Quando la proprietà è contestata, decida il giudice civile competente

In tema di dissequestro, quando la proprietà delle cose oggetto di sequestro non è certa, il giudice penale deve rimettere gli atti al giudice civile del luogo competente in primo grado. Non è necessario che esista una controversia precedentemente instaurata e, dunque, un giudice civile già adito.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 44960 del 29 ottobre 2014. Dissequestro e restituzione. La Corte di Cassazione nella sentenza qui commentata ripercorre un fervente dibattito giurisprudenziale in tema di dissequestro e soggetto avente diritto alla restituzione. La questione veniva infatti sollevata dinnanzi ai giudici di legittimità a seguito di un articolato complesso di rapporti devenienti dal sequestro di denaro e titoli di una società gestore di una discarica e di un impianto di produzione di biogas. Il dissequestro successivo determinava la restituzione dell’oggetto del provvedimento ora al Comune, nel cui territorio operava la società indicata, ora, invece, ad un’altra società indentificata come persona offesa del reato di riciclaggio. Non solo, dunque, risultava controversa la proprietà delle cose oggetto del sequestro, ma si confondeva il ruolo della persona offesa, avente diritto ad un risarcimento, con quello del titolare avente diritto alla restituzione. La proprietà controversa o contestata. Atteso che sulla proprietà delle cose oggetto del sequestro non pendeva alcun giudizio civile, la Corte di Cassazione inquadra la questione alla luce degli artt. 263, comma 3, e 324, comma 8, c.p.p. . Secondo il dettato normativo, qualora sia controversa art. 263 c.p.p. o contestata art. 324 c.p.p. la proprietà delle cose sequestrate, laddove sia necessario disporne il dissequestro, il giudice rinvia la decisione in tema al giudice civile, mantenendo nel frattempo il dissequestro. È però possibile che la controversa proprietà delle cose sequestrate emerga solo in sede penale, senza dunque che sussista un giudizio civile cui rinviare la decisione. In questo senso, diventa problematico il ruolo del giudice penale. Sul punto si possono distinguere due differenti orientamenti giurisprudenziali. Primo orientamento. La Corte di Cassazione in numerose sentenze ex multiis Cass., n. 26914/2013 e n. 221/2003 si è espressa ritenendo che il giudice penale debba rinviare al giudice civile la decisione sulla controversa proprietà delle cose e mantenere il sequestro solo qualora una effettiva controversia civile sia già instaurata o prossima all’instaurazione. Laddove si mantenesse il sequestro in mancanza di un giudizio civile, si determinerebbe l’esclusione di qualsiasi sindacato di legittimità sul sequestro che verrebbe mantenuto indipendentemente dalla fondatezza dello stesso ex multiis Cass. n. 221/2004 . Recentemente si è peraltro affermato che il mantenimento del sequestro sarebbe possibile, solo se risultasse al giudice penale una controversia civile effettivamente esistente, non meramente potenziale. Solo così, l’art. 263, comma 3, c.p.p. trova la sua ratio . Sarebbe infatti privo di senso giuridico rimettere la decisione ad un giudice civile non ancora adito Cass. n. 26914/2013 . Secondo orientamento. La giurisprudenza dominante ritiene invece sufficiente che la controversia civile sia anche solo potenziale, perché venga mantenuto il sequestro nonostante la proprietà non certa delle cose oggetto del provvedimento. Il giudice penale dovrà, dunque, rimettere gli atti al giudice civile anche laddove quest’ultimo non sia stato precedentemente adito. A sostegno di tale orientamento, si pone il comma 2 dell’art. 263 c.p.p. che impone al giudice penale di acquisire la certezza del titolo di proprietà dell’istante, tanto da ammettere il contraddittorio tra chi domanda la restituzione ed il terzo che potrebbe vantare diritti sulla stessa ex multiis Cass. n. 12445/2008, n. 29751/2003, n. 11788/2003, n. 1414/1998 . Il