Madre registra il figlio non riconoscendo il padre: non è alterazione di stato

È necessario circoscrivere l’ipotesi di reato di alterazione di stato nel caso in cui sia possibile ricondurre all’agente un’attività di materiale alterazione, che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione, e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di diversa discendenza, in conseguenza dell’indicazione di un genitore diverso da quello naturale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47136, depositata il 14 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Torino affermava la responsabilità dell’imputata in relazione al reato di alterazione di stato, di cui all’art. 567, comma 2, c.p L’imputazione riguardava l’indicazione resa dalla donna all’atto della denuncia di nascita del figlio, sulla mancanza di vincoli di parentela o affinità con il padre, dichiarazione che aveva privato il minore dello status di figlio legittimo e del cognome paterno e creato una difformità rispetto alla realtà biologica in quanto l’effettiva paternità del marito era stata successivamente accertata. Ricorre per cassazione l’imputata, denunciando violazione di legge penale e vizio di motivazione con riferimento all’accertamento della responsabilità per il reato a lei ascritto. Attività di materiale alterazione di stato. Interviene la Cassazione osservando che la disposizione di cui all’art. 567 c.p. contestata nella specie prevede l’applicazione di sanzioni meno gravi per l’ipotesi di sostituzione fisica del minore, rispetto a quelle applicabili alla falsa dichiarazione che produca un’alterazione di stato. Pertanto, l’interpretazione offerta al riguardo impone di circoscrivere l’ipotesi di reato contestata al caso in cui sia possibile ricondurre all’agente un’attività di materiale alterazione di stato, che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione, e si caratterizzi per l’idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di diversa discendenza, in conseguenza dell’indicazione di un genitore diverso da quello naturale. Presunzione legale di paternità. Nel caso di specie si verte di registrazione di un minore nato nel corso del rapporto matrimoniale a cui è stato attribuito il cognome della madre, sicché doveva ritenersi pienamente operante la presunzione di paternità del marito. Infatti, la presunzione legale di paternità di cui all’art. 231 c.c., a norma del quale il marito della madre è padre del figlio da essa concepito durante il matrimonio, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, può essere rimossa soltanto con l’azione di disconoscimento di cui all’art. 235 c.p. promossa dalle persone legittimate. Appare, pertanto, evidente, a parere del Collegio, che la comunicazione dell’imputata fosse priva della potenzialità di incidere sullo stato di figlio legittimo del minore, per superare il quale avrebbe dovuto essere promossa l’azione di disconoscimento della paternità. Fattispecie di reato di cui all’art. 495 c.p. Ne consegue che l’indicazione fornita dalla ricorrente che il padre del minore non fosse affine né parente non può considerarsi idonea a realizzare l’alterazione di stato, elemento costitutivo del reato contestato. La Corte ritiene, invece, integrata nel caso in esame la diversa fattispecie di cui all’art. 495 c.p., falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, in quanto è stata offerta dalla ricorrente una dichiarazione pacificamente non veritiera. La Cassazione ha, pertanto, annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato, qualificato il fatto come violazione di cui all’art. 495 c.p., è estinto per intervenuta prescrizione stante l’epoca dei fatti risalenti al 2002 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 14 novembre 2014, n. 47136 Presidente Ippolito – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 05/02/2014, in parziale riforma della sentenza impugnata dall'accusa e dalla difesa di E.P., ha affermato la responsabilità di quest'ultima anche in relazione al reato di cui all'art. 567 comma 2 cod.pen. ee, in concorso delle attenuanti generiche già riconosciute in primo grado, ha condannato l'imputata per tale reato alla pena di anni tre mesi quattro di reclusione ed ha ridotto la pena a mesi otto di reclusione per la residua imputazione di cui all'art. 572 cod.pen., con interdizione dai pubblici uffici per anni cinque. Le imputazioni riguardano l'indicazione resa dalla donna all'atto della denuncia di nascita del figlio Federico, sulla mancanza di vincoli di parentela o affinità con il padre, dichiarazione che aveva privato il minore dello status di figlio legittimo e del cognome paterno e creato una difformità rispetto alla realtà biologica in quanto l'effettiva paternità del marito della ricorrente era stata successivamente accertata sussiste poi la contestazione di condotte maltrattanti in danno dei figli. 2. La difesa di P. ha proposto ricorso con il quale si deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione con riferimento all'accertamento della responsabilità per entrambi i reati ascritti all'interessata. In particolare, dopo un excursus della vita familiare della ricorrente, si contesta la sussistenza del reato di cui al capo A - di cui all'art. 567 comma 2 cod.pen.