La diminuzione della capacità di autodeterminarsi è elemento fondante il reato di violenza privata

La Corte di Cassazione delinea i contorni del reato di violenza privata, definendo gli elementi della violenza e della minaccia e precisando come, in riferimento alla condotta, sia sempre necessario il giudizio di idoneità a coartare la libera capacità di autodeterminazione del soggetto passivo. In tema poi di potestà genitoriale, i giudici affermano che la stessa deve essere esercitata secondo i bisogni e le aspirazioni dei figli, senza frustrazioni alcune della capacità di volere e di agire liberamente.

Il reato di violenza privata. Nella sentenza n. 47050, depositata il 13 novembre 2014, i giudici di legittimità chiariscono gli elementi costitutivi del reato di violenza privata ex art. 610 c.p., secondo la ricostruzione che dello stesso è stata operata più volte dalla giurisprudenza. Pronunciandosi a favore nella corretta sussunzione del fatto concreto nell’ipotesi di violenza privata, la Corte contorna i due precipui elementi della condotta inquadrata nel reato de quo violenza e minaccia. Per violenza deve intendersi qualsiasi mezzo attraverso cui si estrinseca un’energia fisica capace di privare il soggetto passivo della capacità di autodeterminarsi e di agire. La persona offesa, dunque, tollera, fa od omette coattivamente qualcosa ex multiis Cass. n. 21779/2006 e n. 40346/2013 . Analogamente, per minaccia deve intendersi qualsiasi comportamento, anche implicito, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto. Tale atteggiamento deve essere posto al fine di indurre il soggetto passivo a tollerare, fare od omettere forzatamente qualcosa, azzerando la capacità dello stesso di seguire la propria volontà ex multiis Cass. n. 8767/2014 . Il giudizio di idoneità. Perché si possa configura il reato di violenza privata non è solo necessaria la condotta materiale della violenza o della minaccia. È altresì necessario che tale condotta sia idonea a coartare la volontà del soggetto che la subisce, in maniera tale che lo stesso avverta diminuita la propria capacità di volere e di agire secondo la propria volontà. Tale idoneità è valutata ex ante dal giudice il quale dovrà tenere in debita considerazione le circostanze oggettive e soggettive del fatto e della condotta complessivamente posta. In particolare, non è rilevante che la coartazione della volontà non sia protratta nel tempo o che il soggetto passivo sia riuscito alfine a svincolarsi dalla costrizione psico-fisica dell’autore della violenza o della minaccia. Inoltre, qualora la condotta sia posta in essere attraverso più atti tipici, la stessa deve considerarsi comunque unica allorquando la pluralità di atti risulti offensiva del medesimo interesse giuridicamente tutelato e si concretizzi in un unico contesto temporale e spaziale. Violenza privata e potestà genitoriale. Nel caso di specie, l’imputato voleva costringere il proprio nucleo familiare, ed in particolare il proprio figlioletto, a subire la costruzione di un muro divisorio nella stanza del minore. Egli, precisa la Corte, non aveva alcun diritto di agire e di coartare la libertà dei propri congiunti posto che lo spazio abitativo era condiviso da tutti. E soprattutto, seppure la potestà genitoriale comprenda la possibilità per il genitore di decidere in quale spazio debba vivere il figlio, tale facoltà non può frustrare le aspirazioni od i bisogni del figlio secondo l’art. 147 c.c. . Diversamente, la potestà genitoriale si tramuterebbe in una forma di tutela giuridica di natura padronale ex multiis Cass. n. 37324/2013 .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 aprile – 13 novembre 2014, n. 47050 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 16.4.2013 la corte di appello di Brescia confermava la sentenza con cui il tribunale di Crema aveva condannato G.G. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di cui all'art. 610, c.p., commesso in danno della moglie F.P.M.K. , dei suoceri F.P.E. e C.A. e del figlio minore G.D. , oltre al risarcimento dei danni derivanti dal reato in favore della moglie e del figlio, costituiti parti civili. 2. Avverso tale sentenza di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando 1 il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. e , c.p.p., in quanto la corte territoriale a ha omesso di motivare in ordine al rigetto del primo e del secondo motivo di appello, non prendendo in considerazione la deposizione di uno dei testi, B.G. , su cui era fondato il primo motivo di impugnazione, essendo quest'ultimo l'unico testimone, tra quelli escussi, estraneo alla famiglia ed alla lite familiare in corso, sorta par la decisione del G. di erigere un muro all'interno dell'abitazione familiare, e, precisamente nella camera del figlio, per crearsi un ambiente autonomo dal resto della famiglia, con cui esistevano dei dissapori, assumendo, le dichiarazioni del B. , un valore decisivo al fine di escludere la sussistenza della violenza e della minaccia nella condotta posta in essere dall'imputato nei confronti dei propri familiari b non ha fornito risposta alle