Molestatrice, fischietto alla mano, dal terrazzo di casa: condannata a due mesi di arresto

Pena severa per una donna di 60 anni, che si ‘esibiva’, dalla propria abitazione, ripetendo suoni forti e fastidiosi. Decisiva non solo la molestia arrecata, ma anche il fatto che ella abbia protratto la propria condotta per oltre quattro anni.

Fischietto sempre alla mano non di arbitro si tratta, però, né di vigile urbano, bensì, in questa assurda vicenda, di una signora, di quasi 60 anni, capace, con la propria condotta, di creare non pochi fastidi alle famiglie collocate nelle vicinanze della sua abitazione. Nessun dubbio sulla condanna della donna, sanzionata addirittura con due mesi di arresto. Fatale la costanza da lei mostrata ella, difatti, ha fischiato, spesso e volentieri, per oltre quattro anni Cassazione, sentenza n. 44930, sez. III Penale, depositata oggi . A fischietto spianato Vicenda quasi comica, se non fosse approdata in un’aula di giustizia una donna utilizza il terrazzo e la finestra della propria abitazione come personale palcoscenico, con ‘esibizioni’ però poco, anzi nulla, gradevoli, consistenti, difatti, in forti suoni prodotti con fischietti e altri strumenti . Tali ‘esibizioni’ – ripetutesi nel tempo per oltre quattro anni – sono un vero e proprio incubo per le famiglie che vivono nelle vicinanze dell’abitazione della donna proprio per questo motivo, la ‘professionista del fischietto’ finisce sotto accusa per avere disturbato la occupazione e il riposo delle persone . Una volta ricostruita la vicenda, i giudici di merito non manifestano alcun dubbio sulla colpevolezza della donna. Ciò anche perché è acclarato che i suoni molesti provenivano dal terrazzo della donna. Consequenziale la condanna, che, però, è più dura di quanto ipotizzabile due mesi di arresto , e niente sospensione condizionale della pena , alla luce della personalità della donna. In galera. E, a sorpresa, anche in terza battuta, ossia in Cassazione, la sanzione nei confronti della donna non assume contorni più lievi. Esclusa a priori la messa in discussione della condanna. Per una semplice ragione i giudici del ‘Palazzaccio’ ritengono corretta la ricostruzione della vicenda compiuta nei giudizi di merito, laddove si è fatta discendere la attribuibilità alla donna delle condotte a lei contestate dal fatto, accertato, che i rumori molesti originavano dal terrazzo della sua abitazione . Ma, per i giudici, non è rivedibile neanche la pena dei due mesi di arresto . Decisiva la valutazione della personalità della donna, come emerge non solo dalla ostinazione nella perpetrazione del reato, protrattasi per alcuni anni , ma anche dai suoi precedenti penali, ritenuti indicativi di una indole poco rispettosa dei vincoli imposti dal diritto .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 aprile – 29 ottobre 2014, n. 44930 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto di fatto Il Tribunale di Imperia, con sentenza del 19 novembre 2011 ha condannato C.F. alla pena di mesi due di arresto avendola ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 659 cod. pen. in quanto, a decorrere dal 2005 e sino al maggio 2009, disturbava le occupazione ed il riposo delle persone, collocandosi sul terrazzo e alla finestra della propria abitazione, producendo da lì ininterrottamente forti suoni con fischietti od altri strumenti. Tale sentenza era integralmente confermata in data 18 ottobre 2013 dalla Corte di appello di Genova che per un verso affermava che le prove raccolte dimostravano che i suoni in questione provenivano dal terrazzo della imputata e che, per altro verso, stante la personalità della imputata, non potendosi prevedere che la stessa per il futuro si sarebbe astenuta dal commettere altri reati, legittimamente il giudice di prime cure aveva escluso la concessione dei benefici. Avverso detta sentenza proponevano, con distinti atti rispettivamente del 27 novembre 2013 e del 29 novembre 2013, ricorso per cassazione sia la C. in proprio che il suo difensore. La prima deduceva la omessa o manifesta illogicità della motivazione sia in punto di prova della sua responsabilità penale, posto che nessuno aveva affermato di averla vista compiere il reato, sia in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale, esclusivamente fondata sulla pretesa gravità dei fatti. Il difensore della imputata articolava a sua volta ben 5 motivi di ricorso. In base al primo la sentenza era viziata in quanto, in Corte di appello, era stata nullamente dichiarata la contumacia della imputata, dopo che, avendo il suo difensore di fiducia rinunciato al mandato, era stato nominato un avvocato di ufficio al quale, però ancora non era stato notificato il relativo provvedimento di nomina e di rinvio della udienza, di tal che al momento della dichiarazione di contumacia della imputata, questa era difesa da un difensore nominato in sostituzione di quello di ufficio. Col secondo motivo si deduceva la nullità degli atti del processo per non essere stata notificata alla imputata l'ordinanza con la quel le era stato nominato in udienza l'avvocato di ufficio. Col terzo era dedotto il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui in essa si riteneva provata la riferibilità