L’autovettura è luogo di privata dimora solo se vi è prova della sua destinazione ad uso abitativo

Le intercettazioni tra presenti captate all’interno di un’autovettura – in assenza del fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, presupposto indefettibile per le captazioni disposte all’interno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. - sono validamente utilizzabili, eccetto che il veicolo, sin dall’origine, sia utilizzato oppure destinato ad uso di privata abitazione. Dunque, non sussiste il divieto di utilizzazione di cui all’art. 271 c.p.p. di una conversazione registrata nell’abitacolo di un’automobile che funge da normale mezzo di trasporto di persone od oggetti.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 45512/14 depositata il 4 novembre, si pronuncia in materia di intercettazioni ambientali, condividendo il precedente orientamento già formatosi in sede di giurisprudenza di legittimità sulla impossibilità – salvo particolari eccezioni - di qualificare l’abitacolo di un’autovettura luogo di privata dimora, con i naturali effetti di legge che di seguito si analizzano. Innanzitutto, si evidenzia che le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, la cui disciplina è contenuta nel Libro III, Titolo III e Capo IV del Codice di rito, costituiscono un mezzo di ricerca della prova a cui, oramai, gli uffici della Pubblica Accusa ricorrono in modo esponenziale per lo svolgimento delle indagini più disparate. Tuttavia, il ricorso a tale strumento investigativo richiede la sussistenza di determinati presupposti, l’invalicabilità di alcuni limiti, l’adozione di determinati provvedimenti, nonché l’esecuzione delle operazioni di captazione secondo specifiche modalità indicate dalla legge. Invero, nel caso in cui le intercettazioni telefoniche o ambientali siano disposte od effettuate in mancanza dei presupposti o in violazione dei limiti e delle forme di legge, l’art. 271 c.p.p. prevede – quale sanzione processuale - il divieto di utilizzazione delle comunicazioni o conversazioni captate. Tale norma, infatti, può essere considerata uno sforzo del legislatore che, nell’introdurre la delicata disciplina delle intercettazioni all’interno del nostro ordinamento, ha quanto meno prestato l’accortezza di prevedere la sanzione processuale dell’inutilizzabilità per dissipare il pericolo di eventuali abusi e per apprestare una tutela al diritto alla privacy di ogni cittadino. Violazione del divieto di utilizzazione. La pronuncia in esame scaturisce dal ricorso di un soggetto indagato del reato di furto aggravato, destinatario di un’ordinanza applicativa di arresti domiciliari, adottata sulla base di un impianto accusatorio sorretto dall’intercettazione di alcune conversazioni avvenute all’interno dell’autovettura di un co-indagato. Il difensore del prevenuto propone impugnazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in conferma dell’ordinanza applicativa della misura restrittiva adottata dal G.I.P. presso il Tribunale di Gela, con la formulazione di una serie di doglianze. In particolare, preme segnalare il motivo di gravame con cui è eccepita la violazione dell’art. 266, comma 2, c.p.p., posto che, secondo la difesa, l’abitacolo di un’autovettura è da qualificarsi luogo di privata dimora ex art. 614 c.p Dunque, in tal caso, l’intercettazione avrebbe potuto essere disposta ed acquisita solo in presenza di fondato motivo di ritenere che all’interno di quel luogo si stesse svolgendo un’attività criminosa. Ne consegue che, a dire del ricorrente, la conversazione captata in modo illegittimo dalla pubblica accusa merita la sanzione processuale dell’inutilizzabilità prevista per legge. L’autovettura non può considerarsi luogo di privata dimora, salvo prova contraria. Ebbene, il Collegio risolve la questione de qua con una semplicità sorprendente. Difatti, la Suprema Corte rigetta il ricorso evidenziando che, in relazione al motivo di doglianza testé rappresentato, l’abitacolo di un autoveicolo non può e non deve essere considerato un luogo di privata dimora in ragione della natura funzionale del bene stesso. Invero – spiegano gli Ermellini – l’autovettura, nella normalità dei casi, è funzionalmente strutturata e destinata al trasporto di persone o di oggetti. Di talchè, attesa la specificità del concetto di luogo di privata dimora quale spazio destinato allo svolgimento di atti di vita privata, ai fini della legittimità delle intercettazioni, l’abitacolo di un veicolo non richiede la sussistenza del presupposto previsto dall’art. 266, comma 2, c.p Tuttavia, aggiunge la Corte, premesso che rientra tra le libertà individuali quella di scegliere lo spazio più adatto all’interno del quale esplicare la propria personalità, qualora vi fosse la prova – mancante nel caso di specie – che il mezzo di trasporto fin dall’origine sia destinato e di fatto utilizzato come privata abitazione, se non vi è il fondato motivo di ritenere che in