La fidanzata della vittima deve provare di esserlo

Colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve dimostrare l’esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 46351, depositata il 10 novembre 2014. Il fatto. Il Tribunale di Milano condannava l’imputato per omicidio ex art. 589 c.p., per avere cagionato la morte di un pedone, per colpa consistita nella violazione della disciplina in materia di circolazione stradale. La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma di tale sentenza, riduceva l’entità della provvisionale disposta a favore della parte civile, rideterminando il relativo ammontare. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, rilevando come la parte civile non abbia adempiuto all’onere di provare l’esistenza di un rapporto affettivo con la vittima e la saldezza e la profondità del legame, tale da rendere l’interruzione del medesimo rapporto meritevole di risarcimento. Il danno morale. Interviene la Corte di Cassazione riprendendo alcuni principi regolatori della risarcibilità del danno morale, in favore dei congiunti del soggetto leso. Al riguardo, acquisito è il principio in base al quale ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima. Le stesse Sezioni Unite hanno ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, ivi compreso, quindi, il danno morale. Il danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza e la natura del rapporto con la vittima. La giurisprudenza, inoltre, ha precisato che, affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza deve ritenersi come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, e non necessariamente come coabitazione. Risulta chiaro, sul piano probatorio, che, spetta al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno morale, dare la prova dell’esistenza e della natura di tale rapporto. E che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori. Il Collegio, osservando che i giudici di merito, rispetto alla richiesta di risarcimento avanzata dalla fidanzata della vittima, hanno disatteso i principi di diritto sopra richiamati, ha deciso per l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 ottobre – 10 novembre 2014, n. 46351 Presidente Romis – Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 8.10.2012, in parziale riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Milano il 10.10.2011, nei confronti di H.S.J.H. - chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 589, cod. per., per avere cagionato, in concorso con B.G. , separatamente giudicato, la morte del pedone T.C. , per colpa consistita nella violazione della disciplina in materia di circolazione stradale, nei termini indicati in rubrica - riduceva l'entità della provvisionale disposta a favore della parte civile P.L.A. , rideterminando il relativo ammontare in Euro 15.000,00 e confermava nel resto. 2. Avverso la predetta sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione il difensore del responsabile civile Zurich Insurance plc. Con unico motivo la parte denuncia la violazione di legge, il vizio motivazionale e l'erronea applicazione degli artt. 74 cod. proc. pen. e 2697 cod. civ. ciò, con riferimento sia alla risarcibilità del danno subito dalla fidanzata della vittima, non convivente, sia rispetto alla non corretta applicazione della disciplina dell'onere della prova, nel caso di richiesta risarcitoria ex art. 185 cod. pen. L'esponente chiarisce che l'oggetto dell'impugnazione è circoscritto alla valutazione operata dai giudici di merito, in relazione al diritto vantato dalla parte civile P.L.A. , al risarcimento del danno morale derivante dalla morte del fidanzato, T.C. . Osserva che la Corte territoriale, a fronte di specifica doglianza sul punto di interesse, si è limitata a ridurre l'importo liquidato dal Tribunale a titolo di provvisionale. La ricorrente ritiene che l'errore di valutazione in cui è incorso il Tribunale riguardi l’ an debeatur e considera che tale errore non è stato emendato in sede di gravame di merito. Osserva che la difesa non intende contestare la parificazione riconosciuta dalla giurisprudenza tra coppie sposate e coppie di fatto, nell'ambito del diritto al risarcimento da parte del convivente. Tanto chiarito, sottolinea che, nel caso di specie, non vi era alcuna convivenza tra la parte civile L. ed il defunto T. , all'epoca del fatto semplici fidanzati. Ritiene che, conseguentemente, l'onere della prova gravante sulla parte civile debba essere valutato in modo rigoroso e che non possano trovare applicazione presunzioni in favore del partner non convivente, rispetto alla prova della sussistenza di un saldo vincolo affettivo, la cui lesione risulta meritevole di risarcimento. Tanto chiarito, la ricorrente rileva che P.L.A. aveva l'onere di provare l'esistenza di un rapporto di fidanzamento con la vittima la saldezza e profondità del legame, tale da rendere l'interruzione del medesimo rapporto meritevole di risarcimento. L'esponente rileva che la parte civile si è limitata ad affermare il proprio status di fidanzata della vittima, nell'atto di costituzione. E considera che la parte civile avrebbe dovuto provare che si trattava di un rapporto affettivo che superava la soglia di rilevanza richiesta dalla giurisprudenza