La punibilità non è esclusa se l’immissione nel possesso del titolare del bene avviene con verbale ed in seguito a esecuzione forzata

La Corte di Cassazione ha avuto modo di ri considerare i presupposti per la sussistenza del reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art. 633 c.p. così come il concetto di irreversibilità del danno ai sensi dell’art. 635 c.p

Queste sono le affermazioni della Corte di Cassazione nella sentenza n. 47705, depositata il 19 novembre 2014. Il caso. Nella specie l’imputato era stato assolto nel merito per i reati di cui sopra, poiché si erano ritenuti insussistenti taluni elementi fondamentali indicati dalle norme in oggetto. In particolare, a detta del gdp adito, l’invasione dell’edificio non poteva essere ritenuta sussistente in quanto mancava la prova del possesso del proprietario denunciante. Il bene in questione, infatti, derivava dall’assegnazione di una procedura esecutiva e nel verbale di immissione nel possesso, illo tempore circa 18 anni prima dei fatti! redatto dall’ufficiale giudiziario, e risultava semplicemente che la parte civile era stata formalmente” immessa nel possesso e che l’occupante dell’epoca aveva dato la propria disponibilità a lasciare l’immobile, che peraltro era già completamente vuoto. Essendo risultato poi che in epoca antecedente alla denuncia il querelante era a conoscenza dell’occupazione da parte dell’imputato figlio del precedente occupante del proprio appartamento, tale condotta avrebbe indicato acquiescenza o comunque palese disinteresse per l’abusiva occupazione. Relativamente all’insussistenza del reato di danneggiamento, la motivazione si era incentrata sul fatto che la serratura era stata semplicemente sostituita”. Possibilità di agire liberamente. La Suprema corte non ha potuto accettare le argomentazioni addotte in quanto palesemente insostenibili. Sotto il primo profilo, infatti, si è osservato che se è vero che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, da intendersi come esercizio di fatto sul bene , è pur vero che la situazione di fatto tra il soggetto e la cosa non richiede la materiale apprensione del bene, essendo sufficiente che l’ accipiens abbia conseguito la possibilità attuale ed esclusiva di agire liberamente su di esso. Da qui l’insostenibilità delle argomentazioni dei giudici di merito, i quali in sostanza avevano del tutto vanificato il significato dell’immissione nel possesso effettuata con il verbale di consegna. Esecuzione forzata. Si spiega allora la ragione per cui si è ritenuto di indicare il seguente principio di diritto una volta che un soggetto sia stato escomiato, a seguito di esecuzione forzata da un immobile, ove, successivamente, il medesimo risulti occupato da un familiare del soggetto esecutato, è configurabile il reato di cui all’art. 633 c.p. a meno che l’occupante non dimostri che si trovava nel possesso o nella detenzione dell’immobile fin da prima dell’escomio e che tale possesso e/o detenzione era proseguita ininterrottamente anche successivamente . Forzatura della porta. Relativamente al delitto di danneggiamento, si è osservato che la forzatura della porta, che ha reso necessaria la sostituzione della serratura, integra il reato di cui all’art. 635 c.p., in quanto è sufficiente che il danneggiamento sia funzionale, cioè che il deterioramento determini una diminuzione dell’utilizzabilità del bene. Solo nel caso di danneggiamento esiguo, cioè di un deterioramento che non ha riflessi sulla struttura o la funzione del bene ovvero sulla sua consistenza, si può sostenere che il delitto de quo non sussista. Ciò tuttavia non poteva essere ammesso nel caso di specie, poiché la forzatura aveva determinato la rottura della serratura e, quindi, un danno irreversibile nella res , benché in ipotesi riparabile ad opera dell’uomo. La Corte ha quindi sentito la necessità di enunciare l’ulteriore seguente principio la forzatura di una serratura costituisce danneggiamento essendo di natura irreversibile – sebbene sia possibile un intervento ripristinatorio ad opera dell’uomo – e consistendo in una modificazione funzionale e strutturale della cosa che non può definirsi irrilevante neppure sotto il profilo economico . Conclusioni. Nel complesso la decisione in commento appare ampiamente condivisibile. Su un solo punto