censure prospettate dall'appellante in ordine alla credibilità intrinseca ed estrinseca delle persone offese, portatrici di interessi contrapposti a quelli dell'imputato, in quanto costituite parti civili, che trovano fondamento nell'esistenza di personali risentimenti tra le parti, originati dal deteriorarsi del rapporto di coppia e di quello con la famiglia di origine della moglie del G. c non ha argomentato in ordine al rilievo dell'appellante relativo alla circostanza che le stesse persone offese hanno confermato che nei loro confronti il G. non ebbe mai ad esercitare alcuna violenza o minaccia 2 la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza di secondo grado, in quanto la corte territoriale, dopo avere affermato che la vicenda per cui è processo deve essere considerata complessivamente, ha omesso, come si è detto, di considerare il contenuto della deposizione del teste B. e delle stesse persone offese, nei termini in precedenza chiariti, trascurando di rilevare, inoltre, che quanto riferito dalla F.P. ha per oggetto la condotta del marito successiva alla realizzazione del muro divisorio, quando tutti i protagonisti della vicenda si trovavano fuori dalla camera di D. , per cui essa appare irrilevante agli effetti della configurazione del reato di cui all'art. 610, c.p., posto in essere, secondo l'impostazione accusatoria, proprio al fine di realizzare il menzionato muro divisorio 3 violazione di legge in ordine all'art. 610, c.p., in quanto, da un lato manca la prova che la condotta dell'imputato sia stata idonea ad eliminare o ridurre sensibilmente nei soggetti passivi del reato la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà, risultando, anzi, dalle dichiarazioni delle stesse persone offese, l'assenza di coartazione della volontà di queste ultime da parte del G. , dall'altro difetta l'antigiuridicità del fatto, avendo il G. il diritto di erigere la parete all'interno di quella che era pur sempre la sua abitazione familiare, come ammesso dalle stesse persone offese, che, peraltro, hanno riconosciuto di essere da tempo a conoscenza del fatto che il ricorrente voleva erigere la suddetta parete, allo scopo di godere di un proprio spazio all'interno dell'abitazione familiare, dopo essere stato illegittimamente estromesso dalla moglie dalla camera da letto matrimoniale. 3. Il ricorso è infondato. 4. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, va rilevato che non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata. Pertanto, anche il silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame non rileva qualora questa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata perché non è necessario che il giudice confuti esplicitamente la specifica tesi difensiva disattesa, ma è sufficiente che evidenzi nella sentenza una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa cfr. Cass., sez. II, 12/02/2009, n. 8619 Cass., sez. I, 22.5.2013, n. 27825, rv. 256340 . Orbene non appare revocabile in dubbio che la corte territoriale, attraverso il puntuale ed approfondito esame delle dichiarazioni delle persone offese, costituite parti civili, sia pervenuta ad un giudizio positivo sulla credibilità personale delle suddette persone offese e sulla attendibilità intrinseca delle loro dichiarazioni, in tal modo confermando, da un lato, la medesima valutazione effettuata al riguardo dal giudice di primo grado, dall'altro disattendendo implicitamente le doglianze difensive, che, peraltro, come prospettate nei motivi di appello sul punto, riportate nel corpo del ricorso per cassazione cfr. p. 9 , risultano generiche e, pertanto, non richiedevano una specifica confutazione da parte del giudice di secondo grado. Identiche considerazioni valgono per la doglianza relativa alla mancata considerazione del contenuto della deposizione del teste B. , che, peraltro, a ben vedere, per come riportato nel corpo del ricorso per cassazione cfr. p. 6 , non smentisce l'assunto accusatorio, secondo il quale l'imputato avrebbe esercitato violenza fisica nei confronti del figlio minorenne D. . Il B. , infatti, ha affermato che, per consentire la realizzazione del muro, ostacolata dall'atteggiamento del figlio, il G. lo aveva preso per le spalle, spostandolo dal luogo dove si stavano svolgendo i lavori, circostanza di fatto non contestata dalla difesa, che, anche in questa versione meno grave, comunque contraddetta dalle dichiarazioni delle persone offese e dall'oggettivo elemento di riscontro rappresentato dalle lesioni diagnosticate ai muscoli dell'avambraccio sinistro del minore, integra l'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 610, c.p., sub specie della violenza , identificata dall'orientamento da tempo dominante in sede di giurisprudenza di legittimità, in qualsiasi mezzo, attraverso cui si esplica un'energia fisica, idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà cfr., ex plurimis, Cass., Sez. V, 17.5.2006, n. 21779, rv. 234712 Cass., sez. V, 21/06/2013, n. 40346 . In relazione agli altri motivi di ricorso, va osservato che la corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi logici, ha