giudice competente. Nel caso oggetto della sentenza in commento, la Corte di Cassazione ritiene doversi applicare il secondo orientamento giurisprudenziale analizzato. A parere dei giudici di legittimità, infatti, è chiaro dalla lettura sia dell’art. 324 che dell’art. 263 c.p.p. come il giudice penale non abbia alcun potere di sindacare quanto alla proprietà delle cose oggetto di sequestro. Il primo orientamento, tuttavia, non è condivisibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, l’art. 324, comma 8, c.p.p. prevede la remissione degli atti al giudice civile, in caso di mera contestazione e non di controversia , nozione questa che ben richiederebbe la necessità di un precedente giudizio istaurato. In secondo luogo, l’art. 263, comma 2, c.p.p. prevede la remissione degli atti al giudice civile del luogo competente in primo grado e non del giudice procedente, lasciando ben verificabile la possibilità di rimettere la decisione anche in caso di giudizio civile non ancora cominciato. Il giudice penale, dunque, in caso di proprietà controversa delle cose oggetto di sequestro, ai fini della restituzione delle stesse, deve mantenere il sequestro ma inviare gli atti al giudice civile del luogo competente per il primo grado, senza che un giudizio civile sia stato necessariamente già istaurato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 settembre – 29 ottobre 2014, n. 44960 Presidente Fiandanese – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto 1. Il GIP del Tribunale di Milano, nell'ambito di un procedimento penale per i reati di peculato e di riciclaggio connessi alla gestione di una discarica e di un impianto di produzione di biogas siti nel territorio del comune di omissis , aveva disposto, in data 21 dicembre 2001, il sequestro preventivo di somme di denaro e di titoli depositati su conti bancari di pertinenza della società ENERGECO S.R.L Lo stesso GIP, con ordinanza del 9 marzo 2007, adottata in funzione di giudice dell'esecuzione, aveva revocato la predetta misura cautelare reale e disposto la restituzione di quanto in sequestro al Comune di omissis , quale avente diritto aveva, inoltre, rigettato, con ordinanza del 24 luglio 2007, l'opposizione proposta dalla SIMEC s.p.a., che, qualificandosi persona offesa e danneggiata dal reato, aveva rivendicato il diritto alla restituzione dei beni sequestrati. Quest'ultimo provvedimento, a seguito di ricorso della SIMEC s.p.a., era stato annullato con rinvio dalla sentenza n. 35088 del 24 giugno 2008 di questa Corte, essendo stata indebitamente negata alla ricorrente la qualità di persona offesa. Con ordinanza del 23 marzo 2009, il GIP del Tribunale di Milano, decidendo in sede di rinvio, aveva confermato la revoca del decreto di sequestro, ma aveva disposto la restituzione dei beni all'AMSA s.p.a. di , ritenuta parte danneggiata, anziché al Comune di omissis . Quest'ultimo provvedimento, a seguito di ricorso della SIMEC s.p.a., della ENERGECO s.r.l. e del Comune di Cerro Maggiore era stato nuovamente annullato con rinvio dalla sentenza n. 30404 del 3 marzo 2010 di questa Corte, non avendo chiarito i complessi e articolati rapporti intercorsi tra i vari soggetti coinvolti nella gestione della discarica e dell'impianto di produzione e di trasformazione del biogas siti in territorio di omissis , non consentendo così a questa Corte di valutare l'adeguatezza o meno del percorso logico-giuridico sulla base del quale si individua l'AMSA s.p.a. come soggetto avente diritto alla restituzione delle somme e dei titoli dissequestrati. Si afferma, infatti, sulla base del solo richiamo formale ad una parte del capo di imputazione, che dall'attività di illecita distrazione e dal successivo riciclaggio delle ingenti somme di denaro sarebbe derivato danno alla citata società, che in forza della convenzione aveva già corrisposto anticipatamente tali somme alla concessionaria Simec tra il 1991 e il 1996. Tale affermazione, in quanto non