Il ne bis in idem esclude la valutazione di condotte persecutorie già oggetto di altri procedimenti

Essendo il reato di stalking necessariamente abituale un solo episodio non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dall’art. 612-bis c.p Ed i singoli segmenti persecutori, già oggetto di contestazione in altri procedimenti, non possono essere valutati come fatto integrante il reato oggetto del nuovo procedimento, né tali fatti già contestati possono essere valorizzati come elemento integrante la nuova condotta persecutoria, per non incorrere nel divieto del ne bis in idem è possibile soltanto valutarli come antecedente storico-giuridico, come accade quando si valorizza un reato definitivamente accertato.

Lo ha stabilito la sez. V Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48391/14, depositata il 20 novembre 2014. Il concatenarsi dei fatti persecutori e delle loro contestazione. Il gip di Napoli rigettava la richiesta di misura cautelare nei confronti di un uomo, accusato di atti persecutori nei confronti del coniuge legalmente separato in quanto, poiché l’ex moglie aveva presentato due querele per fatti rilevanti ai sensi dell’art. 612- bis c.p. oltre che una terza denuncia per omesso versamento delle somme stabilite nella sentenza di separazione, ai sensi dell’art. 570 c.p. , la condotta apprezzabile ai fini del procedimento cautelare era una soltanto nell’ultima querela la vittima denunciava il tentativo, da parte dell’ex marito, di introdursi nel proprio appartamento e la condotta di minacce gravi e come tale insufficiente a configurare l’autonoma fattispecie incriminatrice di stalking, avendo natura necessariamente abituale. Il Tribunale del riesame di Napoli ribaltava la decisione cautelare di prime cure, applicando la misura cautelare degli arresti domiciliari, rilevando, contrariamente al gip, che il fatto denunciato nell’ultima querela non dovesse essere isolatamente considerato, ma nel quadro dell’intera vicenda persecutoria descritta anche nella precedente denuncia , che essendo unificabile, con le precedenti, nel vincolo della continuazione, fosse da considerare rilevante e sufficiente a contestare il reato ex art. 612-bis c.p., nel nuovo procedimento, con una nuova misura cautelare. Si citava, a sostegno della tesi dell’operatività della continuazione anche ne caso di fatti capaci di dare vita ad un reato abituale la sentenza n. 4636/1995 in tema di maltrattamenti in famiglia. Il ricorso accolto dalla Suprema Corte. L’imputato ricorreva in Cassazione criticando l’assunto del Tribunale della libertà partenopea sulla possibilità di valutare l’unico episodio persecutorio alla luce dei fatti contestati in altri e precedenti procedimento. Fatti precedenti che, se ritenuti valorizzabili ne procedimento successivo, darebbero luogo ad un ne bis in idem, apprezzabile anche con riferimento a fatti sub judice , come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 34655/2005 . Nel ritenere fondato il ricorso, gli Ermellini premettono che il reato di atti persecutori sia necessariamente abituale richiedendo la norma la reiterazione di atti di molestia o minaccia, pur specificando che anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo, bastano ad integrare sotto il profilo temporale il reato per quanto riguarda l’aspetto materiale , Cass., Sez. III, n. 45648/2013 . Invece, un solo episodio, per quanto grave ed anche capace di determinare uno degli eventi alternativamente previsti, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma in esame. I giudici di legittimità, entrando nel cuore della questione, passano a ricordare che la loro giurisprudenza accoglie una interpretazione ampia del concetto di ne bis in idem , per cui se un fatto eventualmente insieme ad altri ha costituito materia di esercizio dell’azione penale nell’ambito di un procedimento penale, il medesimo ufficio del pm non può nella medesima sede giudiziaria, procedere nuovamente per lo stesso fatto iscrivendo un nuovo procedimento, contro il medesimo soggetto. Di conseguenza, l’operatività del principio del ne bis in