Nessuna molestia se non viene superata la normale tollerabilità

Ai fini dell’art. 674 c.p., si concretizza l’evento di molestia derivante dalle emissioni di fumi solo quando sia stato superato il limite della normale tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c

E’ stato così deciso nella sentenza n. 47663, della Corte di Cassazione, depositata il 19 novembre 2014. Il caso. Veniva richiesta l’emissione del decreto panale di condanna avverso una donna per aver effettuato senza autorizzazione lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi scarti vegetali mediante incenerimento a terra, provocando illegalmente, in un luogo di pubblico transito, fumi atti a offendere e molestare le persone. Il Gip, però, assolveva l’imputata dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. Il procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione censurando l’assoluzione dell’imputata del reato di cui all’art. 674 c.p. Getto pericoloso di cose per errore di diritto nell’applicare tale norma e per travisamento della prova nel valutare gli elementi in atti. Il limite della normale tollerabilità. La Cassazione rileva che il Gip nella sua motivazione, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, ha imperniato il ragionamento non sulla mancata prova di presenza di persone, bensì sul rilievo che per integrare il reato in esame occorre il superamento del limite di normale tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c. Immissioni , limite che, in base agli elementi cartolari, non risultava oltrepassato. Il Gip ha quindi fondato la sua valutazione di fatto in ordine all’insufficienza degli elementi emergenti dagli atti, non dimostranti il superamento della normale tollerabilità dei fumi. Il ragionamento è, d’altronde, conforme all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui, ai fini dell’art. 674 c.p., l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. Cass., n. 34896/2011 . Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 ottobre – 19 novembre 2014, n. 47663 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 maggio 2013 il gip del Tribunale di Avellino a seguito di richiesta di emissione di decreto penale di condanna avverso D.S.A. per i reati di cui agli articoli 81 cpv. c.p., 256, comma 1, lettera a , d.lgs. 152/2006 e 674 c.p. -al contestati per avere, con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso, effettuato senza autorizzazione smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi scarti vegetali mediante incenerimento a terra, illegalmente provocando, in luogo di pubblico transito e comunque verso luoghi privati di altrui uso, fumi atti a offendere o molestare le persone fatti accertati l'8 settembre 2012 -, ha assolto l'imputato ex articoli 459, comma 3, e 129, comma 1, c.p.p. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. 2. Ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino sulla base di un unico motivo di erronea interpretazione/violazione di legge e travisamento della prova. Il motivo contiene peraltro una pluralità di doglianze. In primo luogo il ricorrente censura l'assoluzione della imputata dal reato di cui all'articolo 674 c.p. per errore di diritto nell'applicare tale norma e per travisamento della prova nel valutare gli elementi in atti. Il giudice non avrebbe considerato quanto emerge dalla c.n.r. dei carabinieri del 9 novembre 2012 e nel ritenere rilevante l'assenza della prova della presenza di persone disturbate non avrebbe colto la natura di pericolo del reato contestato. Riguardo, poi, l'assoluzione della imputata dal reato di cui all'articolo 256, comma 1, lettera a , d.lgs. 152/2006, il ricorrente censura l'erronea applicazione dell'articolo 185, comma 1, lettera f , d.lgs. 152/2006 per integrare la relativa fattispecie non basterebbe l'esistenza, ritenuta dal gip, di una prassi di utilizzo in agricoltura di abbruciamento dei residui vegetali sui campi come forma di fertilizzante, occorrendo anche che l'utilizzo avvenga mediante modalità che non danneggino l'ambiente né mettano in pericolo la salute umana. Nel caso di specie, l'ARPAC ha compiuto accertamenti da cui risulta che la combustione di residui vegetali, oltre a sviluppare monossido di carbonio, libera molte altre sostanze dannose e tossiche, e che comunque l'abbruciamento di scarti vegetali integra un metodo di distruzione di rifiuti da non considerare ordinaria pratica agricola bensì smaltimento non autorizzato. Pertanto il giudice sarebbe incorso nel travisamento della prova. Il ricorrente lamenta poi che il gip, per dimostrare la prassi di utilizzare gli scarti vegetali bruciati come concime, si avvale di sua scienza privata in relazione ad un libro non presente agli atti. Un'ulteriore violazione di legge consisterebbe anche nell'avere il gip ritenuto la carenza dell'elemento soggettivo dell'imputata, per la sua buona fede sulla contravvenzione. Infine, vi sarebbe un'erronea applicazione del principio di specialità tra il reato di cui all'articolo 256 e un illecito amministrativo previsto dalla normativa regionale sulla bruciatura di vegetali. Considerato in diritto 3. II ricorso è infondato. 