Il giudizio può basarsi sulle attendibili dichiarazioni della vittima

Le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 48997, depositata il 25 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello confermava il giudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputato in ordine ai reati di violenza sessuale e sequestro di persona. La Corte fondava il proprio giudizio sulle dichiarazioni della persona offesa, attendibili e suffragate dalle deposizioni dei testi escussi, rilevando che nessuna contraddizione emergeva tra il contenuto della querela e quello delle successive sommarie informazioni. Ricorre per la cassazione di tale pronuncia l’imputato. Reato perseguibile d’ufficio. Con un primo motivo, il ricorrente denuncia difetto di condizione di procedibilità, rilevando che la persona offesa faceva cenno ad episodi di violenza sessuale per la prima volta nelle sommarie informazioni successive alla querela, e quindi fuori termine, trattandosi di reato perseguito a querela, non sussistendo neppure il connesso reato di sequestro di persona, perseguibile d’ufficio, contestato successivamente dal pubblico ministero. La Corte ritiene manifestamente infondato tale motivo, sostenendo, al contrario, che il reato è perseguibile d’ufficio ai sensi dell’art. 609 septies , comma 4, c.p. perché sussiste connessione con il delitto di sequestro di persona, reato a sua volta perseguibile d’ufficio. Con un secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa con riferimento ad entrambi i reati. Difetto di specificità del motivo di ricorso. Ritiene il Collegio doversi dichiarare l’inammissibilità di questo motivo, per difetto di specificità. Ricorda, infatti, come, secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito. Nel caso di specie la censura mossa alla Corte d’appello si risolve in una diversa valutazione delle risultanze processuali finalizzata a dimostrare l’inattendibilità della persona offesa, senza muovere alcuna critica al percorso argomentativo dei giudici di merito. La Corte territoriale ha, infatti, dato una spiegazione plausibile alle divergenze, rilevate dall’appellante, tra il contenuto della querela e l’integrazione contenuta nelle sommarie informazioni successive alla stessa. Ha osservato in proposito che si trattava di dichiarazioni in termini sovrapponibili tra loro perché nel primo caso si descriveva l’insostenibile andamento della relazione sentimentale tra i due, mentre nel secondo caso si trattava di meglio precisare i fatti, su richiesta del verbalizzante. Secondo la Corte, non si trattava di contraddizioni o confusioni, ma di un episodio traumatizzante che la persona offesa aveva avuto difficoltà a descrivere nei particolari più scabrosi. Correttezza del percorso motivazionale dei giudici di merito. In conclusione, il Collegio ha ritenuto l’intero percorso motivazionale seguito dai giudici di merito completo, privo di vizi logici oltre che corretto in diritto perché, riprendendo quanto più volte affermato in giurisprudenza, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 ottobre – 25 novembre 2014, n. 48997 Presidente Teresi – Relatore Orilia Ritenuto in fatto Con sentenza 22.3.2013 la Corte d'Appello di Bologna - per quanto ancora interessa in questa sede - ha confermato il giudizio di colpevolezza di C.M. in ordine ai reati di violenza sessuale e sequestro di persona in danno di R.G. . La Corte di merito ha fondato il proprio giudizio sulle dichiarazioni della parte offesa, attendibili e suffragate dalle deposizioni dei testi escussi, rilevando che nessuna contraddizione emergeva tra il contenuto della querela del e quello delle sommarie informazioni del successivo mese di . Il difensore dell'imputato ricorre per cassazione contro la sentenza deducendo due motivi integrati da memoria difensiva. Considerato in diritto 1. Con un primo motivo denuncia il difetto di condizione di procedibilità rilevando che nella querela del la parte offesa non aveva fatto riferimento ad episodi di violenza sessuale baci, palpeggiamenti, penetrazione vaginale con un dito , di cui invece aveva fatto cenno per la prima volta nelle sommarie informazioni del omissis , ad oltre sette mesi dallo svolgimento dei fatti, e quindi fuori termine, trattandosi di reato perseguito a querela, non sussistendo neppure il connesso reato di sequestro di persona, perseguibile di ufficio contestato successivamente dal pubblico ministero. Il motivo è manifestamente infondato. Contrariamente a quanto affermato in ricorso, il reato è perseguibile di ufficio ai sensi dell'art. 609 septies comma 4 n. 4 cp perché sussiste connessione col delitto di sequestro di persona, reato a sua volta perseguibile di ufficio in ogni caso, come si evince dalla sentenza impugnata, nella prima querela del la R. aveva tra l'altro riferito che il C. , dopo la cena al ristorante, durante l'aggressione in auto, le aveva strappato le calze, iniziando a morderla sul collo, sul petto e sul viso e tale condotta invade certamente anche la sfera della libertà sessuale della donna, tenuto conto delle parti interessate. 