giustificata da precisi e pertinenti dati fattuali chiarificatori, rimane criptica e non assolve il dovere di motivazione del giudice. Il dubbio circa la corretta individuazione dell'AMSA s.p.a. come avente diritto alla restituzione è, peraltro, avallato dal rilievo che detta società sintomaticamente non si è mai attivata per rivendicare le somme e i titoli a suo tempo sequestrati. Non va sottaciuto che questi, al momento del sequestro, erano depositati su conti bancari di pertinenza della Energeco s.r.l. ed erano, secondo l'accusa, il provento dell'attività connessa alla gestione degli impianti di cui si discute di proprietà o comunque riconducibili al Comune di Cerro Maggiore. È vero che, per l'accoglimento della domanda di restituzione, non è sufficiente, in linea generale, il favor possessionis, ma occorre la prova positiva dello ius possidendi in capo al richiedente, ma è anche vero che, venute meno le esigenze preventive della cautela reale e verificatasi la caducazione del vincolo, v'è comunque l'obbligo di restituzione dei beni alla libera disponibilità del soggetto al quale siano stati sottratti, restituzione che non può essere subordinata, in difetto di contrapposte e fondate pretese di terzi, ad una inversione dell'onere della prova sulla legittimità del possesso e alla deroga delle corrispondenti regole in tema di possesso. Eventuali pretese di terzi interessati alla restituzione devono essere rigorosamente dimostrate e possono essere temporaneamente garantite soltanto attraverso il sequestro conservativo . L'ordinanza impugnata era stata, pertanto, annullata, ancora una volta, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Milano, che, tenendo conto dei rilievi di cui innanzi, dovrà rivalutare, in piena libertà di giudizio, la situazione e motivare, in maniera chiara ed esaustiva, la scelta che andrà ad operare . 2. Con il provvedimento indicato in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Milano, nuovamente decidendo in sede di rinvio, ha disposto l'assegnazione dei beni indicati ai punti 1.2.3. del dispositivo e la restituzione dei beni di cui al successivo punto 4. - detratte le spese di giustizia - al Comune di Cerro Maggiore, in persona del sindaco p.t 3. Contro tale provvedimento, i seguenti enti tutti con l'ausilio di difensori iscritti nell'apposito albo speciale hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo rispettivamente i seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p. ricorso AMSA s.p.a. I - violazione dell'art. 627, comma 3, c.p.p. per inosservanza del principio di diritto statuito dalla Corte di cassazione e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato. Lamenta contraddittorietà della motivazione, ma più propriamente travisamento della prova, nella parte in cui il provvedimento impugnato ritiene intervenuto il risarcimento del danno patito da AMSA s.p.a. concordato in sede transattiva laddove gli allegati 3. e 4. al ricorso documenterebbero il contrario inoltre, il dato valorizzato per escludere residue pretese della ricorrente la mancata costituzione di parte civile non terrebbe conto del diritto alle restituzioni, che la sentenza rescindente avrebbe fissato come unico thema decidendum lamenta, inoltre, apoditticità della motivazione che ha ritenuto infondata la pretesa AMSA f. 2 del ricorso , perché in contrasto con una memoria difensiva ali. 4 , che non sarebbe stata considerata rappresenta che lo stesso P.M. aveva chiesto la devoluzione della questione, indubbiamente controversa, al giudice civile. ricorso SIMEC s.p.a. I - nullità dell'ordinanza impugnata per violazione degli artt. 627, comma 3, e 648 ss. c.p.p., e vizio di motivazione. Lamenta che l'ordinanza impugnata, nel richiamare le sentenze emesse nel corso del giudizio di cognizione e passate in giudicato le quali avevano ammesso che la SIMEC s.p.a. era rimasta vittima delle azioni di distrazione ed impossessamento di fondi di sua esclusiva competenza