si ritiene di fare un’osservazione. Non pare, infatti, che debba essere l’imputato a dare la prova di essersi immesso nel possesso prima dell’esecuzione forzata. Ciò che rileva, infatti, è sapere se e quando è avvenuto lo spossessamento. Se così è, tale elemento costituisce un dato a carico dell’accusa. E’ pertanto pericoloso sostenere che in tema di distribuzione dell’onere probatorio ove l’imputato deduca eccezioni o argomenti difensivi, spetta a lui provare o allegare, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, le suddette eccezioni perché è l’imputato che, in considerazione del principio della cd. vicinanza della prova”, può acquisire o quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva . Tale impostazione è accettabile – ma non troppo - in ambito civilistico, ma non anche in sede penale. Quel che rileva, infatti, è l’oggetto della prova, cioè il fatto che si intende provare. Se tale elemento attiene ad un dato della fattispecie o comunque essenziale ai fini della punibilità, l’onere sul punto è solamente a carico dell’accusa. Il concetto di vicinanza della prova” è un vero e proprio non-concetto, cioè è una espressione giuridicamente priva di pregnanza. Sul punto basta fare un esempio per comprendere l’ambiguità e pericolosità dell’assunto. L’accusa argomenta che l’imputato abbia commesso il fatto quest’ultimo afferma di non essere stato lui e, quindi, nega la propria responsabilità, evidenziando lacune ed imprecisioni nel costrutto accusatorio. La difesa in questione non ha bisogno di altro per essere accettata. Né si può pretendere, in base al ragionamento sottostante al fantomatico principio della vicinanza della prova”, che l’imputato, sapendo sempre qualcosa, se non vuole subire una condanna, debba parlare. Sono ormai passati i tempi dell’inquisitorio, ma non anche le ideologie sottostanti. D’altra parte, i profili fondamentali del rito accusatorio sono sempre oggetto di attacchi, anche quando non ve ne sia bisogno per ben giudicare. E’ difficile garantire garanzie, ma senza garanzie garantite non vi può mai essere vera giurisdizione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 ottobre – 19 novembre 2014, n. 47705 Presidente Gentile – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con sentenza del 20/11/2013, il giudice monocratico del tribunale di Brindisi, decidendo in sede di appello, riformava la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice di Pace di Oria in data 19/10/2012, assolvendo V.M. dai reati di cui agli artt. 633 e 635 cod. pen. perché il fatto non sussiste. 2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la costituita parte civile D.A. deducendo la violazione degli artt. 633 - 635 cod. pen. sia perché il giudice li aveva male applicati sia perché aveva fatto mal governo delle risultanze istruttorie. 3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate. 4. V.M. fu tratto a giudizio dinanzi al G.d.P. di Oria per rispondere dei delitti di cui agli artt. 81, 633 e 635 c.p. e cioè per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusivamente occupato l'abitazione di D.A. , entrandovi dopo aver danneggiato la serratura della porta di ingresso privandola del cilindretto e apponendovi la sbarra dall'interno fatto commesso in omissis ”. Il fatto che dette origine al processo, nella sua storicità, è stato ricostruito dal giudice nei seguenti termini pag. 2 sentenza impugnata Con decreto dell'8.5.1985 emesso a seguito di pubblico incanto il G.E. del Tribunale di Brindisi disponeva in favore di D.L. padre della parte civile il trasferimento della proprietà dell'immobile sito in alla Via omissis , angolo Via , già di proprietà di B.C. madre del V.M. l'immobile era composto da piano terra e primo piano. Il D. era formalmente immesso nel possesso dell'immobile con verbale redatto dall'Ufficiale giudiziario in data 24.4.1988 nell'occasione il p.u. dava atto della disponibilità della B. a lasciare l'immobile che risultava vuoto. In sede di esame D. Aurelio ha dichiarato di essersi recato presso tale immobile il 16.6.05 al fine di eseguire le pulizie e di non aver potuto accedervi poiché la serratura era bloccata dall'interno di aver fatto convenire in loco i Carabinieri della locale stazione e di aver constatato, alla presenza dei militari, che detto immobile