3.1 In primo luogo, il ricorrente censura la sentenza per l'assoluzione dal reato di cui all'articolo 674 c.p. dell'imputata, addebitando al gip errore di diritto nell'applicazione della norma incriminatrice e, nel valutare gli elementi in atti, il travisamento della prova. Richiama il ricorrente il contenuto della c.n.r. dei carabinieri che il 9 novembre 2012 hanno accertato l'abbruciamento e poi afferma che nel ritenere rilevante l'assenza della prova della presenza di persone che potessero essere disturbate, la sentenza dimostra di non aver colto la natura di pericolo del reato , così incorrendo in erronea applicazione dell'articolo 674 c.p., non necessitando per il reato un effettivo nocumento alle persone, ma essendo sufficiente una situazione di pericolo di offesa al bene che la norma intende tutelare. Dall'attività della polizia giudiziaria emerge a differenza della ricostruzione compiuta in sentenza che vi era fumo denso proveniente da un fondo di terreno adiacente ad abitazioni civili e strade comunali e provinciali, fumo che secondo il ricorrente era quindi idoneo a molestare e recare danno alle persone . Nella sua motivazione sul reato di cui all'articolo 674 c.p., invece, il gip ha imperniato il suo ragionamento non sulla mancata prova di presenza di persone, bensì sul rilievo - in ordine al quale, come si è appena visto, la censura del ricorrente tace - che per integrare il suddetto reato occorre il superamento, quanto alla emissione di fumi nell'atmosfera, del limite di normale tollerabilità di cui all'articolo 844 c.c. in base alla giurisprudenza di legittimità, limite che dagli elementi cartolari valutabili dal giudice non risulterebbe oltrepassato, anche per il contenuto non particolarmente significativo delle fotografie agli atti. Corretto è il riferimento del gip alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, la quale insegna che ai fini del reato di cui all'articolo 674 c.p. l'evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. così da ultimo Cass. sez. III, 14 luglio 2011 n. 34896 conformi Cass. sez. III, 27 marzo 2008 n. 16693, Cass. sez. I, 4 dicembre 1997-21 gennaio 1998 n. 739 e Cass. sez. III, 6 dicembre 2006 n. 42213 . Su tale inquadramento ermeneutico il gip edifica, quindi, la sua valutazione di fatto in ordine alla insufficienza degli elementi emergenti dagli atti a dimostrare il superamento della normale tollerabilità dei fumi. Ciò facendo, non ha d'altronde travisato la c.n.r. della polizia giudiziaria, ma ha semplicemente ritenuto che i dati da essa apportati e in generale gli elementi agli atti non fossero sufficienti per dimostrare il superamento della normale tollerabilità. Superamento, si rileva ad abundantiam, che non è stato affermato neppure dal ricorrente, il quale, come già rilevato, non ha neppure affrontato tale aspetto. Non risulta, in conclusione, né violazione di legge da parte del gip, né travisamento di prova, onde la doglianza relativa all'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'articolo 674 c.p. rimane infondata. 3.2 Per quanto riguarda, invece, l'ulteriore imputazione di cui all'articolo 256, comma 1, lettera a , d.lgs. 152/2006, lo jus superveniens risolve ed assorbe ogni questione addotta dal ricorrente. Infatti, l'articolo 12, comma 8, lettera b , I. 11 agosto 2014 n. 116 aggiunge all'articolo 182 del d.lgs. 152/2006, dopo il comma 6, un comma 6 bis del seguente tenore Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f , effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possono derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili PM10 Poiché l'articolo 185, comma 1, lettera f , del Codice dell'Ambiente, a proposito di scarti vegetali, fa riferimento a paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana , è evidente che alla fattispecie contestata alla imputata si applica proprio la nuova normativa sopra riportata, nella quale si ravvisa un inequivoco contenuto depenalizzante. Il raggruppamento e l'abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro non può essere reato, dal momento che costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali e non attività di gestione dei rifiuti . Nella contestazione non risulta che l'attività della imputata sia andata oltre le caratteristiche quantitative indicate dal legislatore, ovvero abbia svolto un'attività non più riconducibile alle usanze agricole proprie del singolo contadino. D'altronde, non occorre neppure verificare se l'abbruciamento sia avvenuto in un periodo in cui la regione avesse dichiarato massimo rischio per gli incendi boschivi, dal momento che il legislatore, nello statuire che in tal caso la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata , non fa riferimento ad una qualificazione penale, bensì pone un generico divieto che, pertanto, difettando della tassatività necessaria ex articolo 25 Cost. per configurare un illecito penale, non può che ricondursi sul piano dell'illecito amministrativo. In applicazione, quindi, dell'articolo 2, secondo comma, c.p., il fatto contestato alla imputata non ha più alcuna significatività penale, per cui, assorbito appunto ogni ulteriore profilo, il ricorso del PM deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del PM.