idem impedisce di valutare, come fatto integrante l reato del nuovo procedimento, anche condotte comprese nei vecchi, in quanto i fatti che non possono essere contestati, per non incorrere nel suddetto divieto, non possono neppure essere valorizzati come elemento integrante la nuova condotta. Possono, al più, essere valutati come antecedente storico-giuridico, come accade quando si valorizza un reato definitivamente accertato. L’interpretazione autentica di un precedente arresto in tema di tempus regit actum. Alla stessa stregua, la sentenza in commento richiama un suo precedente che, sempre in materia di stalking, ha ritenuto che fatti di minacce o molestie antecedenti alla data in vigore della legge del 2009 che ha introdotto il reato di atti persecutori, pur non essendo addebitabili a tale titolo di reato, tuttavia presentano una valenza probatoria ai fini della lettura” e interpretazione soprattutto della gravità – nell’ottica della prova dell’evento – di altre condotte persecutorie successive all’entrata in vigore della fattispecie, e autonomamente capaci, per la loro reiterazione di integrare il reato in esame Cass. n. 10388/2013 . Tale interpretazione autentica della precedente pronuncia è quanto mai opportuna perché occupandosi del tempus regit actum , il precedente arresto aveva fermato che il fatto che l'inizio della condotta avvenga ancor prima che entri in vigore la legge, non rende penalmente irrilevanti gli atti successivi. Tuttavia, perché si applichi la nuova norma, non basta che sotto la sua vigenza sia stato compiuto l'ultimo atto, ma occorre che tale atto sia preceduto da altri comportamenti tipici ugualmente compiuti sotto la vigenza della nuova norma incriminatrice. Tali argomentazioni lasciavano il dubbio se anche le porzioni di atti persecutori precedenti all’entrata in vigore della nuova figura di reato fossero punibili. Anche perché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sembra in tal senso lasciare spazi di punibilità. Infatti, la Corte di Strasburgo, a proposito dei reati di durata , ha stabilito in termini meno garantistici che in caso di infraction continue fatti commessi a cavallo” dell’introduzione del delitto abituale non vi sia il contrasto con l’art. 7 della Cedu sotto il profilo del divieto di irretroattività della legge penale più sfavorevole sentenza del 18 aprile 2013, Rohlena c. Repubblica Ceca, nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato per maltrattamenti in famiglia, perpetrati in maniera ininterrotta tra il 2000 ed il 2006, ai sensi di una fattispecie incriminatrice entrata in vigore nel 2004 . Reati abituali e continuazione delle nuove” condotte. La Suprema Corte fornisce infine una diversa chiave di lettura interpretativa alla supposta compatibilità affermata nell’ordinanza impugnata dell’istituto della continuazione anche in caso di fatti capaci di dare vita ad un reato abituale. Si specifica, in particolare, che – proprio alla luce della stessa sentenza di cassazione citata dal Tribunale del riesame – affinché vi sia una situazione di continuazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 81 c.p. è necessario che la nuova seria di condotte, da unificarsi con il precedente reato abituale nel medesimo disegno criminoso, deve essere tale da delineare una nuova” ed autonoma fattispecie di reato abituale. La sentenza, cioè, riconosce che due ipotesi di reato abituale possano essere unificate nel vincolo della continuazione, ma non afferma, viceversa, che l’astratta ammissibilità dell’istituto di cui all’art. 81 c.p., nella materia de qua, possa sopperire alla necessità che il reato da unificare nel vincolo della continuazione sia completo in tutti i suoi elementi ed in particolare di quello della necessaria reiterazione” delle nuove condotte. In definitiva, poiché la singole condotte persecutorie precedentemente contestate in altro procedimento per il delitto ex art. 612- bis c.p. non possono avere una proiezione nel nuovo procedimento penale nel quale è stata richiesta la misura cautelare nel senso di costituire elemento costitutivo della nuova fattispecie di stalking contestata, essendo possibile valutarli come antecedente storico-giuridico , l’ordinanza impugnata è stata annullata senza rinvio in quanto emessa in carenza dell’elemento oggettivo della reiterazione, perché si era in presenza della valorizzazione di un unico episodio di molestie e minacce è insufficiente.