era stato occupato senza titolo dal V. si appurava, quindi, che il piano terra dell'immobile era stato adibito a deposito di aver intimato al V. di lasciare l'immobile entro dieci giorni decorso tale termine, accertava che tale obbligo non era stato adempiuto, poiché era stata sostituita la serratura della porta di Via omissis e la porta di Via era chiusa con una catena e lucchetto che in passato il proprio padre aveva constatato che il padre del V. R. , commerciante ambulante di prodotti agricoli, soleva vedere i prodotti agricoli nello spazio antistante l'immobile, e alcune volte aveva trovato le cassette di frutta anche all'interno dell'abitazione, tant'è che già in tali occasioni lo aveva invitato ad abbandonare il sito [ ]”. Posti i suddetti dati fattuali, il giudice affermava che il principale argomento di prova nel processo doveva essere quello della verifica se il proprietario avesse mai esercitato un effettivo potere di fatto su quell'immobile cui fosse seguito un reale e definitivo spossessamento degli originari proprietari la famiglia V. /B. . Tale accertamento, ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 633 c.p., assume valenza dirimente, posto che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, da intendersi come esercizio del potere di fatto sul bene la norma di cui all'art. 633 c.p. non è invero posta a tutela di un diritto ma di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, per cui tutte le volte in cui il soggetto sia già entrato in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato”. Il giudice, quindi, esaminati gli esiti della svolta istruttoria, così concludeva l'istruttoria espletata non ha fornito alcuna prova certa in ordine alla situazione di fatto relativa all'immobile nel periodo 28.4.1988/16.6.05 non può, tuttavia, sfuggire la palese anomalia del comportamento della parte civile, che a suo dire sarebbe stata oltremodo sorpresa dalla circostanza che l'immobile era ancora occupato dagli originari proprietari a distanza di ben diciassette anni dalla formale immissione in possesso in favore del proprio padre in realtà, dalla stessa deposizione del D. si evince che già in epoca precedente non è stato specificato quando e come era stata accertata dall'aggiudicatario tale occupazione da parte dei V. senza che nessuna seria iniziativa fosse stata assunta dai nuovi proprietari non è emersa prova di ciò tanto, con ogni evidenza, denota se non disinteresse quantomeno acquiescenza o tacito consenso rispetto ad una ben precisa situazione di fatto, ossia la perpetuazione dell'occupazione dell'immobile da parte dei V. il che, del resto, non appare del tutto inverosimile se, come ha riferito la stessa parte civile nonché il teste F. , vi erano state trattative tra D.L. e lo stesso V. per l'acquisto dell'immobile da parte di quest'ultimo”. In particolare, il giudice attribuiva rilevanza probatoria alle dichiarazioni del m.llo Bo. comandante della Stazione dei C.C. dal 1994 al 2007 il quale aveva affermato di aver spesso visto il V.R. vendere nei pressi dell'abitazione verdura e frutta, nonché di aver notato spesso la porta di Via Savoia socchiusa, in quanto probabilmente il V. depositava 11 le cassette vuote. Il V. abitava a fianco della casa in argomento dalla parte di Via , il che lo aveva indotto a ritenere che il V. fosse il proprietario della casa in argomento. In conclusione, dall'istruttoria dibattimentale non è emersa la prova certa che l'imputato - e prima ancora il proprio padre - non avesse continuato a disporre di fatto dell'immobile in questione anche dopo il trasferimento della proprietà in favore dei D. , il che, come si è premesso, è circostanza ostativa alla sussistenza della fattispecie di cui all'art. 633 c.p.”. Quanto, infine, al reato di cui all'art. 635 cod. pen. il giudice così motivava le prove assunte hanno unicamente dimostrato l'avvenuta sostituzione dell'originaria serratura di una delle porte di accesso all'edificio, ossia un evento che non coincide affatto con quello descritto dall'art. 635 c.p. norma che punisce la condotta di chi distrugge, disperde, deteriora, o rende in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili che sussiste ove si impedisca anche parzialmente l'uso delle cose, rendendo necessario un intervento ripristinatorio”. 