abbia poi osservato che la sua pretesa andava articolata in altra sede, non risultando accoglibile in danno di altri soggetti danneggiati dalle medesime condotte, incorrendo in plurime contraddizioni e/o errori in diritto, dettagliatamente indicati a f. 3 ss. del ricorso, ai punti 1-9, confondendo, in particolare, i diritti della ricorrente - persona offesa del reato presupposto del riciclaggio con quella dei terzi danneggiati dai reati de quibus, nonché la pretesa asseritamente risarcitoria con quella effettiva alle restituzioni delle somme costituenti oggetto delle accertate distrazioni f. 8 ss. del ricorso ribadisce f. 11 ss. la sussistenza della contraddizione enunciata nella premessa del ricorso, sulla base di una dettagliata disamina delle intervenute decisioni di cognizione, aggiungendo che ENERGECO è la società che di tali distrazioni ha beneficiato f. 15 . 4. In data 21 maggio sono state depositate - una memoria nell'interesse del Comune di omissis il quale, previa ricostruzione dei fatti, ha ribadito la propria titolarità delle somme de quibus, in difetto della prova positiva dello ius possessionis - osservazioni nell'interesse di ENERGECO s.r.l. la quale, previa ricostruzione dei fatti, ha dedotto l'infondatezza dei ricorsi e ribadito la propria titolarità delle somme de quibus - una memoria nell'interesse della ricorrente AMSA s.p.a. che lamenta di non aver ricevuto formale notificazione del ricorso di SIMEC s.p.a., in violazione dell'art. 584 c.p.p. che i beni de quibus sarebbero in realtà pertinenti al peculato in danno del Comune di Milano e di AMSA, e tratti in sequestro in procedimento nell'ambito del quale AMSA era stata correttamente individuata come persona offesa che la pretesa di SIMEC è priva di giuridico fondamento che peraltro è fondato il rilievo della intervenuta confusione, nel provvedimento impugnato, tra pretese risarcitorie e restitutorie, ribadendo che la titolarità del diritto alle restituzioni spetta ad AMSA s.p.a. . 5. In data 29 settembre 2014 è pervenuto fax dell'avv. CRISTINA ROSSELLO difensore di fiducia del Comune di omissis , che si è riportata agli atti. 6. All'odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell'art. 127 c.p.p., si è proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito all'esito, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto 7. I ricorsi sono in parte fondati il provvedimento impugnato va, infatti, annullato senza rinvio, e le parti vanno rimesse davanti al giudice civile competente per la risoluzione della controversia sussistente in ordine all'appartenenza di quanto in sequestro, mantenendo il sequestro stesso. 8. Occorre premettere, in rito, che la lamentata omessa notificazione ad AMSA s.p.a. del ricorso presentato da SIMEC s.p.a. non determinerebbe l'inammissibilità del ricorso di quest'ultima, ma potrebbe comportare unicamente la mancata decorrenza del termine per l'impugnazione incidentale di AMSA s.p.a., ove consentita, ma tale situazione non ricorre nel caso di specie Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 5525 del 25 novembre 2008, dep. 9 febbraio 2009, rv. 243157 . Invero, come già chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte sentenza n. 1235 del 28 ottobre 2010, dep. 19 gennaio 2011, CED Cass. n. 248868 , l'art. 584 cod. proc. pen., che prevede la notifica dell'avvenuta impugnazione alle altre parti, senza peraltro comminare una sanzione in caso di violazione dell'obbligo, e comportando, quindi, unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del soggetto interessato, dell'eventuale appello incidentale, è funzionale unicamente ad assicurare l'esercizio della facoltà di proposizione di quest'ultimo. Il vigente sistema delle impugnazioni non prevede, tuttavia, una corrispondente facoltà di proposizione anche del ricorso per cassazione incidentale cfr., nei medesimi termini, Sez. VI, sentenza n. 30980 dell'8 febbraio 2007, in motivazione . 9. Quanto al merito delle doglianze delle parti ricorrenti, deve rilevarsi che la sentenza rescindente aveva posto a fondamento del disposto annullamento il rilievo che la precedente ordinanza del G.I.P. non aveva chiarito i complessi e articolati rapporti intercorsi tra i vari soggetti coinvolti nella gestione della discarica e dell'impianto di produzione e di trasformazione del biogas siti in territorio di Cerro Maggiore, non consentendo così a questa Corte di valutare l'adeguatezza o meno del percorso logico-giuridico sulla base del quale si individua l'AMSA s.p.a. come soggetto avente diritto alla restituzione delle somme e dei titoli dissequestrati . Appare, pertanto, evidente, nel percorso motivazionale del provvedimento oggi impugnato, la violazione dell'art. 627 c.p.p. quanto all'ambito ed ai limiti del giudizio di rinvio, avendo il G.I.P. reiteratamente fatto riferimento non al diritto alle restituzioni invero chiaramente esercitato da ciascuna delle odierne ricorrenti ma soltanto a pretese risarcitorie di soggetti qualificabili come persone offese o danneggiate dai reati de quibus , ontologicamente distinte, e comunque non costituenti oggetto del giudizio di rinvio. 10. Tanto premesso, con riferimento al merito della questione costituente oggetto degli odierni ricorsi appare da quanto esposto in premessa, nei pp. 1 ss. evidente la sussistenza di una controversia effettiva, e non meramente potenziale, in ordine all'individuazione del soggetto avente diritto alla restituzione di quanto in sequestro è, inoltre, pacifico, che in ordine ad essa non penda attualmente un giudizio civile. 10.1. Gli articoli 263, comma 3, e 324, comma 8, c.p.p. stabiliscono che, nel caso in cui occorra disporre un dissequestro, e sia controversa art. 263, comma 3 o contestata art. 324, comma 8 la proprietà delle cose sequestrate, con conseguente incertezza nell'individuazione del soggetto avente diritto alla restituzione, il giudice rinvia la decisione della controversia al giudice civile art. 324, comma 8 del luogo competente in primo grado art. 263, comma 3 , mantenendo nel frattempo il sequestro. La fattispecie oggetto degli odierni ricorsi è riconducibile alla disciplina di cui all'art. 263, comma 3, c.p.p 11. In proposito, è nota al collegio l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale, peraltro già segnalato dall'Ufficio del Massimario Relazione su contrasto n. 33 del 2013 nei termini che seguono. 11.1. Questa Sezione, con sentenza n. 26914 del 6 giugno 2013, rv. 255747, ha ritenuto, in tema di restituzione di cose sequestrate, che il giudice penale deve rimettere gli atti al giudice civile e mantenere il sequestro solo se è già pendente tra le parti una causa civile avente ad oggetto la controversia,sulla proprietà dei beni se, invece, non vi è alcun procedimento in sede civile, il giudice penale può direttamente restituire le cose al soggetto al quale le stesse risultino legittimamente appartenere alla stregua degli elementi fattuali fino ad allora accertati . A conclusioni in parte simili erano già pervenute due ulteriori decisioni Sez. III, sentenza n. 41879 dell'11 ottobre 2007, rv. 237939, e Sez. II, sentenza n. 221 del 31 ottobre 2003, dep. 8 gennaio 2004, rv. 227863 , entrambe in casi nei quali giudice penale procedente era il Tribunale del riesame, e trovava quindi applicazione la disciplina di cui all'art. 324, comma 8, cod. proc. pen., e concordi nel ritenere che il giudice penale deve rinviare la decisione al giudice civile mantenendo nel frattempo il sequestro solo quando la controversia sia effettiva, e, quindi, già instaurata oppure instauranda . A fondamento di tale orientamento, si era inizialmente ritenuto che il mantenimento del sequestro in mancanza di una lite instaurata o di certa ed immediatamente prossima instaurazione davanti al giudice civile, determinerebbe la aberrante esclusione di qualsiasi sindacato sulla legittimità di un sequestro che dovrebbe essere mantenuto fermo