Trattenimento della corrispondenza, ma anche il mafioso “tiene famiglia”

Nonostante il divieto di interazione stabilito dall’art. 41-bis o.p., il detenuto ha il diritto di coltivare i propri affetti familiari, in assenza di pregiudizio per la prevenzione dei reati o per la sicurezza dell’istituto di pena.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47595, depositata il 18 novembre 2014. Il caso. Il tribunale di Sorveglianza di Ancona accoglieva il reclamo di un detenuto contro i provvedimenti emessi alla fine dell’ottobre 2012 dal magistrato di sorveglianza di trattenimento della corrispondenza in arrivo tra il reclamante ed il nipote, motivati sul fatto che le missive erano dirette o provenienti da un altro detenuto sottoposto al regime ex art. 41- bis o.p I giudici rilevavano che il reclamante aveva intrattenuto regolari rapporti epistolari con il nipote senza alcun pregiudizio per la prevenzione dei reati o per la sicurezza dell’istituto di pena, poiché le missive, sottoposte a censura, contenevano notizie per niente pericolose. Perciò, nonostante il divieto di interazione stabilito dall’art. 41- bis o.p., il detenuto aveva il diritto di coltivare i propri affetti familiari, in mancanza di pericoli. La Procura generale ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver tenuto conto della nota del Ministero della Giustizia del gennaio 2013, con cui era stato trasmesso il decreto di proroga del regime ex art. 41- bis o.p., in quanto era risultata ancora sussistente la pericolosità sociale del reclamante., ancora legato all’organizzazione criminale in cui aveva un ruolo di rilievo. La Corte di Cassazione ritiene, però, che i motivi di ricorso siano basati su pericoli astratti, senza specificare le ragioni per cui l’ordinanza sarebbe criticabile in concreto. Prevenzione di pericoli. Il magistrato di sorveglianza può disporre il trattenimento della corrispondenza indirizzata al detenuto sottoposto al regime ex art. 41- bis o.p. per evitare pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e per impedire contatti con l’esterno ritenuti pericolosi perché attinenti a finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, indipendentemente dalla commissione di fatti integranti il reato. Infatti, il pericolo può derivare anche da condotte che non hanno raggiunto la soglia della punibilità o che non sono previste come reato dalla legge. Se due detenuti appartengono alla stessa organizzazione mafiosa, il divieto di comunicare tra loro ha il suo fondamento nel pericolo che i contatti possano riguardare notizie relative alle attività della comune organizzazione o che i detenuti possano esercitare una reciproca influenza. Nel caso di specie, però, tali pericoli, a giudizio dei giudici di merito, non sussistevano, per cui il tribunale aveva correttamente ritenuto opportuno il mantenimento dei contatti per ragioni affettive con un familiare. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 maggio – 18 novembre 2014, numero 47595 Presidente Siotto – Relatore Caiazzo Rilevato in fatto Con ordinanza in data 10.4.2013 il Tribunale di sorveglianza di Ancona accoglieva i reclami proposti dal detenuto B.L.B. avverso i provvedimenti emessi il 23.10.2012, il 30.10.2012 e l'8.11.2012 dal Magistrato di sorveglianza di Macerata con i quali era stato disposto il trattenimento della corrispondenza in arrivo e in partenza tra il reclamante ed il nipote R.G., con la motivazione che le missive erano dirette o provenienti da altro detenuto sottoposto al regime di cui all'articolo 41-bis O.P Il Tribunale di sorveglianza premetteva che il suddetto regime speciale ha anche il fine di prevenire contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza e interazione con altri detenuti appartenenti alla medesima organizzazione articolo 41-bis comma 2-quater lett. a . Rilevava però che il B. aveva intrattenuto regolari rapporti epistolari con il nipote R. fino all'ottobre 2012, senza alcun pregiudizio per la prevenzione dei reati o per la sicurezza dell'Istituto di pena, in quanto le missive sottoposte a censura contenevano notizie che non mettevano in alcun modo in pericolo i beni tutelati dalla norma. Riteneva che, nonostante il divieto di interazione previsto dall'articolo 41-bis, il detenuto avesse il diritto di coltivare i propri affetti familiari, in mancanza di pericoli per le esigenze di prevenzione e di sicurezza. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Procura generale della Repubblica di Ancona, chiedendone l'annullamento per vizio di motivazione. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto tener conto della nota del Ministero della giustizia in data 25.1.2013, con la quale era stato trasmesso il decreto di proroga del regime di cui all'articolo 41-bis, in quanto era risultata tuttora sussistente la pericolosità sociale del detenuto reclamante, ancora legato all'organizzazione in cui aveva rivestito un ruolo di rilievo e capace di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell'organizzazione. Il Tribunale di sorveglianza, inoltre, non aveva considerato che tra appartenenti alla medesima consorteria poteva essere utilizzato anche un linguaggio convenzionale. In data 3.3.2014 B. Leoluca Biagio ha trasmesso a questa Corte una nota con la quale si chiede il rigetto del ricorso della Procura Generale di Ancona per le ragioni indicate nella motivazione dell'ordinanza del Tribunale di sorveglianza. Considerato in diritto I motivi di ricorso si basano su pericoli ipotetici ed astratti, senza muovere alcuna critica alla motivazione dell'ordinanza impugnata, che ha invece desunto l'assenza di un pericolo concreto nei contatti epistolari del B. con il nipote R.G., anche lui sottoposto al regime di cui all'articolo 41-bis O.P., dai pregressi e regolari rapporti epistolari tra i due siccome già verificati, in quanto fino all'ottobre 2012, il controllo sulla loro corrispondenza non aveva rilevato alcuna comunicazione sospetta. II potere del magistrato di sorveglianza di disporre il trattenimento della corrispondenza indirizzata al detenuto sottoposto al regime speciale di cui all'articolo 41-bis L. 26 luglio 1975 numero 354 è diretto ad evitare pericoli per l'ordine e la sicurezza pubblica, oltre che ad impedire contatti con l'esterno ritenuti pericolosi perché attinenti a finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, indipendentemente dalla commissione di fatti integranti reato, ben potendo il pericolo derivare anche da condotte che non hanno raggiunto la soglia della punibilità o che non sono specificamente previste come reato dalla legge penale V. Sez. 1 sentenza numero 1054 del 4.12.2008, Rv. 24810 . Nel caso di detenuti appartenenti alla medesima organizzazione mafiosa, il divieto di comunicare tra loro ha il suo fondamento nel pericolo che i contatti possano riguardare notizie relative alle attività della comune organizzazione o che i detenuti possano esercitare una reciproca influenza con riguardo alla continuità della loro appartenenza al sodalizio. I suddetti pericoli, nel caso in esame, secondo la motivazione dell'ordinanza impugnata, sono risultati de facto insussistenti e, tenuto conto delle finalità rieducative della pena, non escluse dal regime di sorveglianza speciale, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto opportuno il mantenimento di contatti per ragioni affettive con un familiare, dovendosi anche considerare che questi contatti epistolari sarebbero stati sempre sottoposti a controllo. Il ricorrente non ha contestato gli elementi su cui si è basato il Tribunale di sorveglianza stretto rapporto di parentela tra i suddetti detenuti precedenti rapporti epistolari tra i due fino all'ottobre 2012 assenza di motivi di sospetto nella corrispondenza intercorsa , ma ha solo fatto riferimento alla capacità del B. di mantenere contatti con esponenti, peraltro liberi, dell'organizzazione ed all'astratto pericolo dell'uso di un linguaggio convenzionale. Risultando logicamente e giuridicamente giustificata la decisione del Tribunale di sorveglianza, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.