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 settembre – 20 novembre 2014, n. 48391 Presidente Ferrua – Relatore Vessichelli Fatto e diritto Propone ricorso per cassazione C.G., avverso la ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Napoli, in data 18 aprile 2014, in parziale accoglimento dell'appello del Pubblico ministero contro il precedente provvedimento del Gip di diniego della misura cautelare della custodia in carcere, per il reato di cui all'articolo 612 bis c.p. ha disposto l'applicazione della misura degli arresti domiciliari. Il provvedimento è stato dichiarato sospeso in attesa della sua definitività. Si legge, nell'ordinanza impugnata, che la misura cautelare di massimo rigore era stata richiesta, nei confronti del C., con riferimento all'imputazione provvisoria di atti persecutori, contestati come commessi, in danno del coniuge legalmente separato comma 2 dell'articolo citato , dal settembre 2012 al febbraio 2013. Il Gip aveva tuttavia posto in evidenza che, sebbene risultasse dagli atti che la presunta vittima, S.S., si fosse resa autrice di due querele per fatti rilevanti ai sensi dell'articolo 612 bis, ed anche di una denuncia, in realtà, la condotta apprezzabile, ai fini del procedimento incidentale cautelare che qui interessa, era una soltanto, e come tale insufficiente a configurare una autonoma ipotesi di stalking delitto che, come è noto, ha natura di reato necessariamente abituale. Più in particolare il Gip aveva notato che la S. aveva presentato una querela il 16 luglio 2012, per fatti commessi il 15 aprile 2012 investimento doloso, subito, ad opera dell'indagato, durante una manifestazione religiosa aveva poi presentato una denuncia, il 6 giugno 2012 per omesso versamento delle somme stabilite nella sentenza di separazione del 2007 aveva infine proposto querela in relazione ad un tentativo, da parte dell'ex coniuge, di introduzione nel proprio appartamento e a condotta di minacce gravi fatti commessi il 19 febbraio 2013. Tuttavia, l'episodio rilevante e valorizzabile era solo quello dei febbraio 2013 e comunque non anche gli altri due, come dei resto ritenuto dallo stesso Pm che aveva limitato la contestazione nel presente procedimento, ai fatti compresi tra settembre 2012 e febbraio 2013 infatti, le condotte fino a settembre 2012 dovevano ritenersi comprese nella contestazione del diverso procedimento, recante il n.RG 62\ 2012, precedentemente iscritto a carico del C. per altri analoghi fatti, denunciati a partire dal dicembre 2011, ma contestati come perduranti e quindi da ritenere oggetto dei procedimento appena citato, quantomeno fino alla data di notificazione del relativo avviso di conclusione delle indagini, risalente, appunto ai primi giorni di settembre 2012. Il Tribunale del riesame, adito in sede di appello ex art. 310 cpp dal PM, è stato, invece di contrario avviso. Il Collegio, dopo avere elencato i significativi precedenti , penali e giudiziari del ricorrente e cioè la sentenza di condanna per il delitto di cui all'art. 570 cp, del 2010, per fatti oggetto di querela del 27 ottobre 2006 e per quelli fino alla sentenza stessa, peraltro appellata altra sentenza di condanna del Tribunale di Frattamaggiore, del 29 settembre 2011 irrevocabile nel gennaio 2012 , nel proc. n. RG 43462\09, per i delitti di cui agli artt. 612 bis cp , 582 cp e 570 c.p., relativi a fatti denunciati con querela del 19 agosto 2009, ma da ritenere estesi fino alla condanna dei settembre 2011 processo nel quale, come si legge a pag. 4 del provvedimento impugnato, a partire dal 19 luglio 2011, è stata emessa anche la misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa e il titolo detentivo è stato eseguito nel luglio 2013, con fine pena al giugno 2014 