5. In ordine al reato di cui all'art. 633 cod. pen. in punto di diritto va osservato quanto segue. Va, innanzitutto condiviso quanto scritto dalla Corte di Appello di Lecce che, in sede civile, a proposito della medesima vicenda così scrisse Il predetto verbale di immissione in possesso costituisce traditio simbolica il trasferimento del possesso si verifica, infatti, già con la sola intimazione dell'ufficiale giudiziario rivolta al soggetto passivo dell'esecuzione per rilascio, ad allontanarsi dall'immobile. È pacifico in dottrina che l'acquisto a titolo derivativo del possesso non richiede la materiale apprensione del bene da parte dell'accipiens. È sufficiente, infatti, che questi abbia conseguito la possibilità, attuale ed esclusiva, di agire liberamente su di esso. Solo per l'acquisto del possesso a titolo originario [ ] è indispensabile il compimento di atti di fisica ingerenza. Invece nel caso di acquisto del possesso a titolo derivativo, è sufficiente il consenso del precedente possessore a dismettere il proprio potere di fatto sulla cosa, in favore del nuovo possessore. Ciò è quanto è avvenuto nel caso di specie, posto che il destinatario dell'esecuzione ha dichiarato la propria disponibilità a lasciare l'immobile tanto che l'ufficiale giudiziario ha riscontrato che esso era risulta vuoto” brano riportato a pag. 3 della sentenza impugnata . È, poi, corretto quanto rilevato dal giudice nella sentenza impugnata e cioè che la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell'introduzione dall'esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, da intendersi come esercizio del potere di fatto sul bene la norma di cui all'art. 633 c.p. non è invero posta a tutela di un diritto ma di una situazione di fatto tra il soggetto e la cosa, per cui tutte le volte in cui il soggetto sia già entrato in possesso del bene deve escludersi la sussistenza del reato” in terminis Cass. 5585/2012. Sennonché i suddetti principi risultano male applicati dal giudice. La suddetta istruttoria, come risulta in modo incontestato dalla stessa sentenza impugnata, aveva evidenziato i seguenti fatti certi a il verbale di immissione avvenuto nel 1988 ad opera dell'ufficiale giudiziario il quale dava atto non solo che la proprietaria esecutata aveva dichiarato la propria disponibilità a lasciare l'immobile ma anche che l'immobile risulta vuoto b il V. occupò l'immobile in questione c la svolta istruttoria non aveva consentito di appurare se il V. avesse continuato ad occupare, senza soluzione di continuità l'immobile di proprietà della madre, ovvero se la suddetta occupazione fosse avvenuta in un momento successivo il giudice ha attribuito molto credito alla testimonianza del m.llo Bo. ma non ha consideratogli che il suddetto m.llo riferì fatti che risalivano dal 1994 in poi e cioè il periodo in cui aveva prestato servizio ad Erchie e, quindi, dopo ben sei anni da che era avvenuta l'immissione nel possesso. Se questi sono i fatti così come ricostruiti dallo stesso giudice, è evidente che la conclusione giuridica alla quale è pervenuto deve ritenersi errata per la semplice ragione che ha invertito l'onere probatorio. Ed infatti, se il D. fu immesso nel possesso di un immobile che risultava vuoto se la proprietaria esecutata aveva dichiarato di voler lasciare e se, successivamente il V. reclamò il possesso del suddetto immobile, era costui che avrebbe dovuto provare la continuità del possesso o della detenzione e cioè che non era mai avvenuta alcuna occupazione successiva alla messa in possesso del D. ma, la suddetta prova, come ha rilevato lo stesso giudice, è fallita. Sul punto, è utile rammentare che in tema di distribuzione dell'onere probatorio, spetta alla pubblica accusa la prova del reato. Tuttavia, ove l'imputato deduca eccezioni o argomenti difensivi, spetta a lui provare o allegare, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, le suddette eccezioni perché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. vicinanza della prova , può acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva” Cass. sez. II, 21/01/2014, Bo. . In altri termini, quello che è sfuggito al giudice è che l'immissione nel possesso del D. in un immobile vuoto con la contestuale dichiarazione del proprietario esecutato di volerlo lasciare, aveva creato uno iato non