quello spazio venga praticata un’attività delittuosa, verrebbe a configurarsi la violazione dell’art. 266, comma 2, c.p.p., con conseguente applicazione del divieto di utilizzazione. Conclusioni. Non v’è dubbio che le intercettazioni telefoniche ed ambientali costituiscano una deroga di notevole entità al diritto alla privacy del cittadino. Tra l’altro, la continua evoluzione tecnologica compromette sempre di più la libertà alla segretezza che, per ragioni di giustizia, nonostante sia un principio cardine tanto della CEDU quanto della nostra Costituzione, viene sovente sacrificata. Ebbene, posto che secondo la giurisprudenza di legittimità costituisce luogo di privata dimora quello in cui le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata , a parere di chi scrive l’abitacolo di un’autovettura – a seguito di una valutazione concreta del caso – potrebbe rientrare nel concetto in esame anche quando non sia destinata ad uso abitativo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 aprile – 4 novembre 2014, n. 45512 Presidente Bruno – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con ordinanza emessa il 3.12.2013 il tribunale del riesame di Caltanissetta confermava l'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Gela, in data 23.10.2013, aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di F.T.C. , gravemente indiziato del delitto di furto aggravato, consumato. 2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Francesco Bellino del Foro di Caltagirone, lamentando, anche con i motivi nuovi depositati il 4.4.2014, 1 il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. b , c.p.p., in relazione agli artt. 266, 267 e 277, c.p.p., nonché il vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. e , c.p.p., in quanto il tribunale del riesame, con motivazione carente e contraddittoria, ha rigettato la censura difensiva sulla utilizzabilità del contenuto della conversazione oggetto della intercettazione ambientale n. 426 del 23.11.2012, svoltasi all'interno dell'autovettura Mercedes, classe A, in uso al coindagato I.G. , che deve ritenersi, ad avviso del difensore del ricorrente, inutilizzabile, in quanto, da un lato, trattandosi di un luogo di privata dimora, l'intercettazione poteva essere disposta solo in presenza dei presupposti di cui all'art. 266, co. 2, c.p.p., in questo caso del tutto assenti, non svolgendosi nell'autovettura in questione, all'atto dell'intercettazione, nessuna attività criminosa dall'altro, come si evince dal relativo verbale di trascrizione, l'intercettazione non è stata effettuata per mezzo degli impianti in uso alla procura della Repubblica di Gela, ma presso gli uffici del NOR del Reparto Operativo dei Carabinieri di Gela. Siffatta inutilizzabilità, determina, ad avviso del difensore del ricorrente, il venir meno del requisito dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato 2 i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in relazione all'art. 273, c.p.p., sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza,, in quanto non pare che l'impianto probatorio allo stato degli atti sia idoneo a sorreggere il provvedimento che oggi si impugna, vieppiù stante la carente motivazione su cui lo stesso si fonda 3 i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in quanto, da un lato, la condotta del F. appare riconducibile al paradigma normativo di cui all'art. 624, c.p. fattispecie meno grave di quella, ritenuta configurabile dal tribunale del riesame, di cui all'art. 624 bis, c.p., non potendosi ritenere l'esercizio commerciale in cui si è consumato il furto luogo di privata dimora dall'altro non appare configurabile la circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 5, c.p., non essendovi la prova della effettiva partecipazione al furto di un terzo soggetto, individuato dagli organi inquirenti in tal Fabrizio 4 i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in relazione all'esigenza cautelare di tutela della collettività, che, con motivazione carente ed inadeguata, il tribunale del riesame ha ritenuto sussistente, nonostante che l'unico apporto materiale alla consumazione del reato da parte del F. sia consistito nella guida dell'autovettura che l'indagato sia un soggetto incensurato, a carico del quale risultano solo carichi pendenti che il fatto per cui si procede sia stato commesso circa due anni orsono, tutti elementi che non consentono di affermare come concreto il pericolo di reiterazione criminosa 5 i vizi di cui all'art. 606, co. 1, lett. b ed e , c.p.p., in relazione questa volta alla adeguatezza e proporzionalità della misura, non apparendo tali gli arresti domiciliari, anche alla luce della impossibilità di configurare l'ipotesi di cui all'art. 624 bis, c.p. e l'aggravante di cui all'art. 625, n. 5, c.p 3. Il ricorso non può essere accolto. 