Derivati al banco degli imputati: nessuna truffa per i costi impliciti applicati dagli intermediari

Non commette il reato di truffa ex art. 640 c.p. il dipendente della banca che omette di esplicitare al cliente i costi sostenuti dall’intermediario, introdotti nella struttura del prodotto derivato e richiesti per l’attività di gestione del medesimo, difettando un obbligo ex lege di comunicazione di tale informazione.

Il caso. Prosciolte quattro banche d’affari ed i rispettivi funzionari dai reati e dagli illeciti amministrativi loro ascritti in ordine all’operatività in derivati per 1,68 miliardi di euro compiuta dal Comune di Milano negli anni 2005-2007. La Corte di Appello di Milano Sezione Quarta Penale , con sentenza n. 1937 del 3 giugno 2014, riforma la sentenza del Tribunale di Milano del 19 dicembre 2012 per carenza congenita degli elementi costitutivi del reato di truffa aggravata asseritamente consumata, a pregiudizio del Comune di Milano, ad opera di alcuni funzionari i quali avrebbero agito nell’interesse ed a vantaggio degli istituti di credito di rispettiva appartenenza, individuati per la ristrutturazione di alcuni contratti di mutuo. Istituti questi assolti dagli illeciti amministrativi previsti dal d.lgs. n. 231/2001 perché, ad avviso della Corte di Appello, i fatti non sussistono. Revocate anche le statuizioni di confisca nei confronti degli intermediari per circa 90 milioni di euro. Caducate, infine, le condanne di risarcimento del danno. La decisione in argomento, composta da 483 pagine, affronta, in modo analitico, un thema decidendum di obiettiva complessità, connotato da elevato tecnicismo, focalizzandosi principalmente sul tema dei c.d. costi impliciti. Per consentirne una più agevole comprensione, vengono qui evidenziati i profili essenziali del chiaro ed articolato pensiero del Giudice penale mediante selezione e conseguente trascrizione di alcuni fra i più significativi e di maggior interesse per il civilista passaggi motivazionali. La condotta esigibile da parte del gestore del denaro pubblico nel rapporto con l’intermediario finanziario. La Corte di Appello di Milano muove il proprio ragionamento dal seguente presupposto proprio perché mano pubblica, l’Ente deve sì dalla controparte privata esigere il rigoroso rispetto delle garanzie previste dalla legge per sé ma deve sempre porsi all’altezza del compito. Nessun rifugio e nessun alibi nell’asimmetria informativa . In estrema sintesi, viene rimproverato al Comune di Milano, cuore economico pulsante della Nazione , di non essersi avvalso del supporto e dell’ausilio di un advisor indipendente per la componente economico finanziaria delle operazioni in strumenti finanziari derivati e ciò nella più che legittima convinzione di avere al proprio interno professionalità all’altezza dell’arduo compito per poi prospettare – contro ogni logica giuridica ma anche d’elementare buon senso – che il ruolo di consulente indipendente e di fatto lo dovesse svolgere la controparte negoziale. Allo scopo di accampare infedeltà contrattuali, conflitti di interesse ed invocare tutele d’affidamento prive di ogni costrutto . Il Comune di Milano, continua la Corte di Appello, avrebbe dovuto compiere la valutazione di economicità e rispondenza ai criteri di cui all’art. 41 Legge n. 448/2001 delle operazioni che si accingeva ad intraprendere. Insomma, l’Ente pubblico deve porsi nella condizione ideale di far prima quello che sarebbe troppo tardi far dopo, a contratto concluso, senza esigere ciò che, a parte la correttezza e la buona fede, è obiettivamente inesigibile dalla controparte contrattuale . In questa direzione, a detta de Giudice di secondo grado, da un lato, non può pretendersi di accollare l’incarico di consulenza alla controparte contrattuale magari a titolo gratuito e, dall’altro, non v’è alcun obbligo per gli amministratori di un Ente pubblico di accedere a tutti i costi al mercato di capitali v’è il preciso dovere di non scommettere con il denaro dei