indipendentemente dalla ritualità del procedimento adottato o dalla fondatezza delle ragioni giustificatrici cosi Sez. II, n. 221 del 2004 . Si è più recentemente osservato Sez. II, n. 26914 del 2013 che l'impossibilità di mantenere il sequestro quando ne viene meno il titolo giuridico potrebbe essere derogata soltanto nei casi in cui, preso atto dell'inidoneità del processo penale ad accertare la proprietà dei beni già sottoposti a sequestro, ed attualmente da restituire, il giudice verifiche al tempo stesso l'esistenza di una controversia attualmente pendente davanti al giudee civile, e non meramente potenziale, poiché soltanto in questo caso potrebbero assumere rilievo l'esigenza di evitare che il bene possa essere sottratto definitivamente all'effettivo avente diritto , e quella di impedire che si verifichi una duplicazione di procedimenti incidentali anche in sede civile . Il mantenimento del sequestro pur in difetto dei suoi originari presupposti diventerebbe, pertanto, esclusivamente funzionale al processo civile il cui esito diventa determinante sia al fine di stabilire a quale delle parti il bene dev'essere restituito sia a quale di essa devono essere addebitate le eventuali spese di custodia e mantenimento del bene solo in presenza di una lite pendente davanti al giudice civile, la disposizione contenuta nell'art. 263, comma 3, cod. proc. pen. ha una sua ragion d'essere , poiché, in caso contrario, non avrebbe alcun senso giuridico rimettere la soluzione ad un giudice civile non ancora adito da alcuna parte . Né potrebbe invocarsi, per giungere a contrarie conclusioni, l'istituto della riassunzione art. 50 cod. proc. civ. , che presuppone l'esistenza di un processo, mentre nel caso in cui non sia già stata instaurata una lite davanti al giudice civile, potrebbe profilarsi una concreta ed irrisolvibile situazione di impasse processuale, ove nessuna delle parti promuova la causa civile, con la conseguenza che il bene rischierebbe di rimanere confinato in una sorta di anomalo limbo processuale che non è né quello penale né quello civile . 11.2. In senso contrario, l'orientamento senz'altro dominante considera sufficiente, perché sorga l'obbligo di rimettere gli atti al giudice civile, mantenendo il sequestro, la mera potenzialità dell'insorgere di una lite civilistica ogni qual volta sorga una controversia sulla proprietà della cosa”, il giudice penale, al quale venga richiesta la restituzione delle cose sequestrate, anche dopo aver accertato la buona fede dell'indagato, ha l'obbligo di rimettere gli atti al giudice civile per la decisione della controversia, mantenendo il sequestro infatti una cosa è la buona fede ai fini penalistici, altra è la nozione di buona fede nel diritto civile, in quanto la prima, se è idonea ad escludere la sussistenza di reati, potrebbe non essere sufficiente per acquisire la proprietà del bene mediante il possesso” Sez. II, sentenza n. 12445 del 18 marzo 2008, rv. 239763, in fattispecie nella quale la questione era stata esaminata con riferimento ai poteri decisori del Tribunale del riesame, a norma dell'art. 324, comma 8, cod. proc. pen. nel medesimo senso, in precedenza, Sez. II, sentenza n. 10871 del 1 marzo 2005, rv. 230966, in analoga fattispecie Sez. II, sentenza n. 29751 dell'8 luglio 2003, rv. 226510, in fattispecie nella quale, peraltro, la controversia sulla proprietà del bene, seppur non ancora formalizzata davanti al giudice civile, era stata ritenuta comunque attuale Sez. II, sentenza n. 26682 del 25 maggio 2003, rv. 225169 Sez. II, sentenza n. 11788 dell'8 gennaio 2003, rv. 224819, in fattispecie nella quale assumeva rilievo l'applicazione dell'art. 263, comma 3, cod. proc. pen. Sez. V, sentenza n. 5056 del 21 ottobre 1999, dep. 15 novembre 1999, rv. 215630 Sez. V, sentenza n. 1414 del 6 marzo 1998, rv. 211268 . A fondamento dell'orientamento, si rileva essenzialmente che la disciplina positiva impone al giudice penale chiamato a decidere