altro procedimento n. 62\2012 RG , per fatti dal dicembre 2011 e perduranti, attualmente nella fase dell' avviso conclusione indagini, che è stato del 10 settembre 2012 ha rilevato, contrariamente al Gip, ed invece conformemente alla tesi dell'appellante PM, che , alla luce di essi, il fatto del febbraio 2013 tentativo di introduzione nell'appartamento della ex moglie e minacce gravi non potesse e non dovesse essere considerato in sé, ma quale vicenda che, essendo unificabile, con le precedenti, nel vincolo della continuazione, fosse da considerare rilevante e sufficiente a contestare il reato ex art. 612 cp, nel nuovo procedimento, con nuova misura cautelare. Ha affermato, il Tribunale , a sostegno di tale assunto, e cioè della tesi della operatività della continuazione anche in caso di fatti capaci di dare vita ad un reato abituale, la sentenza della Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995 Ud. dep. 27/04/1995 Rv. 201148 in tema di reato ex art. 572 cp maltrattamenti in famiglia, anch'esso abituale . Tale assunto consentirebbe di valutare l'episodio del febbraio 2013 in una cornice unitaria col fatto del 15 aprile 2012, pur non contestandosi, da parte dello stesso Tribunale, che quest'ultimo episodio debba ritenersi coperto dall'oggetto del procedimento n. 62 \2012, il quale infatti pertiene alle condotte comprese fino al settembre 2012. In altri termini, sostiene il Tribunale, citando anche ulteriore giurisprudenza, che il legame con le condotte pregresse può essere quello della continuazione, sufficiente a integrare il paradigma dell'art. 612 bis cp. Deduce il ricorrente 1 la violazione di legge artt. 612 bis cp, 649 cpp, 50 CEDU e il vizio della motivazione. In primo luogo fa' notare che , dovendosi ritenere cessate alcune delle precedenti condotte rilevanti ex art. 612 bis cp, per effetto della sentenza del 2010, divenuta definitiva, in relazione a quelle successive si sarebbe dovuto appositamente illustrare il tema della capacità delle nuove condotte di determinare lo stato d'ansia o una delle altre condizioni alternativamente previste come evento del reato in parola. Sul punto, invece, nessuna motivazione era stata fornita dal Tribunale. In secondo luogo il ricorrente lamenta la tesi giuridica del Tribunale a proposito della possibilità di valutare l'episodio unico, oggetto del presente procedimento, alla luce dei fatti contestati in altri e precedenti procedimenti o processi. La intervenuta sentenza di condanna avrebbe dovuto essere ritenuta idonea a determinare la cessazione della condotta oggetto di giudicato, così come comunemente si ritiene per i reati permanenti. Ragionare come aveva fatto il Tribunale, significa contestare all'indagato fatti già oggetto di giudicato, senza i quali, l'unico episodio successivo, non avrebbe alcuna autonoma rilevanza penale. Quei fatti precedenti, d'altro canto, se ritenuti valorizzabili nel procedimento successivo, darebbero luogo ad un bis in idem , vietato dal codice e apprezzabile anche con riferimenti a fatti sub judice , come affermato dalle SSUU nella sentenza n. 34655 del 2005. D'altra parte, i fatti già giudicati sarebbero valorizzati nonostante che di essi non sia stata fatta doverosamente menzione nel capo di imputazione e nonostante che, su di essi, dunque, non possa dispiegarsi alcuna attività difensiva nel presente procedimento. Anche la operatività dell'istituto della continuazione sembra citata in maniera impropria, essendo, tra l'altro, tale istituto, previsto solo per favorire l'imputato e comunque senza automatismi di sorta. In terzo luogo il difensore lamenta la mancanza di motivazione sulla attualità delle esigenze cautelavi, essendosi ignorato che egli è ristretto in carcere in espiazione di pena 2 la illegittimità costituzionale dell'art. 612 bis cp per violazione degli artt. 3,25 e 27 Cost. nonché 50 Cedu, se ritenuto interpretabile come fatto dal Tribunale. Una simile lettura darebbe luogo a violazione del principio di tassatività del precetto penale, che opererebbe avvalendosi di precedenti condotte già giudicate si determinerebbe