4. Premesso che, contrariamente a quanto indicato dal difensore, la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni effettuate fuori dei casi consentiti dalla legge ed in violazione delle disposizioni previste dagli artt. 267 e 268, co. 1 e 3, c.p.p., è sancita dall'art. 271, co. 1, c.p.p., e non dall'art. 277, c.p.p., va rilevata l'infondatezza dei motivi di ricorso indicati nelle pagine che precedono sub n. 1 , in quanto, con particolare riferimento alla prima questione di diritto posta dal difensore del ricorrente, l'autovettura non è qualificabile luogo di privata dimora ex art. 614, c.p., come affermato dal prevalente orientamento formatosi in sede di giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio cfr. Cass., sez. V, 06/03/2009, n. 28251 Cass., sez. V, 23/10/2008, n. 4926, rv. 243153 Cass., sez. V, 30/01/2008, n. 12042 . Pertanto, come da tempo chiarito da un condivisibile arresto, ai fini dell'applicazione dell'art. 266 comma 2 c.p.p., l'abitacolo di una autovettura, in quanto spazio destinato naturalmente al trasporto dell'uomo o al trasferimento di oggetti da un posto all'altro e non ad abitazione, non può essere considerato luogo di privata dimora, salvo che, a differenza di quanto dedotto nel caso in esame e desumibile dal contenuto del provvedimento impugnato, esso - rientrando tra le libertà individuali la facoltà di scegliere lo spazio più congeniale alla propria personalità in cui dimorare - sin dall'origine sia strutturato e venga di fatto utilizzato come tale, oppure sia destinato, in difformità dalla sua naturale funzione, ad uso di privata abitazione cfr. Cass., sez. I, 18/10/2000, n. 3363, Galli, rv. 218042 . Con riferimento, poi, all'ulteriore questione relativa alla dedotta mancanza del provvedimento con cui, ai sensi dell'art. 268, co. 3, c.p.p., il pubblico ministero può disporre che il compimento delle operazioni avvenga mediante impianti in dotazione alla polizia giudiziaria, va osservato che il tribunale del riesame, a fronte del rilievo difensivo sull'assenza di adeguata motivazione in ordine alla utilizzazione di impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica di Gela, rilevava la genericità di tale doglianza, che non consentiva al giudice dell'impugnazione cautelare né di individuare il decreto che sarebbe da censurare, né il vizio motivazionale .denunciato in termini del tutto ipotetici con riferimento a quanto risulterebbe dal contenuto di un verbale di trascrizione di una conversazione e non, quindi, dal decreto censurato cfr. p. 3 dell'ordinanza oggetto di ricorso . Fermo restando che la valutazione del tribunale del riesame sul punto va condivisa, dovendosi, al riguardo, ulteriormente evidenziare che anche in questa sede il ricorrente, in violazione del principio della ed autosufficienza del ricorso, non ha allegato il decreto con cui il pubblico ministero ha autorizzato l'intercettazione ambientale in precedenza indicata, non può non rilevarsi che, in ogni caso, le censure, per come prospettate, non colgono nel segno. Secondo il condivisibile orientamento affermatosi in sede di legittimità, infatti, l'utilizzo nelle operazioni di intercettazione della tecnica del cosiddetto ascolto remotizzato , in base al quale l'intercettazione, mediante istradamento dei flussi sonori, può essere immediatamente ascoltata anche presso gli uffici della polizia giudiziaria, è legittimo, senza necessità di dover far ricorso alla disciplina dell'art. 268, comma 3, c.p.p., con conseguente utilizzabilità dei relativi esiti, purché la registrazione - che consiste nell'immissione nella memoria informatica centralizzata server dei dati captati nella centrale dell'operatore telefonico -sia avvenuta per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, e ciò anche se le operazioni di trasferimento su supporto informatico dei dati registrati e di verbalizzazione siano eseguite negli uffici di polizia giudiziaria cfr. Cass., sez. un., 26/06/2008, n. 36359, rv 240395 Cass., sez. I, 04/07/2008, n. 35643, rv. 240988 . Né va taciuto che l'intercettazione di comunicazioni può avvenire anche attraverso una procedura che consenta il contestuale ascolto delle comunicazioni negli uffici della polizia giudiziaria e nei locali della procura della Repubblica, ove sono compiute le operazioni di captazione e di registrazione. Tale procedura, come affermato dal Supremo Collegio, non viola la disposizione per la quale le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, salvo diversa e motivata determinazione del pubblico ministero, e quindi non da luogo all'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni cfr. Cass., sez. II, 05/03/2008, n. 14030 rv. 239395 . Orbene dalla lettura della documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente in allegato ai nuovi motivi di ricorso, si evince che il 12.11.2012 personale della sezione operativa del nucleo operativo e radiomobile del reparto territoriale dei Carabinieri di Gela ha dato inizio alle operazioni d'intercettazione ambientale e localizzazione a bordo della Mercedes