A.D.R.: a diffida restituire

Anche se la mancata restituzione del bene da parte del detentore al legittimo proprietario non realizza ex se l’ipotesi di cui all’art. 646 c.p., non essendo tale condotta in astratto idonea a modificare il rapporto tra detentore e la cosa mediante un comportamento oggettivo consistente nell’utilizzo uti dominus, tuttavia la mancata restituzione in presenza di una formale diffida rende chiara la volontà di impossessamento, il che dimostra l’interversione del possesso necessaria per configurare il reato di appropriazione indebita.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47411, depositata il 18 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Roma condannava l’amministratore di fatto di una società per il reato di appropriazione indebita l’accusa era di aver stipulato un accordo con un’altra azienda che prevedeva l’uso per fini pubblicitari di vario materiale, che non era mai stato restituito nonostante le diffide dell’azienda offesa. L’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo l’illegittimo inquadramento della condotta contestata nella fattispecie di reato dell’appropriazione indebita, ex art. 646 c.p., ed il riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto. Appropriazione indebita. La Corte di Cassazione sottolinea che, anche se la mancata restituzione del bene da parte del detentore al legittimo proprietario non realizza ex se l’ipotesi di cui all’art. 646 c.p., non essendo tale condotta in astratto idonea a modificare il rapporto tra detentore e la cosa mediante un comportamento oggettivo consistente nell’utilizzo uti dominus , tuttavia la mancata restituzione in presenza di una formale diffida rende chiara la volontà di impossessamento, il che dimostra l’interversione del possesso necessaria per configurare il reato di appropriazione indebita. Amministratore di fatto. Inoltre, i giudici di legittimità ricordano che la nozione di amministratore di fatto, ai sensi dell’art. 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, cioè un’apprezzabile attività gestoria svolta in modo non episodico o occasionale. Di conseguenza, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società. Nel caso di specie, correttamente i giudici di merito avevano riconosciuto tale qualifica al ricorrente, valorizzando la sua gestione dei rapporti e il suo potere di contrattazione in rappresentanza della società. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 ottobre – 18 novembre 2014, n. 47411 Presidente Fiandanese – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma confermava l'accertamento della responsabilità penale del D.M. in ordine al reato di appropriazione indebita. La Corte assumeva che D.M. svolgeva la funzione di amministratore di fatto della società Office Line s.a.s. con la quale la società dell'offeso aveva concluso un contratto che prevedeva, tra l'altro, che alla società fosse concesso l'uso per fini pubblicitari di cataloghi di abbigliamento sportivo, agende, articoli in tessuto, calendari ed altri oggetti. Questo materiale che non era mai stato restituito malgrado le diffide dell'offeso costituiva l'oggetto dell'appropriazione indebita. La Corte territoriale, nel determinare il trattamento sanzionatorio non concedeva l'attenuante del fatto di lieve entità ritenendo il danno non minimo dato che la mancata restituzione del materiale incideva in modo significativo sull'azienda dell'offeso, di dimensioni contenute la Corte valutava congrua la pena irrogata dal primo giudice determinata in modo prossimo al minimo edittale. 2. Ricorreva il difensore dell'imputato avverso tale sentenza deducendo a Erronea applicazione della legge per illegittimo inquadramento della condotta contestata nella fattispecie prevista dall'art. 646 cod.pen Il ricorrente si doleva del fatto che non era stato provato alcun atto di interversione del possesso e che questo non poteva essere indotto dalla mancata restituzione conseguente alle diffide, che costituiva un mero inadempimento. b erronea applicazione della legge in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen Si deduce che non era stato valutato lo scarso valore economico del materiale che si assume appropriato. c Mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. Si deduce l'inadeguatezza della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale attribuiva all'imputato la qualifica di amministratore di fatto. Il ricorrente evidenziava il ruolo marginale dell'imputato nella gestione della Office line s.a.s Segnatamente si ritenevano insufficienti a dimostrare che l'imputato fosse amministratore di fatto la spendita del nome sociale, la ratifica del contratto con la Publiarte 2000 s.r.l. e la circostanza che il querelante ebbe ad interloquire, presso gli uffici dell'accomandita, con l'imputato presente in sede insieme ai suoi figli. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Il primo motivo, relativo all'inquadramento della condotta nell'ambito della fattispecie astratta indicata dall'art. 646 cod. pen. è manifestamente infondato. Invero sebbene la mancata restituzione della res da parte del detentore al legittimo proprietario non realizza ex se l'ipotesi di cui all'art. 646 c.p., atteso che tale condotta non è in astratto idonea a modificare il rapporto fra il detentore e la cosa attraverso un comportamento oggettivo consistente nell'utilizzo uti dominus Cass. Sez. 2, n. 4440 del 02/12/2008, Rv. 243275 , tuttavia la mancata restituzione in presenza di una formale diffida rende chiara la volontà di impossessamento e dunque dimostra la interversione del possesso necessaria per la configurazione del reato di appropriazione indebita. 1.2. Il motivo relativo alla mancata concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità è manifestamente inammissibile. Si condivide sul punto il consolidato orientamento della Corte di legittimità secondo cui la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità non è integrata per il solo fatto della scarsa entità del valore della cosa nella specie del denaro sottratto nel corso di una rapina , occorrendo far riferimento ad una valutazione il più completa possibile del danno. Che non tenga conto solo del valore economico della cosa ricettata, ma anche del complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti Cass. sez. 2, n. 36916 del 28.9.11Rv. 251152 e, in materia di ricettazione Cass. sez U, n. 35535 del 12.7.07 Rv. 236914 . Nel caso che ci occupa con insindacabile valutazione la Corte territoriale evidenziava come il danno patito dalla Publiarte 2000 s.r.l. non era esiguo in relazione alle dimensioni contenute” dell'azienda danneggiata, offrendo una motivazione della mancata concessione coerente con i parametri di legge e con le indicazioni interpretative della cassazione, che non si presta ad alcuna censura. 1.3. Manifestamente infondato è anche il dedotto vizio di motivazione afferente la dimostrazione della qualifica di amministratore di fatto dell'imputato. Il ricorrente ripropone in sede di legittimità una valutazione alternativa del compendio probatorio raccolto senza indicare profili motivazionali abnormi o incoerenti con le emergenze processuali. La lettura alternativa del compendio probatorio è notoriamente improponibile in sede di legittimità esulando dalle attribuzione della cassazione ogni valutazione attinente al merito v. Cass. Sez. U, sent. n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Rv. 203428 Cass. sez. 6, sent. n. 10751 del 05/11/1996, Rv. 206335 Cass. sez. 1, sent. n. 7113 del 06/06/1997, 208241 Sez. 1, sent. n. 803 del 10/02/1998, Rv. 210016 Cass., sez. 1, sent. n. 1507 del 17/12/1998, Rv. 212278 Cass., sez. 6, sent. n. 863 del 10/03/1999, Rv. 212997 . Circa l'individuazione dei caratteri dell'amministratore di fatto, si condividono le linee interpretative offerte dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall'art. 2639 cod. civ., postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione nondimeno, significatività e continuità non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione Cass. Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013Rv. 256534 Cass. Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Rv 232456 . Nel caso che ci occupa la motivazione offerta in ordine alla dimostrazione della qualità di amministratore di fatto da parte dell'imputati appare logica ed aderente alle emergenze processuali, dunque insindacabile in sede di legittimità. Gli elementi indicativi di poteri amministrativi in capo al D.M. sono correttamente indotti dalle circostanze indicate dalla Corte territoriale. In particolare appare giustamente valorizzata la gestione dei rapporti con il ricorrente, sia nella fase della contrattazione che nella fase successiva, caratterizzata dall'inadempimento della Office Line s.a.s. e dalla conseguenze richiesta di restituzione del campionario. Tale attività dell'imputato veniva ritenuta indicativa di un potere di contrattazione in rappresentanza della società incompatibile con lo svolgimento del ruolo di mero intermediario, come prospettato dalla difesa. 2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell'art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1000,00. Devono essere rifuse le spese sostenute per questo grado di giudizio dalla parte civile che si liquidano in Euro 2000 oltre al rimborso delle spese forfettarie, IVA e CPA. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000.00 alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile Publiarte 2000 s.r.l che liquida in Euro 2000 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA.