Esercizio di una casa di prostituzione: il favoreggiamento vien da sé

Ai sensi della l. n. 75/1958, non è configurabile il concorso del reato di favoreggiamento dell’altrui prostituzione con quello di esercizio di una casa di prostituzione, in quanto il primo reato è assorbito nel secondo.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44915, depositata il 29 ottobre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava un’imputata per i reati di esercizio di case di prostituzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La donna ricorreva in Cassazione, deducendo l’incompatibilità della contestazione del favoreggiamento della prostituzione con quella avente ad oggetto l’esercizio di una casa di prostituzione. Lamentava, poi, il mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 62, n. 5, c.p., relativa al concorso del fatto doloso della persona offesa nella determinazione del reato. Reato inglobato. La Corte di Cassazione rileva che effettivamente, ai sensi della l. n. 75/1958, non è configurabile il concorso del reato di favoreggiamento dell’altrui prostituzione con quello di esercizio di una casa di prostituzione, in quanto il primo reato è assorbito nel secondo. Perciò, i giudici di legittimità annullano la pena inflitta per il reato di favoreggiamento della prostituzione, perché il fatto non sussiste. E’ veramente persona offesa? La Corte di Cassazione esclude, al contrario l’attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa. Infatti, il concorso della volontà della prostituta costituisce elemento necessario per la realizzazione dei reati, per cui non può essere anche elemento circostanziale. In più, la prostituta non può essere considerata persona offesa dal reato, in quanto alla stessa deve essere attribuita la qualifica di soggetto danneggiato o passivo del reato. Infine, il fatto della prostituta costituisce soltanto occasione per la determinazione del reato, non fattore causale necessario nella realizzazione dell’evento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 aprile – 29 ottobre 2014, n. 44915 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa, all'esito di giudizio abbreviato, dal Gip del Tribunale di Milano e con la quale, riconosciuta la penale responsabilità di D.P.M.A., M.V. e C.V. per i reati di esercizio di case di prostituzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, costoro erano stati condannati, ritenuto il vincolo della continuazione fra i detti reati, alla pena di anni tre di reclusione e euro 1200,00 di multa i primi due e anni 2 e mesi 4 di reclusione ed euro 800,00 di multa la terza, li condannava a sua volta, riducendo il trattamento sanzionatorio loro inflitto, alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione e euro 1000,00 di multa i primi due e di anni 1 e mesi 10 di reclusione e euro 600,00 di multa la terza. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Di Primo in proprio, deducendone l'illegittimità per violazione di legge in relazione all'art. 3, nn. 1 e 8, della legge n. 75 del 1958 in sostanza la ricorrente ha eccepito la incompatibilità della contestazione del favoreggiamento della prostituzione con quella avente ad oggetto l'esercizio di una casa di prostituzione. Ha dedotto, altresì, il vizio della sentenza, sempre sotto il profilo della violazione di legge, nella parte in cui in essa è affermata la penale responsabilità della ricorrente per lo sfruttamento della prostituzione sebbene dagli atti fosse risultato che le ragazze che si prostituivano nei locali gestiti dalla Di Primo trattenevano per sè il compenso specificamente connesso allo svolgimento di prestazioni sessuali, che, pertanto, non veniva versato alla odierna. Infine la sentenza della Corte territoriale è impugnata nella parte in cui non è riconosciuta in favore della Di Primo la circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 5, cod. pen., relativa al concorso del fatto doloso della persona offesa nella determinazione del reato. Considerato in diritto Il ricorso, risultato solo parzialmente fondato, deve essere accolto per quanto di ragione. Osserva, infatti, questa Corte - con riferimento al primo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la dedotta incompatibilità della contestuale contestazione sia della violazione dell'art. 3, numero 1, della legge n. 75 del 1958 che di quella dell'art. 3, numero 8, della medesima legge quanto al favoreggiamento della prostituzione - che effettivamente è radicato orientamento, tuttora condiviso, di questa Corte quello secondo il quale non è configurabile il concorso del reato di favoreggiamento dell'altrui prostituzione con il reato di esercizio di una casa di prostituzione, essendo il primo reato assorbito nel secondo da ultimo Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 ottobre 2011, n. 38941 . Sotto il dedotto profilo deve, pertanto, annullarsi la impugnata sentenza non potendo convenirsi con la Corte di appello di Milano, secondo la quale, la attività di favoreggiamento della prostituzione, consistente nella specie nella cura della inserzionistica relativa sia alla pubblicità dei centri massaggi gestiti dalla ricorrente sia al reperimento di