tg. DS243VI , effettuate mediante apparecchiature fornite dalla ditta Innova di Trieste e l'impiego del sistema Ego per il riascolto allegati n. 1 e n. 2 e che il giorno 3 dicembre 2012, negli uffici del suddetto nucleo operativo e radiomobile, si è proceduto alla redazione del verbale di trascrizione della comunicazione del 23.11.2012, registrata con apparecchiatura Ego al progressivo n. 426 allegato n. 3 . Tali annotazioni, alla luce degli indicati principi affermati dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, non sono da sole sufficienti a dimostrare la fondatezza dell'assunto difensivo, in quanto da esse non può desumersi la mancata avvenuta registrazione delle conversazioni intercettate presso gli impianti della procura della Repubblica di Gela, per cui non può applicarsi ai risultati delle disposte intercettazioni la sanzione processuale della inutilizzabilità prevista dall'art. 271, co. 1, c.p.p. Va, inoltre, rilevato che dalla lettura degli allegati prodotti dalla difesa emerge che le operazioni di intercettazione ambientale sull'autovettura innanzi indicata sono state autorizzate dal pubblico ministero con decreto n. 194/12 e n. 1492/12 del 5.11.2012, per cui la mancata allegazione del suddetto decreto da parte del difensore del ricorrente, in violazione del già richiamato principio della ed autosufficienza del ricorso, non consente comunque di averne contezza del contenuto in questa sede, al fine di verificare i reali termini con cui è stata autorizzata l'intercettazione ambientale di cui si discute, se mediante l'utilizzazione o meno di impianti in dotazione della polizia giudiziaria. 5. Anche i motivi di ricorso in precedenza indicati sub n. 3 , non colgono nel segno, essendo inammissibile quello relativo alla contestata sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 5, c.p., perché con esso si prospettano censure di merito, consistenti in una valutazione alternativa delle risultanze investigative, non consentite in questa sede di legittimità cfr., ex plurimis, cfr. Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726 . Quanto alla dedotta impossibilità di configurare la fattispecie di cui all'art. 624 bis, c.p., se ne deve rilevare l'infondatezza, in quanto, secondo il consolidato e prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità condiviso dal Collegio, costituisce luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora, nel delitto di furto in abitazione, qualsiasi luogo, come il negozio di abbigliamento Pardo Moda di Gela, in cui è stato consumato il furto oggetto della imputazione provvisoria contestata al ricorrente, nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata cfr. Cass., sez. V, 5.5.2010, n. 22725, rv. 247969 Cass., sez. V, 25.6.2010, n. 32093, rv. 248356 Cass., sez. V, 15.2.2011, n. 10187, rv. 249850 Cass., sez. V, 18.9.2007, n. 43089 . 6. Inammissibili devono, invece, ritenersi i motivi di ricorso raggruppati nelle pagine precedenti sub n. 2 n. 4 e n. 5 . In particolare l'inammissibilità del motivo sub n. 2 , discende dalla sua estrema genericità, perché con esso il ricorrente, nonostante i reiterati richiami di precedenti della giurisprudenza di legittimità, si limita a dedurre, per l'appunto genericamente, l'inidoneità dell'apparato argomentativo dell'ordinanza oggetto di impugnazione. Con riferimento ai restanti motivi di ricorso, invece, non può che ribadirsi l'approdo interpretativo, condiviso da questo Collegio, al quale è giunta la giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all'adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. 11 controllo di legittimità è quindi circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento cfr. Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726 , essendo sufficiente ai fini cautelari un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell'imputato cfr. Cass., sez. II, 10.1.2003, n. 18103, rv. 224395 Cass., sez. Ili, 23.2.1998, n. 742 . Appare, pertanto, evidente che le censure del difensore del ricorrente, essendo finalizzate ad ottenere una rivalutazione in punto dei fatto dei presupposti necessari per l'applicazione della misura cautelare in esecuzione, con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari e dell'adeguatezza della misura in questione, non possono essere ammesse in questa sede. Il tribunale del riesame, peraltro, con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha puntualmente evidenziato le ragioni che, alla luce della gravità del fatto e della personalità dell'indagato gravato da reiterati carichi pendenti per reati in materia di stupefacenti e contro il patrimonio, utilizzabili ai fini del giudizio sulla pericolosità sociale cfr. ex plurimis, Cass., sez. II, 12.11.2013, n. 7045, rv. 258786 , fanno ritenere sussistente l'esigenza di tutela della collettività e l'adeguatezza della misura applicata cfr. p. 6 dell'ordinanza impugnata . 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.