Carcere preventivo: il “pericolo concreto” non è una semplice clausola di stile

È necessario che il giudice indichi le specifiche circostanze dalle quali ha desunto la concretezza del pericolo di reiterazione del reato e del pericolo di inquinamento probatorio e che fornisca, sul punto, adeguata e logica motivazione.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47582, depositata il 18 novembre 2014. Il fatto. Il Tribunale di Milano, confermava l’ordinanza con cui il gip applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’indagato in ordine al delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, poiché nella sua qualità di Sovrintendente capo della Polizia di Stato, indebitamente riceveva ed accettava la promessa di denaro ed altre utilità per fornire, al titolare di una ditta di recupero crediti, dati e informazioni riservate, per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. L’indagato propone ricorso in Cassazione contro tale decisone, deducendo mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla ricorrenza delle esigenze cautelari del pericolo di reiterazione di reato e del pericolo di inquinamento delle prove. Giudizio prognostico rigoroso. Il Collegio ritiene che il requisito della concretezza del pericolo implica l’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali sia possibile affermare che l’indagato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede, sulla scorta di un giudizio prognostico rigoroso, sicché devono essere valutate situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato. La concretezza del pericolo. In giurisprudenza, infatti, si afferma che il parametro della concretezza del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole non può essere affidato ad elementi meramente congetturali ed astratti, ma a dati di fatto oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità dell’indagato, tali da consentire di affermare che quest’ultimo possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere detti reati. Anche in relazione al pericolo di inquinamento probatorio, la Corte ribadisce analoga necessità che questo debba essere concreto e debba identificarsi in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. L’obbligo motivazionale Conclude la Corte affermando che per evitare che il requisito del pericolo concreto” perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il giudice indichi, con riferimento all’indagato, le specifiche circostanze dalle quali viene desunto e fornisca, sul punto, adeguata e logica motivazione. non viene assolto con mere ipotesi. Pertanto, il Collegio si è ritenuto d’accordo con il ricorrente nel sostenere che il provvedimento impugnato elude tale obbligo motivazionale, ricorrendo ad affermazioni del tutto ipotetiche e congetturali, non sufficienti per dedurre il pericolo concreto di inquinamento probatorio e di reiterazione del reato. La Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Milano, perché proceda ad un nuovo esame in ordine al presupposto cautelare della misura.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 2 settembre – 18 novembre 2014, n. 47582 Presidente Dubolino – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 23 aprile 2014, il G.I.P. presso il Tribunale di Como applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.C., in ordine al delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, poiché nella sua qualità di Sovrintendente capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Como, indebitamente riceveva ed accettava la promessa di denaro ed altre utilità per fornire a M.D., titolare di una ditta di recupero crediti, dati ed informazioni riservate estratti dal C.E.D. interforze del Ministero dell'Interno, a disposizione delle forze di polizia, per finalità diverse da quelle indicate dalla legge. 2. A seguito di riesame, il Tribunale di Milano confermava il provvedimento, con ordinanza del 20 maggio 2014. 2. Propone ricorso l'indagato, con atto redatto dal difensore, avv. Vito Epifani, con il quale deduce violazione dell'articolo 606, lettera E, cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento ricorrenza delle esigenze cautelare di cui alle lettere A e C dell'articolo 274 cod. proc. pen 2.1 In relazione al pericolo di reiterazione dei reato, si sottolinea il carattere del tutto congetturale della motivazione dell'ordinanza, secondo la quale la riferita esigenza cautelare permarrebbe anche a fronte della sospensione dal servizio, poiché l'indagato potrebbe continuare ad operare illecitamente attraverso soggetti compiacenti, sicché anche la misura meno grave degli arresti domiciliari non sarebbe idonea ad evitare la prosecuzione dell'illecita acquisizione di dati in concorso con soggetti in stato di libertà, in considerazione dei suoi consolidati rapporti nell'ambito delle forze di polizia e trattandosi di attività che può essere svolta sull'intero territorio nazionale. Viceversa proprio la specificità della fattispecie imponeva un giudizio di tipo diverso, poiché il giudice deve fondare il rischio di recidiva su elementi concreti che rendano probabile, cioè quasi certa, presentandosi l'occasione, la reiterazione del reato. Sicché se è vero che l'allontanamento dal posto di lavoro e dalle funzioni ricoperte non esclude di per sé l'esigenza cautelare di cui alla lettera C dell'articolo 274 cod. proc. pen., è però necessario che il giudice fondi il proprio convincimento su circostanze obiettive concrete e non su un'ipotesi indimostrata, del tutto sganciata dalle evenienze di fatto, quale l'esistenza di compiacenti funzionari di polizia disposti a manipolare quadro probatorio. 