ulteriori ragazze disposte a lavorare nei medesimi locali, essendo ulteriore a quella volta alla gestione delle case di prostituzione, non era assorbita nella illiceità penale propria di quest'ultima. Deve, viceversa, ritenersi che, stante il rapporto di continenza esistente fra i due reati, ed essendo l'ipotesi più ampia, quella relativa all'esercizio della casa di prostituzione, caratterizzata dal l'appresta mento di una, sia pur rudimentale, organizzazione volta a consentire convegni sessuali, rimangono assorbiti nel primo reato - ove ne sussista l'ulteriore requisito, consistente nella adibizione di un locale all'esercizio del meretricio - quelle condotte, quali appunto la pubblicizzazione della attività medesima, che siano appunto espressione della organizzazione della attività svolta, purché le medesime siano comunque riferite ad un unico contesto di azione. Condizione quest'ultima riscontrabile nel caso di specie, posto che le inserzioni pubblicitarie curate dalla prevenuta riguardano gli stessi locali ove erano gestite le case di prostituzione di cui al capo a della rubrica contestata. Sul punto, pertanto, risultando il reato di favoreggiamento della prostituzione assorbito in quello di cui all'art. 3, numero 1, della legge n. 75 del 1958, la sentenza deve essere annullata senza rinvio. Non possono, invece, essere accolti gli altri motivi di ricorso, che, pertanto, vanno rigettati. Riguardo, infatti, al contestato sfruttamento della prostituzione, consistente nel conseguimento di un consapevole vantaggio direttamente ricollegabile sia sotto il profilo causale che sotto quello economico al compimento di atti di prostituzione da parte di altri soggetti, ritiene la Corte che lo stesso sia rinvenibile anche nel maggiore introito finanziario che un esercizio pubblico può realizzare per effetto della più intensa attrattiva esercitata sul pubblico, e pertanto del maggior numero di clienti che lo frequentano, determinata dalla circostanza che, all'interno di esso, è esercitata, quantomeno con la connivenza dei suoi gestori, la prostituzione. Nel caso in esame la Corte territoriale ha chiarito come la presenza nel locale della ragazze dedite alla prostituzione fosse di stimolo per gli avventori affinché fossero loro praticati anche gli ordinari massaggi, i cui proventi erano pacificamente incamerati dai gestori dei locali, sicché non vi è dubbio in ordine alla integrazione anche del reato di sfruttamento della prostituzione, atteso il vantaggio economico che da essa derivava, anche, alla odierna ricorrente. Infine, con riferimento al terzo motivo di impugnazione va dichiarata la infondatezza anche di quest'ultimo. Va, infatti, ricordato che la invocata circostanza attenuante, prevista dall'art. 62, comma 1, numero 5, cod. pen., la quale si ricorre ove l'evento si sia determinato anche col concorso del fatto doloso della persona offesa, è estranea alla fattispecie di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione. Ciò per una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé sufficiente ad escludere la applicabilità alla fattispecie della norma sopra citata in primo luogo in quanto il concorso della volontà della prostituta già costituisce elemento necessario per la realizzazione delle fattispecie sopra ricordate, sicché non può idoneamente essere anche elemento circostanziale del medesimo reato in secondo luogo perché, nell'attuale assetto normativo, la prostituta non può essere considerata persona offesa dal reato dovendo alla medesima essere attribuita la qualifica di soggetto danneggiato o di soggetto passivo del reato ed ancora perché, diversamente da quanto prescrive la citata disposizione, la quale impone che il fatto della persona offesa si sia inserito quale fattore causale necessario nella realizzazione dell'evento, il fatto della prostituta, nei reati in esame, costituisce soltanto occasione per la determinazione del reato Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 gennaio 2000, n. 285 . All'accoglimento del primo motivo di ricorso, trattandosi di impugnazione non fondata su motivi esclusivamente personali ed essendo il reato di favoreggiamento della prostituzione contestato in concorso fra la Di Primo, odierna ricorrente, e M.V. e Cisternino Vincenza, segue l'estensione degli effetti favorevoli della impugnazione anche a costoro, pur rimasti estranei al presente giudizio, secondo la previsione dell'art. 587, comma 1, cod. proc. pen. Deve, infine, essere annullata la sentenza quanto alla determinazione della pena, essendo venuta meno una delle ipotesi di reato sulla base delle quali era stata computata la pena irrogata dalla Corte territoriale lombarda, con rinvio, per la nuova quantificazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dei tre prevenuti, ad altra sezione della stessa Corte di appello di Milano. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di D.P.M.A. e, per l'effetto estensivo, nei confronti altresì di M.V. e C.V., limitatamente al reato di favoreggiamento dfella prostituzione, perché il fatto non sussiste. Annulla la sentenza medesima in punto di determinazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso della Di Primo.