solo fattuale ma anche e soprattutto giuridico fra la precedente situazione che faceva capo alla B. s'ignora anche se e a che titolo il figlio, al momento dell'immissione nel possesso del D. , occupasse e/o detenesse il suddetto immobile e la nuova situazione venutasi a creare in capo al nuovo proprietario nonché possessore D. . A tal proposito appaiono del tutto irrilevanti ai fini giuridici le considerazioni sul comportamento del D. , perché non spostano minimamente, ai fini penalistici, i termini della questione e cioè che il V. , senza averne alcun titolo il fatto che egli fosse il figlio della proprietaria esecutata, è ininfluente ai fini processuali, perché, come già detto, non prova che egli occupasse o detenesse, insieme alla madre, l'immobile in questione , dopo che la madre era stata escomiata, occupò ex novo l'immobile in questione incominciando a farne uso. La censura, quindi, deve ritenersi fondata alla stregua del seguente principio di diritto una volta che un soggetto sia stato escomiato, a seguito di esecuzione forzata da un immobile, ove, successivamente, il medesimo risulti occupato da un famigliare del soggetto esecutato, è configurabile il reato di cui all'art. 633 cod. pen. a meno che l'occupante non dimostri che si trovava nel possesso o detenzione dell'immobile fin da prima dell'escomio e che tale possesso e/o detenzione era proseguita ininterrottamente anche successivamente”. 6. Anche la censura in ordine alla violazione dell'art. 635 cod. pen. è fondata. L'incontestato dato storico è che il V. forzò la vecchia serratura secondo le modalità descritte nel capo d'imputazione, rendendola quindi inservibile. In punto di diritto, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che l'elemento oggettivo del reato di danneggiamento consiste in una modificazione funzionale o strutturale della cosa, di talché, quando il danno prodotto è talmente esiguo da risultare irrilevante, va esclusa la sussistenza dell'illecito penale, si è, infatti, precisato che il reato si configura allorché qualcuno distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui. Il reato sussiste non solo quando il danneggiamelo è materiale, distruzione o dispersione del bene, ma anche quando è funzionale, deterioramento o invalidazione funzionale dello stesso. Il deterioramento consiste nella diminuzione delle utilizzabilità del bene, mentre rendere inservibile la cosa significa renderla inidonea alla sua funzione per un tempo giuridicamente apprezzabile. Qualora il danno sia talmente esiguo da non poter integrare una modificazione strutturale o funzionale della cosa ovvero un deterioramento di una certa consistenza ed evidenza il delitto non sussiste” ex plurimis Cass. 4481/2011 riv 251805. Ai fini dell'integrazione della fattispecie, è, poi, irrilevante la possibilità di reversione del danno anche quando tale reversione avvenga, non per l'opera dell'uomo, ma per la capacità della cosa di riacquistare la sua funzionalità nel tempo Cass. 9343/2010 riv 249808. Nel caso di specie, è evidente che l'imputato, per entrare nell'immobile, fu costretto a forzare e, quindi, danneggiare definitivamente la serratura compiendo l'azione descritta nel capo d'imputazione ed il suddetto danneggiamento irreversibile secondo il concetto su indicato non può definirsi irrilevante sia sotto il profilo economico che funzionale. Deve, quindi, accogliersi la doglianza alla stregua del seguente principio di diritto la forzatura di una serratura costituisce danneggiamento essendo di natura irreversibile - sebbene sia possibile un intervento ripristinatorio ad opera dell'uomo - e consistendo in una modificazione funzionale e strutturale della cosa che non può definirsi irrilevante neppure sotto il profilo economico”. 7. In conclusione, la sentenza va annullata limitatamente al capo concernente le statuizioni civili e la causa va rinviata al giudice civile competente per valore in grado di appello che, nell'instaurando giudizio, si adeguerà ai principi di diritto enunciati supra ai pp. 5-6, provvedendo altresì anche alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. ANNULLA la sentenza impugnata limitatamente al capo concernente le statuizioni civili e, fermi gli effetti penali, rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello spese al definitivo.