2. Col secondo motivo denunzia violazione di legge in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa sia con riferimento alla violenza sessuale che al delitto di sequestro di persona. Premessa una ricostruzione del rapporto sentimentale con la parte offesa e del consolidamento della relazione dopo un periodo di contrasti sfociati anche in plurime querele, poi rimesse, il ricorrente sottolinea il comportamento della donna trascrivendo anche il contenuto di missive che denotano, a sua dire, l'esistenza di problemi di carattere psicologico della donna e ritiene mancavano sia riscontri interni che esterni. Anche questa censura si rivela inammissibile, per difetto di specificità artt. 581 lett. c e 591 lett. c cpp . Secondo il consolidato orientamento di questa Corte sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento 'attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito tra le varie, cfr. Sez. 6, Sentenza n. 8700 del 21/01/2013 Ud. dep. 21/02/2013 Rv. 254584 sez. 6, Sentenza n. 34521 del 27/06/2013 Ud. dep. 08/08/2013 Rv. 256133 Sez. 1, Sentenza n. 39598 del 30/09/2004 Ud. dep. 11/10/2004 Rv. 230634 . Nel caso di specie, la lunga censura mossa alla Corte bolognese si risolve in una diversa valutazione delle risultanze processuali finalizzata a dimostrare l'inattendibilità della parte offesa, attraverso la trascrizione di missive, di documenti e della deposizioni del teste B. di cui evidenzia la confusione sulle date però nessuna specifica critica viene mossa al percorso argomentativo della Corte d'Appello, che invece, si rivela logicamente coerente laddove ha analizza il comportamento della R. consistente nella presentazione e rimessione di querele, nella ripresa del rapporto affettivo con l'imputato e nella rinunzia a coltivare l'azione civile secondo la Corte si tratta effettivamente di un comportamento altalenante , ma vanno condivise le giustificazioni fornite dalla donna e fondate sul sentimento di affetto e d'amore, non represso del tutto e sulle continue possibilità di recupero offerte all'uomo nella speranza di un ravvedimento dai comportamenti possessivi e violenti . La Corte di merito inoltre ha dato una spiegazione plausibile alle divergenze, stigmatizzate dall'appellante, tra il contenuto della querela del mese di OMISSIS in cui si parlava di morsi sul collo, petto e viso nonché di calze strappate in auto e l'integrazione contenuta nelle sommarie informazioni dell' successivo in cui la R. ha riferito anche di baci e palpeggiamenti nonché di un dito infilato in vagina . Ha osservato in proposito che si trattava di dichiarazioni in termini sovrapponibili tra loro perché nel primo caso si descriveva l'insostenibile andamento della relazione sentimentale tra i due, mentre nel secondo caso si trattava di meglio precisare i fatti, su richiesta del verbalizzante in ogni caso, il riferimento agli atti sessuali traspariva già dalla prima relazione in cui si parlava di morsi sul seno mentre lo strappo delle calze poteva essersi reso necessaria solo al fine di raggiungere la zona vaginale, e lo strappo dei bottoni della camicetta di cui pure si parla solo nella seconda versione , era sotteso al morso sul seno. Secondo la Corte di merito, dunque, non si trattava di contraddizioni o confusioni, ma di un episodio traumatizzante che la parte offesa aveva avuto difficoltà a descrivere nei particolari più scabrosi. La Corte bolognese ha poi riportato il contenuto della deposizione del teste S. della Polizia di Stato sui fatti riferiti durante la telefonata della sera del e sullo stato d'animo della donna , nonché del teste B. , collega di lavoro sulla presenza di segni sulla guancia e sulle spiegazione date dalla donna alle sue domande sulla causa di tali segni riscontrati dal teste , ed ha attribuito i deficit del ricordo al fatto che si trattava di escussione avvenuta a distanza di tre anni dai fatti. Sul sequestro di persona oggetto di contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero , occorre premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del delitto, non è necessario che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente qualsiasi condotta che, in relazione alle particolari circostanze del caso, sia suscettibile di privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 38994 del 01/10/2010 Ud. dep. 04/11/2010 Rv. 248537 Cass. Sez. 5, n. 14566 del 14.2.05, dep. 19.4.05, rv. 231354 Cass. Sez. 2, n. 472 del 22.6.84, dep. 15.1.85, rv. 167426, ed altre . Orbene, nel caso che ci occupa la Corte d'Appello ha osservato che si trattava di fatti emersi sia nella querela del che nelle s.i.t. del omissis laddove la donna aveva dichiarato di voler essere accompagnata a casa dopo la violenza patita in auto mentre l'imputato l'aveva portata a casa sua costringendola a dormire da lui e successivamente impedendole di allontanarsi. Ha evidenziato, in proposito, la maggiore prestanza fisica dell'uomo, il tono perentorio adoperato e il timore della parte offesa di subire nuove minacce e percosse dal racconto della donna i giudici di merito hanno tratto, anche su tale questione, coerenza, fermezza e assenza di astio, a riprova della attendibilità. In conclusione, l'intero percorso motivazionale appare completo, privo di vizi logici oltre che corretto in diritto perché, come più volte affermato in giurisprudenza, le regole dettate dall'art. 192 comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone cfr. da ultima, Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012 Ud. dep. 24/10/2012 cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 44408 del 18/10/2011 Ud. dep. 30/11/2011 Rv. 251610, in motivazione . L'impugnata sentenza si sottrae pertanto decisamente alla censura esclusivamente fattuale che il ricorrente muove sollecitando la Suprema Corte ad una attività in questa sede preclusa il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa . Queste operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923 del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349 . Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.