- per la cui integrazione si ritiene essenziale l'attribuzione di uno stato difforme dal reale, con individuazione nell'atto di nascita di una persona diversa dal genitore effettivo, mentre nel caso di specie la sussistenza del reato era stata esclusa in primo grado in quanto la donna si era limitata ad omettere l'indicazione della persistenza dello stato matrimoniale all'atto della nascita. Si richiamano a sostegno della propria ricostruzione in diritto decisioni della Corte di legittimità che hanno escluso la sussistenza del reato ritenuto qualora si verta in ipotesi di dichiarazione incompleta, quale quella formulata dall'interessata all'atto della denuncia di nascita. Si assume che la Corte territoriale, con riguardo alla contestazione del delitto di maltrattamenti, abbia sottovalutato la connessione esistente tra l'inizio dei maltrattamenti e con la convivenza della donna con tale S., che era stato il principale accusato delle condotte illecite si esclude che possa ricondursi alla donna una responsabilità per omessa vigilanza, in quanto le sue assenze da casa erano connesse ad esigenze lavorative, mentre la sottovalutazione delle lamentele dei figli era conseguenza della mancata percezione diretta di episodi di maltrattamenti ai danni dei minori. Si ritiene inoltre che le condotte maltrattanti attribuite direttamente alla madre fossero state causate da eccezionali stati di stanchezza o d'ira, e quindi erano prive del requisito dell'abitualità. Si deduce la contraddittorietà tra quanto riferito dai ragazzi e quanto dichiarato dal padre di questi, che aveva negato di aver mai rilevato sul loro corpo segni delle percosse, malgrado ne fosse stata denunciata l'esecuzione con oggetti atti ad offendere. In via di subordine si sollecita l'accertamento di prescrizione per il decorso del termine massimo. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato. 2. La disposizione di cui all'art. 567 cod.pen. contestata nella specie prevede l'applicazione di sanzioni meno gravi per l'ipotesi di sostituzione fisica del minore, rispetto a quelle applicabili alla falsa dichiarazione che produca un'alterazione di stato. Tale severo trattamento sanzionatorio, è già stato ritenuto esente da rilievi di incostituzionalità con ordinanza n. 106 del 2007 della Corte Costituzionale in quanto considerato non irragionevole, nel presupposto della maggiore gravità degli effetti dell'alterazione di stato. L'interpretazione offerta al riguardo impone quindi di circoscrivere l'ipotesi di reato contestata al caso in cui sia possibile ricondurre all'agente un'attività di materiale di alterazione di stato, che costituisca un quid pluris rispetto alla mera falsa dichiarazione, e si caratterizzi, di conseguenza, per l'idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di diversa discendenza, in conseguenza dell'indicazione di un genitore diverso da quello naturale. L'ipotesi di reato così ricostruita risulta estranea al caso concreto. Nella specie si verte nel caso di registrazione di un minore nato nel corso del rapporto matrimoniale, a cui è stato attribuito, sulla base della sola attestazione dell'odierna ricorrente, il cognome della madre. L'applicazione degli ordinari principi di diritto che regolano la filiazione avrebbe dovuto escludere tale conseguenza, poiché in forza dell'art. 232 comma 2 cod. civ. si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono decorsi trecento giorni dall'omologazione della separazione consensuale. La nascita del figlio della P. è intervenuta nel febbraio 2002, mentre il provvedimento di omologa della separazione intervenne il 15 ottobre 2001. Risulta quindi evidente che il periodo nel quale opera la presunzione legale non era stato superato, sicché doveva ritenersi pienamente operante la presunzione di paternità del marito. Tale essendo la situazione di fatto, poiché lo stato matrimoniale emerge dai registri di stato civile, appare evidente che la comunicazione della P. fosse priva della potenzialità di incidere sullo stato di figlio legittimo dei minore, per superare il quale avrebbe dovuto essere promossa l'azione di disconoscimento della paternità. La presunzione legale di paternità di cui all'art. 231 cod. civ. a norma della quale il marito della madre è padre del figlio da essa concepito durante il matrimonio art. 232 cod. civ. , secondo la disposizione e la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità in materia può infatti essere rimossa soltanto con l'azione di disconoscimento di cui all'art. 235 cod. civ. promossa dalle persone legittimate, nei termini ed alle condizioni all'uopo previste Sez. 1, Sentenza n. 9379 del 08/06/2012, Rv. 623110 ed in precedenza Cass. 547/1996 9463/1995 658/1988 . Ne consegue che l'indicazione fornita dalla ricorrente che il padre del bambino non fosse affine né parente non poteva considerarsi nella specie idonea a realizzare l'alterazione di stato, elemento costitutivo dei reato ritenuto. La condotta richiamata integra invece la diversa fattispecie di cui all'art. 495 cod. pen., in quanto è stata offerta una dichiarazione pacificamente non veritiera, per quanto successivamente emerso e non contestato dalla ricorrente, che ha riconosciuto la paternità del marito, reato in relazione al quale, stante l'epoca dei fatti risalenti al 2002, deve accertarsi l'intervenuta estinzione per prescrizione. 3. Nello stesso senso deve concludersi anche per l'ulteriore reato contestato, per cui è decorso il decorso del termine massimo di prescrizione, che produce l'estinzione del reato sul punto deve escludersi che le contestazioni di merito poste a fondamento del ricorso, possano imporre all'applicazione di formule di proscioglimento in fatto. 4. Ne consegue che debba disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, qualificato il fatto come violazione di cui all'art. 495 cod. pen.