per il riconoscimento del risarcimento del danno, in caso di interruzione mortis causa . Osserva che la stessa giurisprudenza che tutela la convivenza more uxorio rappresenta una conferma del principio che limita il diritto al risarcimento alla lesone dei rapporti affettivi più elevati. La ricorrente ritiene che erroneamente i giudici di merito hanno considerato che l'irrilevanza del requisito formale del matrimonio incida anche sul profilo probatorio, giungendo ad affermare che il diritto al risarcimento spetti a chiunque affermi di essere il partner della vittima. La parte osserva che la Corte di Appello, nel ridurre sensibilmente l'entità della somma liquidata a titolo di provvisionale, ha illogicamente omesso di argomentare circa la natura del legame affettivo di cui si tratta, ritenuto meritevole di tutela, sebbene in assenza di convivenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso del responsabile civile impone le considerazioni che seguono. Occorre brevemente richiamare i principi che, secondo diritto vivente, informano la materia della risarcibilità del danno morale, in favore dei congiunti del soggetto leso. Al riguardo, risulta acquisito il principio in base al quale ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima. In tal caso, il congiunto è legittimato ad agire iure proprio contro il responsabile Cass. Civ. S.U. n. 9556/02 . La giurisprudenza di legittimità, invero, ha chiarito che il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. In particolare, le Sezioni Unite Cass. Civ. Sez. U n. 26972/2008 hanno ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, ivi compreso, appunto, il danno morale, che può essere permanente o temporaneo circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto . In tale prospettiva, di ritenuta risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, si è chiarito che il riferimento ai prossimi congiunti della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell'illecito, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza , a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. La giurisprudenza ha da ultimo precisato che, affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone , connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. E si è osservato che, in tale prospettiva, i riferimenti costituzionali non sono da cogliere negli artt. 29 e 30 della Costituzione, così che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto nell'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale cfr. Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 7128 del 21/03/2013, Rv. 625496 e in motivazione . Sul piano probatorio, che pure qui viene in rilievo, si è poi considerato che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve allegare e dimostrare l'esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito che spetta al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell'esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi e che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l'apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 7128 del 21/03/2013, cit. . 2. Tanto chiarito, deve osservarsi che i giudici di merito, sul punto relativo all' an debeatur , rispetto alla richiesta di risarcimento avanzata dalla fidanzata della vittima, hanno disatteso i principi di diritto ora richiamati. Segnatamente, la Corte di Appello, a fronte della specifica doglianza che era stata dedotta dal responsabile civile in sede di gravame, ha rilevato che il riconoscimento di una provvisionale in favore della fidanzata della vittima si giustificava con la brusca ed improvvisa interruzione della relazione affettiva, che aveva provocato un danno morale risarcibile. Il Collegio, invero, pure travisando il contenuto della doglianza, si è limitato a considerare che l'entità della provvisionale disposta dal Tribunale in favore di P.L.A. doveva essere ridotta, giacché non risultava provata la sussistenza di un rapporto di convivenza more uxorio tra i due giovani, omettendo del tutto di analizzare la questione di fondo, relativa alla natura del rapporto affettivo di cui si tratta, argomento che costituisce il presupposto logico, rispetto al riconoscimento di una somma a titolo di provvisionale, ai sensi dell'art. 539, comma 2, cod. proc. pen., come sopra chiarito. Deve allora osservarsi che la motivazione della sentenza impugnata risulta affatto carente, sia rispetto alla verifica di fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata dalla parte civile P. , sia in riferimento alla quantificazione del danno in favore della medesima P. , valutazione che non risulta basata su alcun conferente elemento di prova. Nel rideterminare la somma assegnata a titolo di provvisionale, infatti, la Corte territoriale ha considerato che i due giovani parte civile e vittima non risultavano conviventi ed ha quindi stabilito l'ammontare della provvisionale in misura pari alla metà di quanto assegnato ai fratelli della vittima, che di converso avevano a lungo convissuto con la vittima. 3. Si impone, per quanto detto, l'annullamento della sentenza impugnata, in riferimento alle richiamate statuizioni che riguardano l'azione civile, con rinvio, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.