anche la violazione del principio dei ne bis in idem. Il ricorso è fondato, come sostenuto anche dal Procuratore Generale di udienza. Assorbente e decisiva è la questione posta nella prima parte del primo motivo di ricorso, sulla base di osservazioni della ricorrente difesa, da ritenere corrette e condivisibili, conformemente anche alla tesi del Gip, come riportata nel provvedimento impugnato. Ebbene, è indubbio che il reato di atti persecutori sia necessariamente abituale , posto che, come si ricava dalla lettera della legge e come osservato anche dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla dottrina, le condotte di minaccia o molestia con i connotati, in tema di causalità, descritti nella norma in esame debbono essere reiterate per dare luogo al reato ex art. 612 bis cp, ciò che significa che il giudice deve trovarsi a valutare almeno due episodi di minaccia o molestia, attuati nel corso del tempo. Infatti, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche capace, in linea teorica, di determinare il grave e persistente stato d'ansia e di paura che è indicato come l'evento naturalistico del reato in parola, non è sufficiente a determinare la lesione dei bene giuridico protetto dalla norma in esame, potendolo essere, invece, alla stregua di precetti diversi e ciò in aderenza alla volontà dei legislatore il quale, infatti, non ha lasciato spazio alla configurazione di una fattispecie solo eventualmente abituale. Tale assunto non è invero posto in discussione neppure nel provvedimento impugnato, nel quale , tuttavia, si è ritenuto che la pluralità dei fatti potesse essere rintracciata anche in episodi pregressi, oggetto di diversi e separati procedimenti. Senonchè, una simile operazione ermeneutica incontra, all'evidenza, tutti i gravi inconvenienti segnalati dal ricorrente. In particolare, il tema ricade nell'ambito del principio enunciato dalle Sezioni unite, nella sentenza n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231800, secondo cui non può esser nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente anche se in fase o grado diversi nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa dei medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. In altri termini, tale ampia interpretazione del principio del ne bis in idem, ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità, rende evidente che se un fatto eventualmente insieme ad altri ha costituito materia di esercizio della azione penale nell'ambito di un procedimento penale, il medesimo ufficio del PM non può, nella medesima sede giudiziaria, procedere, nuovamente per lo stesso fotto iscrivendo un nuovo procedimento, contro il medesimo soggetto. Ebbene, tale principio, appare invero in parte correttamente applicato anche dal PM, nel presente procedimento, come si desume dal fatto che i fatti-reato posti a fondamento della richiesta di misura cautelare della quale si discute appaiono, nel provvisorio capo di imputazione riportato del provvedimento impugnato, diversi e successivi rispetto a quelli oggetto dei procedimenti precedentemente iscritti. Il Pm ha infatti contestato una condotta che si assume posta in essere da settembre 2012 ossia data successiva a quella di ritenuta cessazione del reato oggetto dei procedimento penale n. 62 \2012 a febbraio 2013 una contestazione che chiaramente non comprende, in particolare , il fatto di lesioni dolose, oggetto della querela del luglio 2012 mentre, sostanzialmente, copre un arco temporale nel quale, l'unica condotta segnalata concretamente dalla p.o., è quella del febbraio 2013. Ma se ciò e vero, la operatività del principio del ne bis in idem avrebbe dovuto essere portata alle ulteriori conseguenze e impedire di valutare, come fatto integrante il reato oggetto del nuovo procedimento, anche condotte comprese nei vecchi. Invero, i fatti che non possono essere contestati , per non incorrere nel detto divieto, non possono neppure essere valorizzati come elemento integrante la nuova condotta. Possono essere, soltanto, valutati come antecedente storico-giuridico, come accade