2.2 Quanto poi al pericolo di inquinamento delle prove, parimenti la motivazione dell'ordinanza ricorre ad un'ipotesi, quella dell'esistenza di terzi compiacenti a manipolare il quadro probatorio, senza spiegare sulla base di quali dati obiettivi viene formulata l'ipotesi di non rispetto delle prescrizioni imposte con una misura meno afflittiva, quali appunto la misura degli arresti domiciliari. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Il ricorrente censura l'ordinanza esclusivamente nella parte in cui afferma la sussistenza delle esigenze cautelare del pericolo di reiterazione del delitto e del pericolo di inquinamento delle prove, poiché a suo dire il Tribunale utilizza argomenti del tutto assertivi ed apodittici, privi di qualsivoglia riscontro nelle risultanze obiettive del procedimento. 2. Questa Corte ha recentemente affermato Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Vignali, Rv. 255857 che, una volta ritenuta la sussistenza di spiccata capacità criminale, la circostanza che l'indagato si sia dimesso dall'incarico pubblico rivestito e nell'esercizio del quale risulta avere commesso i reati non è da considerare significativa per escludere il pericolo di reiterazione. La prognosi sfavorevole circa la commissione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede non è impedita dalla circostanza che l'incolpato abbia dismesso l'ufficio o la funzione, nell'esercizio dei quali, abusando della sua qualità o dei suoi poteri o altrimenti illecitamente determinandosi, ha realizzato la condotta criminosa, atteso che l'art. 274 c.p.p., lett. c , fa riferimento alla probabile commissione di reati della stessa specie, cioè di reati che offendono lo stesso bene giuridico e non già di fattispecie omologhe a quella per cui si procede. Ciò premesso, però, il requisito della concretezza del pericolo implica l'esistenza 249 di elementi concreti sulla base dei quali ossibile affermare che l'imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede, sulla scorta di giudizio prognostico rigoroso, desunto anche dai criteri stabiliti dall'art. 133 cod. pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell'indagato. Più esplicitamente si è affermato che il parametro della concretezza del pericolo di reiterazione di reati della stessa indole non può essere affidato ad elementi meramente congetturali ed astratti, ma a dati di fatto oggettivi ed indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità dell'indagato, tali da consentire di affermare che quest'ultimo possa facilmente, verificandosene l'occasione, commettere detti reati Sez. 6, n. 38763 del 08/03/2012, Miccoli, Rv. 253372 . 3. Anche in relazione al pericolo di inquinamento probatorio va ribadita analoga necessità che questo debba essere concreto e debba indentificarsi in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l'indagato possa realmente turbare il processa formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti, e che, dunque, per evitare che il requisito del pericolo concreto perda il suo significato e si trasformi in semplice clausola di stile, è necessario che il Giudice indichi, con riferimento all'indagato, le specifiche circostanze dalle quali esso viene desunto e fornisca, sul punto, adeguata e logica motivazione Sez. 5, n. 26401 del 18/05/2004, Cragnotti, Rv. 229881 4. Il provvedimento impugnato, come denunciato dal ricorrente, elude tale obbligo motivazionale, ricorrendo ad affermazioni del tutto ipotetiche e congetturali, laddove ipotizza che, ancorché sospeso dal servizio e dall'accesso al CED delle forze di polizia, l'indagato possa continuare ad operare illecitamente attraverso soggetti compiacenti, in considerazione dei suoi consolidati rapporti nell'ambito delle forze di polizia e trattandosi di attività che può essere svolta sull'intero territorio nazionale, laddove è proprio la contestazione, al n. 4, a dare atto che egli agiva da solo, ingannando anche gli stessi colleghi, poiché in alcune ipotesi ricorreva ad ignari colleghi operatori di polizia giudiziaria, lasciando intendere che le richieste fossero motivate da normali esigenze investigative . Anche in relazione ai pericolo di inquinamento probatorio si ricorre ad ipotetici terzi compiacenti , la cui esistenza però non è fondata sulle risultanze investigative. 4.1 In definitiva, quindi, l'ordinanza impugnata esprime soltanto delle ipotesi, di certo non sufficienti per dedurne il pericolo concreto di inquinamento probatorio e di reiterazione della condotta e necessita pertanto di un nuovo esame, in ordine al presupposto cautelare della misura. Ne deriva l'annullamento con rinvio al Tribunale di Milano. 4.2 Copia del presente provvedimento va trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente, perché provveda a quanto stabilito dall'art. 94 disp. att. cod proc. pen., comma 1 ter. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p