cittadini/contribuenti facendo loro assumere rischi dannosi e inutili, e , soprattutto, v’è il dovere giuridico e deontologico di giungere preparati, attrezzati ed informati al compimento di ogni atto amministrativo che presupponga sconfinamenti in materie complesse e di non proprio quotidiano maneggio . Il sillogismo a fondamento della sentenza di primo grado. Questo, ad avviso della Corte di Appello, l’originario sillogismo adottato dal Tribunale di Milano e sotteso ai capi di imputazione il derivato deve nascere con un valore neutro uguale a zero, secondo la costante prassi e l’uniforme condotta del mercato tutto ciò ch’è valore sopra lo zero genera costi impliciti i costi impliciti sono una ingiusta locupletazione che un contraente si conquista a danno dell’altro, rispetto alla dovuta parità finanziaria fra le due prestazioni ergo sono un profitto indebitamente carpito . Truffa e costi impliciti. Ad avviso invece della Corte di Appello, la nozione di costo implicito nell’ambito del contratto di swap ha poco a che vedere con l’occulto se per tale vuole intendersi un profitto clandestinamente carpito . Infatti, l’Ente sa – a differenza dei non pratici – che il prezzo viene posto di regola pari a zero ma il margine di intermediazione o transazione comprendente i costi sostenuti e gli oneri gravanti sull’intermediario per la realizzazione del prodotto finanziario nonché il profitto a questi spettante rimane implicito in un mispricing oltretutto variabile da intermediario a intermediario in funzione dei costi in concreto sostenuti, a loro volta variabili e dipendenti dell’organizzazione, dalla specializzazione e della capacità di penetrazione del mercato dell’intermediario medesimo corrispondente all’up-front che dovrebbe essere riconosciuto all’operatore economico per rendere par il contratto dovrebbe nel senso che gli importi sopra indicati di hedging + mark up , non solo leciti ma dovuti andrebbero comunque idealmente detratti dall’importo dell’eventuale up front da riconoscere alla controparte contrattuale . Prosegue il Giudice penale evidenziando che l’ente pubblico sa, in definitiva, che i contratti swap par”, ossia con valore iniziale pari a zero, deprivati anche degli importi di che trattasi vengono considerati dalla prassi internazionale di mercato inesistenti in rerum natura quando i contraenti non sono entrambi intermediari finanziari e di pari rating , dovendo comunque in qualche modo essere remunerati sia i costi di ingegnerizzazione del prodotto derivato che le componenti di rischio assunte dalla banca in ordine alla gestione del contratto. Sa bene, perciò, che dopo la determinazione del livello di prezzo teorico in base al quale il valore attuale delle prestazioni a carico di una parte è equivalente al valore attuale delle prestazioni a carico dell’altra c.d. mid market lo si modifica – e lo si modifica sempre – non è previsto dai mercati che ciò non avvenga – al fine di tener conto dei costi sopportati dalla banca, nonché della componente di profitto che l’intermediazione finanziaria richiede . Viene al riguardo richiamato un passaggio della relazione del Prof. Hull, consulente di una delle banche coinvolte e unanimemente riconosciuto come il padre accademico dei derivati , secondo cui il concetto di uno swap neutro all’origine è solo teorico e viene utilizzato per finalità pedagogiche . Sempre in questa direzione, a detta del Giudice di secondo grado, se è legittimo, non può essere un profitto occulto invero non è neppure un profitto bensì è un ricavo ed è occulto” solo per chi non sa e non può essere nemmeno ingiusto. Ciò è tanto più logico e comprensibile solo che si consideri come, allorquando si vuol far intendere al discente cosa sia in concreto il bid/ask spread in inglese che è poi l’italiano differenziale denaro/lettera si è soliti fare l’esempio del cambiavalute all’aeroporto che espone la tabella con un doppio prezzo per ciascuna moneta. Il viaggiatore in partenza sa che l’acquisto della moneta in corso nel Paese di sua destinazione avverrà al prezzo superiore mentre, al suo rientro in Patria, il ritorno alla moneta nazionale comporterà un cambio a quello inferiore ma giammai si sentirà truffato. Eppure in quel differenziale di prezzo sono contenuti i costi impliciti del cambiavalute e cioè i costi ch’egli sostiene ed il profitto ch’egli si aspetta di conseguire facendo il mestiere che fa . Ad essere ontologicamente incompatibile con il paradigma della truffa ex art. 640 c.p. non è tanto il contratto derivato in sé bensì la nozione sostanziale di costi impliciti se è vero, come è vero, che – mai definita dal Legislatore, neppure oggi e neppure dopo quella rivoluzione copernicana che per il diritto finanziario è stata Mifid – essa è divenuta, per accettata convenzione, sinonimo di costi e remunerazione per una attività contrattuale compiuta . Nella fattispecie, non sussistono, in definitiva, per il Giudice penale i gli artifici ed i raggiri ad opera dei funzionari delle banche coinvolte ii l’induzione in errore del Comune di Milano il quale ha dichiarato di essere Operatore Qualificato iii il profitto ingiusto a favore dei ridetti intermediari iv il decremento patrimoniale a favore del Comune di Milano. Legittimo per il banche tacere il profilo atteso e l’entità dei costi impliciti. Rileva il Giudice penale che l’errore di metter da parte gli intramontabili manuali di diritto ha fatto sì che l’interprete affidandosi all’economista ed al matematico finanziario anche per decifrare concetti giuridici abbia contestato – a dispetto delle norme che al tempo del fatto imponevano di comunicare il solo prezzo del derivato – il silenzio serbato, a titolo di dolosa omissione, sul mark to market , ch’è il valore del contratto segnatamente il valore di mercato al lordo dei costi di transazione facendolo coincidere con la nozione di prezzo . Ed al tempo non solo era certamente legittimo per le banche in presenza di un prodotto finanziario di tipo IRS interest rate swap com’era quello in esame introdurre il loro compenso atteso nella struttura del prodotto finanziario in forza di quel meccanismo detto denaro-lettera o bid/ask di cui s’è più sopra fatto più che un cenno, ma era legittimo tacere il profitto atteso. Non dovevano affatto richiedere delle commissioni a parte, esplicitandole . L’interpretazione delle norme [i.e. art. 32 Reg. Consob 11522/98] e le Deliberazioni di Consob [i.e. n. 99014081/99] dicevano altro, non imponevano affatto di comunicare alla controparte il consenso i.e. la differenza fra il valore denaro e il valore lettera . La consapevolezza del cliente esclude il conflitto di interessi dell’intermediario. Osserva la Corte di Appello come un qualsiasi conflitto di interessi non palese debba essere oggetto d’informativa in forza della regola nota come disclose o abstain ” e cioè a dire disvelalo o astieniti” dall’operazione conflittuale la quale non è vietata in sé, ovviamente. Il cliente deve solo essere messo nelle condizioni di conoscere l’esistenza del conflitto qualunque sia la natura da polifunzionalità, da appartenenza a un gruppo, da rapporti di affari e così via per poter liberamente decidere se, nonostante quest’ultimo, l’operazione proposta valga comunque di intraprenderla oppure no . La ratio è chiara il rapporto tra investitore e un broker-dealer è caratterizzato dalla fiducia che il primo ripone nel secondo che di certo non può essere tradita proprio in una contingenza di potenziale dannosità per il contraente economicamente più debole ma se quest’ultimo, reso edotto del conflitto di interessi, non lo ritiene pregiudizievole per il proprio vantaggio non si vede davvero ragione per interferire nell’autonomia contrattuale . Il conflitto di interesse da disvelare in nome della trasparenza non può, di sicuro, essere la fisiologica contrapposizione tra controparti contrattuali .

Corte di appello di Milano, sez. IV Penale, sentenza 7 marzo – 3 giugno 2014, n. 1937 Presidente Martino – Relatore Anelli