quando si valorizza un reato definitivamente accertato, secondo il disposto e con le modalità dell'art. 238 bis cpp. Nella stessa ottica, si è ritenuto, ad opera della giurisprudenza di questa Corte v. Sez. 5, sentenza n. 10388 del 06/11/2012 , Rv. 255330, citata anche nel provvedimento impugnato , che fatti di molestie o minacce antecedenti alla data di entrata in vigore della legge del 2009, che ha istituito il reato di atti persecutori, pur non essendo addebitabili a tale titolo di reato, tuttavia presentino una valenza probatoria ai fini della lettura e interpretazione soprattutto della gravità nell'ottica della prova dell'evento di altri fatti di molestia o minacce successivi alla detta data, e autonomamente capaci, per la loro reiterazione, di integrare il reato in parola. Il principio estratto da tale sentenza da ritenere dunque equivocato dal Tribunale è infatti soltanto quello per cui si configura il delitto di atti persecutori cosiddetto reato di ' stalking nella ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca anteriore all'entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti, anche dopo l'entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. Allo stesso modo deve intendersi l'altra sentenza di legittimità citata nel provvedimento impugnato quella della Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995 Rv. 201148, in tema di reato maltrattamenti in famiglia art. 572 cod. pen. , secondo cui il reato necessariamente abitua si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili , ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo esso si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte delittuose o meno collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81 capoverso cod. pen., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l'altra. Ebbene, anche tale sentenza che peraltro riecheggia un orientamento analogo in tema di reati permanenti e continuazione v. Rv. 209118 Rv. 232965 attesta esclusivamente che una serie di condotte capaci di integrare il reato abituale può ritenersi cessata per effetto di sentenza di condanna e, se ripresa successivamente a questa, può anche dare luogo ad una situazione di continuazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 81 cp ma a condizione che anche la nuova serie di condotte, da unificarsi con il precedente reato abituale nel medesimo disegno criminoso, sia tale da delineare una nuova ed autonoma fattispecie di reato abituale. La sentenza, cioè riconosce che due fattispecie di reato abituale possono essere unificate nel vincolo della continuazione, ma non afferma, viceversa, che la astratta ammissibilità dell'istituto di cui all'art. 81cp, nella materia de qua, possa sopperire alla necessità che il reato da unificare nel vincolo della continuazione sia completo di tutti i suoi elementi ed in particolare di quello della necessaria reiterazione delle nuovo condotte. Infine, non vale a superare il rilievo sopra formulato, e cioè la impossibilità di violare il ne bis in idem, il fatto che in altra sentenza di legittimità citata nella ordinanza del Tribunale Sez. 6, Sentenza n. 39228 del 23/09/2011 Ud. dep. 28/10/2011 Rv. 251050 si sia affermato che in tema di maltrattamenti in famiglia, l'intervenuta prescrizione degli autonomi illeciti eventualmente integrati da alcune delle condotte che concorrono a realizzare il reato non ne determina l'irrilevanza ai fini della sussistenza di quest'ultimo, qualora per esso la causa estintiva non si sia ancora perfezionata . Infatti , tale principio è stato reso in relazione a reati contestati in concorso formale e nel medesimo processo, sicchè alla materia era dei tutto estranea la tematica dei ne bis in idem, invocata nella specie dal ricorrente. Deve dunque riconoscersi che la misura cautelare disposta nella ordinanza qui impugnata è stata emessa in carenza di necessari indizi sull'elemento oggettivo dei reato ex art. 612 bis cp, essendo valorizzabile , a tal fine, un unico e insufficiente episodio di minacce e molestie. P.Q.M. Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata.