. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che il provvedimento del questore doveva essere disapplicato perché illegittimo per genericità, in quanto non determinava temporalmente il divieto, in contrasto con i principi di legalità e tassatività di cui all'art. 25 Cost. Nella specie l'imputato era stato controllato 10 ore prima dell'inizio della partita, mentre nel provvedimento non erano specificate le ore precedenti l'inizio della manifestazione. 2 violazione di legge e vizio di motivazione perché il giudice di primo grado aveva riconosciuto le attenuanti generiche nonostante i precedenti dell'imputato, e la corte d'appello ha invece contraddittoriamente disatteso l'istanza di sostituzione della pena detentiva proprio in considerazione di detti precedenti. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. Quanto al primo motivo - a parte la sua novità, perché con l'atto di appello non era stata eccepita l'illegittimità del provvedimento del questore sotto il profilo dedotto ora con il ricorso per cassazione - esso è privo di fondamento non essendo ravvisabile alcuna indeterminatezza nel contenuto del divieto imposto all'imputato. Il Daspo infatti vietava, tra l'altro, di accedere ai luoghi adiacenti allo stadio Olimpico, interessati al transito dei tifosi in occasione delle competizioni calcistiche, ed il giudice del merito - con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede - ha accertato che il B. era stato appunto rinvenuto nei pressi dello stadio mentre i tifosi già stavano affluendo all'interno per assistere alla partita di calcio. Del tutto logicamente, quindi, i giudici hanno ritenuto che l'imputato si trovava dove gli era stato vietato di essere proprio in occasione della manifestazione sportiva e durante il transito dei tifosi. Né è riscontrabile alcun indeterminatezza o genericità del provvedimento per avere il tal modo indicato l'area temporale di efficacia del divieto. Il secondo motivo è anch'esso manifestamente infondato perché non è ravvisabile alcuna contraddizione tra la concessione delle attenuanti generiche da parte del giudice di primo grado ed il rigetto, da parte della corte d'appello, della richiesta di sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria, in considerazione dei precedenti penali dell'imputato, che dimostravano una sua propensione alla violazione della normativa in materia. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi. In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.