alla prevenuta della condotta di molestia della quiete pubblica. Col quarto e quinto motivo era dedotto il vizio di motivazione della sentenza rispettivamente riguardo all'avvenuta condanna alla sanzione detentiva in luogo di quella pecuniaria ed alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto I ricorsi, ambedue proposti nell'interesse della C., sono parimenti inammissibili. Prendendo le mosse da quelle sottoscritto dalla prevenuta in proprio, rileva il Collegio che, quanto al primo motivo, la Corte ligure, in piena sintonia col giudice di prime cure ha in maniera del tutto plausibile fatto discendere la attribuibilità alla imputata delle condotte a lei contestate dal fatto, accertato, che i rumori molesti originavano dal terrazzo della abitazione della medesima, sicché è cosa del tutto ragionevole, come hanno fatto i giudici del merito ritenere che essi erano provocati dalla medesima Relativamente alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale, essa è stata negata, con valutazione di carattere discrezionale non soggetta ad essere riesaminata da questa Corte se indenne da vizi logici o giuridici, sulla base della prognosi infausta sulla mancata reiterazione di condotte illecite giustificata dalla personalità della prevenuta quale emerge, oltre che dalla ostinazione nella perpetrazione del reato per cui è causa, sintomaticamente protrattasi per alcuni anni, dai suoi precedenti penali, ritenuti, in maniera non incongrua, indicativi di una indole poco rispettosa dei vincoli imposti dal diritto. Con riferimento ai motivi di impugnazione dedotti dal difensore della ricorrente col proprio atto del 29 novembre 2013 osserva la Corte, quanto ai primo due motivi, che il codice di rito prevede che l'imputato, il quale sia rimasto privo di difensore debba essere assistito da un difensore di ufficio nominato, secondo i criteri di cui al comma 2 dell'art. 97 cod. proc. pen., dal giudice procedente prevede, altresì, il successivo comma 4 del medesimo art. 97 che, ove sia necessario procedere ad incombenti per i quali è necessaria la presenza di una difesa tecnica dell'imputato e non sia stato ancora possibile acquisire la materiale presenza del difensore designato ai sensi del comma 2, il giudice nomina senz'altro un sostituto del difensore di ufficio che sia immediatamente reperibile, il quale ha le facoltà e gli obblighi di cui al successivo art. 102 cod. proc. pen. ciò all'evidente fine di contemperare le distinte, ma parimenti degne, esigenze di garanzia della difesa dell'imputato e di ragionevole durata del processo. Uno degli atti per i quali è necessario che l'imputato sia munito di difesa tecnica è, appunto, la dichiarazione di contumacia, la quale si rende necessaria, secondo i termini dell'art. 420-quater cod. proc. pen., in quanto richiamato dall'art. 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., laddove l'imputato, pur ritualmente citato e non impedito a comparire, non si presenti alla prima udienza del giudizio. Così succintamente ricostruito il quadro normativo rilevante, osserva la Corte che per un verso non può rilevarsi alcuna nullità nella dichiarazione di contumacia della imputata avvenuta alla presenza non del difensore di ufficio ma del suo sostituto, posto che era comunque in tal modo assicurata a quella la difesa tecnica in giudizio così immune da ogni vizio processuale è la mancata notificazione all'imputata del verbale della udienza del 2 luglio 2013, nel corso della quale è stato disposto il rinvio alla successiva udienza del 18 ottobre 2013 atteso che in quella udienza la imputata era regolarmente rappresentata dal sostituto del nominato difensore di ufficio così come, infine, non ha comportato alcuna nullità la mancata notificazione all'imputata contumace della ordinanza con la quale le era stato nominato il difensore di ufficio, non essendo tale incombente previsto da alcuna disposizione di legge e vigendo nel nostro ordinamento il principio di tassatività delle ipotesi di nullità degli atti processuali. Relativamente ai restanti motivi di impugnazione proposti dalla difesa della C., ed aventi ad oggetto la motivazione della sentenza impugnata in ordine pppr~ova della integrazione della responsabilità della imputatain ordine al reato contestato ed in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, si ribadisce quanto già osservato in merito agli analoghi motivi di impugnazione formulati dalla imputata nel proprio ricorso mentre per ciò che attiene alla doglianza avente ad oggetto la condanna della imputata non alla pena pecuniaria ma a quella detentiva, prevista alternativamente quale sanzione per la commissione della contravvenzione di cui alla rubrica, la Corte ne rileva, oltre che la estrema genericità, anche la inammissibilità in quanto essa attinente ad una valutazione, quella della congruità della pena al caso, rimessa esclusivamente, se adeguatamente motivata - come avvenuto nel caso di specie attraverso il riferimento alla presenza di pregiudizi penali a carico della imputata ed alla ostinazione con la quale ella ha posto in essere la sua condotta criminosa - alla discrezionalità del giudice dei merito. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 23 aprile 2014.