correttamente ritenuto, all'esito di una valutazione complessiva della condotta del G. , che quest'ultimo, con violenza e minaccia, abbia costretto i suoi familiari a subire e, quindi, a tollerare la sua decisione di costruire una parete divisoria nella stanza del figlio minore, cioè, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, di modificare internamente la loro abitazione. Tale risultato è stato conseguito dal G. , sia esercitando una vera e propria violenza fisica nei confronti del figlio D. , prendendolo per il braccio, con una forza tale da cagionargli una distrazione, il giorno 30 dicembre 2005 , in cui il B. aveva provveduto alla costruzione del muro, sia minacciandolo con l'espressione ti appiccico la testa al muro dall'oggettivo valore intimidatorio, posto che, come affermato dallo stesso G.D. , nella parte della sua deposizione dibattimentale riportata a pagina 11 del ricorso per cassazione, il padre in alcune occasioni, in passato, lo aveva schiaffeggiato , nonché insultando ripetutamente la moglie ed i suoceri anche il OMISSIS , quando, rientrato nell'abitazione familiare, aveva scoperto che la parete divisoria era stata abbattuta. La decisione della corte territoriale appare, pertanto, assolutamente conforme alla previsione dell'art. 610, c.p., i cui elementi costitutivi della violenza e della minaccia , sono stati da tempo definiti dalla giurisprudenza di legittimità nei termini già visti, con riferimento alla violenza ed in termini analoghi, in relazione alla minaccia , che si identifica in qualsiasi comportamento od atteggiamento, anche non esplicito, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto, al precipuo fine di ottenere che proprio mediante tale intimidazione il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa, eliminando o riducendo sensibilmente, al pari della violenza , la sua capacità di determinarsi e di agire secondo la propria indipendente volontà cfr., ex plurimis, Cass. sez. V, 15/01/2014, n. 8767 . Né va taciuto che in tutti i reati in cui la violenza o la minaccia sono elementi costitutivi, l'idoneità della violenza o della minaccia posta in essere dall'agente per coartare la volontà della vittima deve essere valutata, proprio come fatto dalla corte territoriale, con un giudizio ex ante , che tenga conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto e della condotta complessivamente posta in essere dal soggetto attivo del reato. Deve, peraltro, rammentarsi che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, come chiarito dalla condivisibile giurisprudenza del Supremo Collegio, è irrilevante che la costrizione dell'altrui volontà non si sia protratta nel tempo ovvero che l'offeso sia riuscito a frustrare lo scopo dell'agente cfr. Cas., sez. V, 11.3.1983, Nuzzo, rv. 158500 e che l'azione deve considerarsi unica anche in presenza di una pluralità di atti tipici, quando questi, come nel caso in esame, si presentino offensivi del medesimo interesse tutelato e si svolgano in un unico contesto cfr. Cass., sez. V, 14.1.1987, n. 4554, rv. 175658 . Non può, dunque, che condividersi l'affermazione della corte territoriale, secondo cui dapprima la costruzione dell'opera, non voluta dai congiunti, successivamente il mantenimento stessa, che questi cercarono in sua assenza di eliminare, fu assicurata dal G. solo in ragione del proprio atteggiamento intimidatorio, esplicatosi fisicamente e verbalmente, nei due giorni del suo accesso presso l'ex abitazione familiare . Appare evidente, infatti, a prescindere dalla valutazione del comportamento dell'imputato data dalle persone offese, che, comunque, non hanno escluso, nelle dichiarazioni parzialmente riportate dal ricorrente nell'atto di impugnazione, di avere subito una menomazione della loro capacità di libera autodeterminazione, che tale obiettivo è stato conseguito dal G. proprio grazie alla condotta, minacciosa e violenta, complessivamente posta in essere in danno dei suoi congiunti. Va, infine, rilevata l'illegittimità della condotta dell'imputato, che non era autorizzata da nessuna norma giuridica, in quanto egli, in presenza della opposizione di alcuni dei componenti del suo nucleo familiare, che con lui condividevano l'abitazione, come la moglie ed il figlio, non aveva alcun diritto di apportarvi la modifica rappresentata dalla creazione di uno spazio autonomo per se stesso, mediante la costruzione di una parte divisoria nella stanza del minore. È ben vero che la potestà genitoriale comprende la facoltà di stabilire in quale ambito - spaziale e personale - debba vivere il figlio, tuttavia, come è stato affermato in un condivisibile arresto del Supremo Collegio proprio in tema di violenza priva, tale facoltà non può essere esercitata in contrasto con le aspirazioni dei figli art. 147 cc e, a maggior ragione, con i loro bisogni più profondi, giacché, altrimenti, quella potestà si risolverebbe in una forma di tutela di natura padronale cfr. Cass., sez. V, 26/06/2013, n. 37324 . 5. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, il ricorso di cui in premessa va rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.