sulla domanda di dissequestro di acquisire la certezza del titolo di proprietà dell'istante, tant'è che l'art. 263 co. 2 c.p.p. impone - in un certo senso - il contraddittorio tra chi chieda la restituzione ed il terzo, che - per essere il soggetto presso cui la cosa è stata sequestrata - potrebbe vantare un diritto sulla stessa. Tale norma, in sostanza, è indice dell'attenzione che il giudice deve porre nell'esame di ogni questione in cui siano coinvolti più soggetti quali possibili aventi diritto”. Nel procedimento davanti al giudice civile la questione si porrà eventualmente in termini di partecipazione al giudizio, anche iussu iudicis così Sez. V, n. 1414 del 1998 . 11.3. A pare del collegio, tale ultimo orientamento, già dominante, va condiviso ed ulteriormente ribadito. Deve premettersi che sia l'art. 263, comma 3, che l'art. 324, comma 8, c.p.p. impongono al giudice penale che si trovi a poter pronunziare il dissequestro di una res, la trasmissione degli atti al giudice civile soltanto in caso di controversia” nel primo caso o contestazione” nel secondo caso, non aventi qualsiasi oggetto, ma soltanto se esse riguardino la proprietà delle cose sequestrate. Non potrebbe, quindi, attribuirsi all'uopo rilevanza ad un mero contrasto tra opposte pretese risarcitorie, ma si è già osservato che l'oggetto di questo procedimento sono, in realtà, le opposte pretese alla restituzione di quanto in sequestro, sul presupposto dell'appartenenza all'uno od all'altra delle parti instanti. Ciò evidenzia la ragione per la quale la questione è attualmente rilevante ai fini della decisione. Ciò premesso, la lettera dell'art. 324, comma 8, in virtù dell'inequivoco riferimento, come presupposto della trasmissione non discrezionale, ma vincolata degli atti al giudice civile, non ad una controversia” nozione che potrebbe essere intesa anche nel senso di lite attualmente pendente inter partes ma ad una mera contestazione” chiarisce esaurientemente le ragioni per le quali il primo orientamento non è condivisibile. L'ulteriore disposizione di cui all'art. 263, comma 3, c.p.p., che individua il giudice civile al quale vanno trasmessi gli atti, al fine della risoluzione della controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, nel giudice civile del luogo competente in primo grado”, non nel giudice civile procedente, ovvero dinanzi al quale sia pendente la lite civile che ben potrebbe essere diverso da quello territorialmente competente, essendo in materia la competenza territoriale derogabile inter partes , conferma ulteriormente, ed ancora una volta inequivocabilmente, l'inaccoglibilità del primo orientamento. Deve, pertanto, ribadirsi, che, in tema di restituzione delle cose sequestrate, il giudice penale procedente, ove accerti l'esistenza di una contestazione/controversia sulla proprietà di esse, pur in difetto della pendenza di una corrispondente lite civile, non gode di alcuna discrezionalità, potendo unicamente rimettere gli atti al giudice civile del luogo competente in primo grado per la decisione della predetta contestazione/controversia, e mantenere nel frattempo il sequestro. 11.4. In presenza di argomenti testuali non considerati dal contrario orientamento, che appaiono decisivi, non appare necessario devolvere la risoluzione del contrasto alle Sezioni Unite. 12. Nel caso di specie, risultano esplicitate, ad opera delle parti interessate, contrapposte pretese dirette segnatamente ad affermare, come premesso, il diritto alla restituzione dei beni oggetto di sequestro. Ciò è sufficiente, alla luce dei rilievi che precedono, a rendere necessaria la rimessione delle parti dinanzi al giudice civile del luogo competente in primo grado, per la risoluzione della controversia sulla proprietà delle cose sequestrate, mantenendo nel frattempo il sequestro. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato, rimettendo le parti davanti al giudice civile competente e mantenendo il sequestro.